Esercizio fisico e depressione nello scompenso cardiaco
La depressione è comune nei pazienti cardiopatici, specialmente in quelli con insufficienza cardiaca, associandosi a un aumentato rischio di esiti negativi per la salute.
Ormai è abbastanza noto che soprattutto nel mondo sviluppato lo scompenso cardiaco rappresenta per la società contemporanea un problema sanitario importante e in continua crescita. Esso colpisce l’1-2% della popolazione adulta e il 6-10% delle persone di età superiore ai sessantacinque anni. Comporta soprattutto negli anziani frequenti ricoveri ospedalieri in cui determina tassi elevati di riammissione dal 40 al 50% entro sei mesi, riduzione della qualità della vita, morbilità significativa e aumento della mortalità. Predittivi significativi della compensazione dello scompenso e degli alti tassi di riammissione ospedaliera comprendono la scarsa compliance dei pazienti alla terapia e alle limitazioni della dieta, ma anche l’incapacità di riconoscere i primi sintomi del deterioramento funzionale che possono rappresentare già le conseguenze del deterioramento cognitivo e dello scarso discernimento.
Diversi studi hanno dimostrato che la compromissione cognitiva è particolarmente comune nello scompenso cardiaco con quote dal 30 allo 80% in rapporto alla sua gravità, all'età dei pazienti, alle dimensioni del campione di studio, ai test neuropsicologici e ai criteri diagnostici utilizzati. La maggior parte dei pazienti con scompenso cardiaco soffre, così, di lieve calo della capacità cognitiva, che nel 25% circa dei casi potrebbe essere moderata-grave. Di certo, lo scompenso incide negativamente sui vari aspetti del funzionamento cognitivo, tra cui l'attenzione, la capacità di apprendimento e il richiamo ritardato, la memoria di lavoro, la funzione esecutiva e la velocità psicomotoria. Il trattamento efficace dello scompenso con ACE-inibitori ha dimostrato di migliorare anche la performance cognitiva, dimostrandone la reversibilità in una certa misura. Aree di cognizione meno colpite sono il dominio della lingua e delle funzioni visuospaziali.
James A. Blumenthal del Duke University Medical Center, Durham e collaboratori, in ragione del fatto che solo alcune evidenze suggerivano la riduzione dei sintomi depressivi con l'esercizio aerobico senza che tale dimostrazione si verificasse nei pazienti con insufficienza cardiaca, hanno voluto svolgere lo studio HF-ACTION (Heart Failure--A Controlled Trial Investigating Outcomes of Exercise Training) multicentrico, randomizzato e controllato, coinvolgendo 2.322 pazienti stabili trattati per insufficienza cardiaca in ottantadue centri medici clinici degli Stati Uniti, Canada e Francia (JAMA 2012; 308:465-474).
I pazienti con una frazione di eiezione ventricolare sinistra del 35% o meno e in classe NYHA (New York Heart Association) da I a IV, ottenevano il punteggio della BDI-II (Beck Depression Inventory II) ed erano randomizzati (1:1) dall'aprile 2003 al febbraio 2007. I punteggi depressivi variavano da zero a cinquantanove e quelli di quattordici o superiori erano considerati clinicamente significativi.
I partecipanti erano anche randomizzati a supervisione per l’esercizio aerobico con obiettivo di novanta min / sett. per 1-3 mesi con seguito di esercizi a casa per ≥ 120 min / sett. per mesi 4-12 in contemporanea cura per l’insufficienza cardiaca.
Su un follow-up mediano di trenta mesi, 789 pazienti del gruppo trattato tradizionalmente, il 68%, decedevano o erano ospedalizzati rispetto ai 759, il 66%, del gruppo esercizio aerobico (hazard ratio [HR], 0,89, 95% IC, 0,81-,99, p = .03). La BDI-II media dello studio era otto e il campione con punteggio BDI-II uguale o superiore a quattordici era il 28%. Rispetto al trattamento convenzionale l'esercizio aerobico produceva un calo dei punteggi delle medie BDI-II. Difatti, a tre mesi con l’esercizio aerobico i valori erano 8,95, 95% IC, 8,61-9,29, mentre con la solita cura = 9.70, 95% IC, 9,34-10,06, differenza = -0,76; 95% IC, -1,22 a -0,29, p = .002. A dodici mesi con esercizio aerobico erano 8,86, 95% IC, 8,67-9,24, mentre con la solita cura 9,54, 95% IC, 9,15-9,92; differenza, -0,68 , 95% IC, -1,20 a -0,16, p = .01. In conclusione, rispetto alle cure tradizionali delle linee guida, l'esercizio fisico determinava una modesta riduzione dei sintomi depressivi, anche se il significato clinico di questo miglioramento non era chiaro. L'entità del beneficio era, peraltro, legata al cumulo di attività, ma senza bisogno di un allenamento di resistenza, come la maratona.
Inoltre, in un’analisi multivariata il gruppo dell’esercizio si associava per il follow-up mediano di trenta mesi a una riduzione dell'11% dell’endpoint composito di mortalità per qualsiasi causa o di prima ospedalizzazione per tutte le cause (p = 0,03) e a un calo del 15% di ricovero per scompenso cardiaco o morte (p = 0,03). Di poi, quelli con depressione di base più marcata, rispetto a quelli con forma più lieve, avevano un rischio significativamente più alto di entrambi gli end point compositi. Tale dato permetteva agli Autori di suggerire che nello scompenso cardiaco fosse molto importante per i medici monitorare i sintomi depressivi, soprattutto in caso di peggioramento dei sintomi, rappresentando per i pazienti questa condizione una loro particolare vulnerabilità per i peggiori risultati.
Peraltro, la piccola riduzione della depressione del gruppo di esercizio a tre e dodici mesi in termini assoluti, mantenutasi durante tutto l'anno, suggeriva anche che non fosse solo un caso fortuito, ma che si trattasse di un effetto reale.
Tutto ciò come buona notizia per i pazienti cardiaci e davvero coerenti con le linee guida della riabilitazione cardiovascolare.