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notiziario Giugno 2012 N°6 - EVIDENZE SUL DECLINO COGNITIVO III^ parte - Ruolo della vit. “D” sulla funzione cognitiva

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Indice
notiziario Giugno 2012 N°6 - EVIDENZE SUL DECLINO COGNITIVO III^ parte
Comportamento alimentare e declino cognitivo
Lo studio GEM (Gingko Evaluation of Memory)
Sul potenziamento cognitivo del Ginseng
La formula nutrizionale per evitare il decadimento dell’invecchiamento
Vitamine e decadimento cognitivo
Il complesso vitaminico B e il decadimento cognitivo
Vitamina “E” e decadimento cognitivo lieve
Ruolo della vit. “D” sulla funzione cognitiva
Vitamina D materna e sviluppo del linguaggio del nascituro
Rendimento scolastico e vitamina “D”
Vitamina “D” e autismo
Maggiore carenza della Vit. “D” nelle grandi città e negli abitanti delle zone rurali
Panoramica su Vit. “D” e salute pubblica
Vit. “D” e rischio di eventi clinici negli anziani
Ergocalciferolo dei funghi o da supplementi e forme di vit. “D” del siero
Supplementi vitaminici e di minerali e mortalità
Tutte le pagine

Ruolo della vit. “D” sulla funzione cognitiva

La vitamina “D”, da considerare ormone neuro steroideo, ha effetti specifici sul sistema nervoso centrale, come il regolamento della neurotrasmissione, della neuro protezione e della neuroimmunomodulazione. Fino a poco tempo fa si pensava che solo alcuni organi periferici potessero sintetizzare la forma attiva della vitamina ma oggi sappiamo che il cervello umano e quello dei roditori esprimono la proteina necessaria per la conversione della vitamina “D” alla forma attiva finale e anche che, in un modo simile in entrambe le specie, la forma alimentare si lega ai siti specifici sulle cellule cerebrali.

Tale prova suggerisce un ruolo molto importante della vitamina nel normale sviluppo del cervello. Difatti, essa attiva i recettori dei neuroni nelle regioni coinvolte nella regolazione del comportamento, stimola il rilascio della neurotrofina e protegge il cervello, tamponando gli antiossidanti ed esprimendo, quindi, una forma di difesa anti-infiammatoria contro il danno vascolare e migliorando la funzione metabolica e cardiovascolare.

D’altro canto, la maggior parte delle prove suggerisce sino a oggi che la carenza vitaminica produce maggior rischio per l'ictus, per la demenza e i disturbi dell'umore, per l’autismo, per la sclerosi laterale amiotrofica.  
In Europa e negli Stati Uniti la carenza di vitamina “D” negli anziani in comunità, con il rischio aumentato di fratture, malattie croniche varie e mortalità, corrisponde a circa il 50%.  Anche il declino cognitivo e la demenza diventano sempre più comuni con l’invecchiamento.  Sulla base di tali premesse, pertanto, da qualche tempo si susseguono studi per migliorare le conoscenze nei meriti e ricercare le possibili associazioni con i fattori che possano aiutare a prevenire la neurodegenerazione e ad agire sull’'espressione neurotrofica, sulla neurogenesi, sull’omeostasi del calcio, sulla disintossicazione e sulla clearance dell’amiloide. In tal modo, da una parte studi sperimentali in vitro e sugli animali hanno suggerito un ruolo neuroprotettivo della vitamina “D”, dall’altra, invece, diverse ricerche cliniche, ma di piccole dimensioni, non hanno fornito ancora prove chiare tra i bassi livelli sierici di 25 [OH] D e la disfunzione cognitiva. Dal loro canto, Cédric Annweiler del Department of Internal Medicine and Geriatrics, Angers University Hospital UPRES France e collaboratori, sempre sulla base dei risultati alterni degli studi precedenti sull'associazione tra i bassi livelli sierici della 25 (OH) D e il declino cognitivo, hanno voluto esaminare questo dato su 752 donne di età ≥ 75 anni, arruolate dalla coorte EPIDOS (Epidémiologie de l'Ostéoporose). In questo grande studio prospettico, osservazionale, multicentrico, di coorte, disegnato per valutare i fattori di rischio della frattura dell'anca tra più di 7500 donne sane, residenti in comunità di anziani, Annweiler era stata colpita dall'impatto potenziale della vitamina “D” sulla funzione cognitiva durante lo studio dei fattori del rischio delle cadute nelle donne anziane. Peraltro, la carenza della vitamina negli esseri umani, tipicamente associata ai disturbi scheletrici, lo è anche a quelli neuromuscolari. Nel campo della ricerca degli animali tale condizione è risultata correlata anche ai gravi disturbi del coordinamento. La vitamina “D”, da considerare, pertanto, ormone neuro steroideo con effetti specifici sul sistema nervoso centrale, compreso il regolamento della neurotrasmissione, della neuro protezione e della neuroimmunomodulazione, era stata già oggetto di una revisione sistematica della letteratura da parte degli autori con risultati non conclusivi (Eur J Neurol 2009;. 16:1083-1089), probabilmente per la mancanza di controllo dei potenziali confondenti. I ricercatori hanno, così, più recentemente individuato due gruppi di soggetti in base ai livelli sierici di 25 (OH) D: uno con valori minori di dieci ng / mL e il secondo con valori ≥ 10 ng / mL (Neurology January 5, 2010 74:27-32;). La compromissione cognitiva è stata definita dalla valutazione < 8 della SPMSQ (Pfeiffer Short Portable Mental State Questionnaire). L’età, l’indice di massa corporea, il numero di malattie croniche, l’ipertensione, la depressione, l’uso di farmaci psicoattivi, il livello d’istruzione, l’attività fisica regolare, il PTH intatto e il calcio nel siero sono stati considerati come potenziali fattori di confondimento. Le 129 donne con deficit di vitamina dimostravano un più basso punteggio medio SPMSQ (p <0,001), rispetto alle 623 con valori ≥ 10 ng / mL. Peraltro, molto spesso il punteggio SPMSQ era <8 (p = 0,006). Non vi era anche alcuna significativa associazione lineare tra i livelli sierici di 25 (OH) D e il punteggio SPMSQ (intervallo di confidenza β = -0,003, 95% -0,012 a 0,006, p = 0,512). Tuttavia, la concentrazione deficitaria sierica della 25 (OH) D era associata a un’alterazione cognitiva (odds ratio grezzo [OR] = 2.08, con p = 0.007; OR aggiustato = 1,99 con p = 0.017 per il modello completo; e OR aggiustato = 2,03 con p = 0,012 per graduale modello retroattivo).
Sempre C. Annweiler dell’University of Angers, France e collaboratori, considerando la dimostrata associazione tra bassa 25OHD e la demenza, ma non con il decadimento cognitivo lieve, hanno studiato novantacinque caucasici non dementi con disturbi della memoria, di età media di 71,1 ± 6,4 anni, nel 54,7% donne, inclusi nello studio GAIT (Gait and Alzheimer Interaction Tracking). Hanno, così, suddiviso in base ai criteri del Winblad consensus i partecipanti in due gruppi e cioè in soggetti con DCL (declino cognitivo lieve) o soggetti CHI (cognitivamente sani). La 25OHD è stata suddivisa in quartili, con il quarto corrispondente alla più alta concentrazione. Le associazioni cross-sezionali tra 25OHD e DCL sono state modellate utilizzando regressioni logistiche. L’età, il sesso, l’indice di massa corporea, il numero di comorbidità, il livello d’istruzione, il punteggio Mini-Mental State Examination, quello della Frontal Assessment Battery, quello della Geriatric Depression Scale, la clearance della creatinina e la stagione sono stati considerati come potenziali fattori confondenti. Rispetto al gruppo CHI, quello DCL, in numero di quarantatré soggetti con età media di 71,4 ± 5,6 anni, nel 34,9% donne, aveva concentrazioni sieriche significativamente più basse di 25OHD (P = 0,006) rispetto al quartile più alto e apparteneva più spesso ai quartili più bassi, (P = 0,03). L’alta 25OHD sierica era, invece, associata a un minor rischio di DCL [odds ratio (OR) = 0,96, P = 0,002]. Di conseguenza, i più bassi quartili di 25OHD erano associati positivamente con il DCL, ponendo il più alto quartile come riferimento (OR aggiustato = 25,46, P = 0,002 per il primo quartile; OR aggiustato = 6.89, P = 0.03 per il secondo quartile, e OR aggiustato = 10,29, P = 0.02 per il terzo quartile). In conclusione, le basse concentrazioni di 25OHD erano associate con lo status di DCL negli anziani non affetti da demenza con riferito disturbo di memoria soggettiva (Eur J Neurol. 2012 Feb 16. doi: 10.1111).In ordine a tali presupposti, David J. Llewellyn e collaboratori hanno analizzato le interviste, le valutazioni cognitive, gli esami clinici e di laboratorio di 858 anziani di sessantacinque anni o più dello studio “InCHIANTI”, condotto in Italia tra il 1998 e il 2006 con follow-up di valutazioni ogni tre anni, per esaminare l'associazione tra vitamina “D” e il declino cognitivo o la demenza (Arch Intern Med. 2010;170(13):1135-1141) .

I partecipanti allo studio sono stati divisi in quattro gruppi sulla base della 25 (OH) D in:
Gruppo 1 - gravemente carente <25nmol / l,
Gruppo 2 - carente, con 50nmol / l,
Gruppo 3 - insufficiente, con 75nmol / l,
Gruppo 4 - sufficiente, con > 75nmol / l.
A 3,6 anni il declino cognitivo è stato determinato con il MMSE (Mini-Mental State Examination), test standard di valutazione mentale per la funzione cognitiva. Il suo grado sostanziale è stato definito da tre o più punti con il Trail-Making Test A, che misura l'attenzione, il Trail-Making Test B, che misura l'esecuzione, e dalla condizione peggiore del 10% della sua distribuzione o dalla sospensione del test. Alla scala MMSE il rischio relativo multivariato (intervallo di confidenza 95%) del sostanziale declino cognitivo dei partecipanti con grave carenza sierica della 25 (OH) D, rispetto a quelli con livelli sufficienti, era 1,60 (95% IC, 1,19-2,00). L’analisi multivariata, regolata sui modelli degli effetti casuali, dimostrava che i punteggi dei partecipanti con grave carenza diminuivano allo MMSE di un ulteriore 0,3 punti in più ogni anno, rispetto a quelli con i livelli sufficienti. Con il Trail-Making Test B il rischio relativo per il declino sostanziale era 1.31 (IC 95%, 1,03-1,51) in coloro gravemente carenti, rispetto a quelli con i livelli sufficienti, mentre non si dimostrava alcuna associazione significativa per il Trail-Making Test A. Nel complesso, coloro del gruppo 1 gravemente carenti avevano circa il 60% di maggiore probabilità di quelli del gruppo sufficiente di provare sostanziale declino cognitivo sul punteggio MMSE (p per trend lineare <0,001) e il 31% in più di probabilità di avere sostanziale declino del punteggio Trail B (p per trend lineare = 0.04). Non c'erano associazioni significative tra la 25 (OH) D e le prestazioni del Trail A. Lo stesso modello di associazioni si osservava nel campione limitato ai partecipanti che non presentavano la demenza all'inizio dello studio. In conclusione, tali risultati, che dimostrerebbero la carenza vitaminica (meno di 50 nmol / L) in più della metà degli anziani con demenza e che le persone gravemente carenti con meno di 25 nmol / L avrebbero il 60% in più di probabilità di subire il declino cognitivo in sei anni di follow-up, suggerirebbero, invero, importanti nuove prospettive di trattamento e prevenzione nella popolazione anziana.



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