I mutamenti cognitivi legati all’invecchiamento
L'invecchiamento demografico della società moderna sta comportando da qualche tempo un mutevole cambiamento del quadro nosografico mondiale con crescenti necessità di essenziali priorità di prevenzione strategica sulla salute. La demenza, in particolare, ha visto di continuo aumentare il numero degli individui da essa colpiti, rendendo sempre più tassative le raccomandazioni di uno stile di vita con una ricca gamma di attività cognitive, atte a stimolare il fisico e la mente. Tutto ciò anche se i meccanismi neurobiologici alla base della protezione non siano stati ancora del tutto chiariti. In effetti, sarebbero evocabili, a tale proposito, tre classi di processi: una di arricchimento ambientale, l’altra di stimolazione cognitiva fisica e sociale, la terza di compensazione. Peraltro, è abbastanza accertato che negli anziani con più anni d’istruzione o di storia lavorativa complessa le manifestazioni di un particolare livello dei sintomi clinici comparirebbero in caso di un maggior grado di danno neuropatologico. A tale proposito, conviene anche ricordare, come dato ormai acquisito, che durante il processo dell’apprendimento il cervello dimostra un’enorme capacità di rapido ed efficace adattamento alle continue esigenze e alle nuove esperienze. Ciò si riflette in adattamenti strutturali neuroanatomici, altrettanto importanti quanto i modelli neurali di reclutamento. Peraltro, la neuroplasticità strutturale e quella funzionale possono essere considerate due processi con un’interazione reciproca, secondo cui ogni modificazione morfologica si accompagnerebbe vicendevolmente a una funzionale.
Resta di fatto che numerosi studi hanno evidenziato i mutamenti cognitivi legati all’invecchiamento, anche documentando in età avanzata le caratteristiche individuali associate a una maggiore funzione cognitiva. Il declino cognitivo correlato all’età, peraltro, è sempre stato principalmente attestato con la ridotta capacità dell’elaborazione e dell’intelligenza fluida, definita da Cattell come proprietà di percepire le indipendenti relazioni di una precedente pratica specifica o come istruzione in merito a esse. L’intelligenza fluida comporta, infatti, la capacità di pensare e di ragionare astrattamente e di risolvere i problemi. Quest’abilità, considerata indipendente dall’apprendimento, dall’esperienza e dall'istruzione, comprende, ad esempio, il risolvere i puzzle o il venire a capo delle strategie del problem-solving. Essa, peraltro, presenta un’accelerazione di calo nel quinto e sesto decennio di vita. Nonostante queste diminuzioni, l'evidenza suggerisce, comunque, che le misure sullo stato cognitivo possono rimanere stabili, o addirittura migliorare, con l'età e che possono incontrarsi grandi variabilità individuali nei termini dell’invecchiamento cognitivo di successo. Ne deriva che associare inevitabilmente il declino cognitivo all'età non è corretto poiché vi sono crescenti evidenze su diversi fattori e / o attività di stile di vita capaci, lungo tutto l'arco della vita, di modificarne il decorso. In effetti, i fattori di stile di vita stanno sempre più guadagnando il valore di un importante supporto per l’invecchiamento, come variabili modificabili capaci di ritardare l'espressione della patologia cerebrale. Compensano, difatti, attraverso i meccanismi neurali i deficit della progressiva riserva funzionale. Nella tarda età sono state, quindi, considerate molte influenze ambientali positive sullo stato cognitivo e sulla plasticità del cervello, comprese le attività fisiche e ricreative, quelle didattiche e professionali, il bilinguismo e gli alti livelli di esperienza e competenza nelle occupazioni professionali o di svago. Dati sperimentali sugli animali, ma anche clinici sull’uomo, hanno, peraltro, suggerito che l'apprendimento permanente può contribuire alla vitalità cognitiva fino all’età avanzata, aumentando la complessità sinaptica e la neurogenesi. In altre parole, rimanendo impegnati in attività intellettualmente stimolanti può servire alla protezione e al mantenimento delle funzioni cognitive e del cervello. Attività cognitivamente stimolanti, come il giocare a bridge o rifinire un puzzle o addestrarsi nei cruciverba e in giochi simili, come pure mantenere un alto livello d’istruzione e di lavoro, si associano nell’anziano anche avanzato a un migliore funzionamento cognitivo. Risulta, però, difficile stabilire il termine di quest’azione positiva e, soprattutto, quanto sia relativa all’individuo di per sé. Tuttavia, per quanto riguarda i diversi approcci metodologici di studio della neuroplasticità, vige, sulla base delle caratteristiche metodologiche spaziali e temporali, una differenziazione pratica. A tale proposito, i recenti studi nel campo della formazione delle abilità di apprendimento motorio indicano che gli indotti adattamenti strutturali e funzionali si verificano per tutta la durata della vita. Peraltro, in tale campo, in rapporto alla decisa focalizzazione degli studi sugli adulti giovani o di età superiore ai sessantacinque anni, bisogna affermare una mancanza di attenzione verso il gruppo di adulti di mezza età con la consequenziale scarsità di conoscenze sulle differenze in tutta la durata della vita, correlate all'età sia in ordine all'entità sia al modello degli adattamenti indotti dalla formazione.
Evidenze conclusive chiarirebbero, d’altra parte, che il cervello, indipendentemente dall'età e in particolare durante le prime fasi di apprendimento delle abilità, si basa sul coinvolgimento di una rete ampiamente distribuita, tra cui le aree motorie corticali e sub-corticali, il cervelletto e le aree prefrontali. Con il perfezionamento delle abilità, il coinvolgimento di queste regioni neuronali cambierebbe. Ad esempio, gli studi longitudinali di breve durata con una formazione di diversi giorni indicherebbero nelle fasi iniziali della formazione un aumento di attivazione a lento sviluppo. Al contrario, le persone on esperienza professionale tenderebbero di solito a mostrare piccole risposte dinamiche all'interno del sistema sensitivo-motorio, rispetto ai novizi che svolgono lo stesso compito. Questo effetto di competenza è considerato una riflessione di una maggiore efficienza e, di conseguenza, di minori costi neurali nelle reti neurali che controllano i movimenti praticati e le competenze. Inoltre, quando un movimento è ben appreso, o addirittura automatizzato, è necessario un minor controllo cognitivo, vale a dire nei termini di riduzione delle domande attentive. Comunque, non vi sono finora studi conclusivi che indichino il momento di passaggio effettivo da un maggiore a un minore impegno neurale.
La maggior parte degli studi in materia di apprendimento motorio ha registrato la risposta neurale ai vari tipi di movimento delle dita. Ciò perché sono correlati al paradigma sperimentale e perché di facile esecuzione entro i confini dello scanner MR, ma anche perché non si associano agli artefatti dei movimenti di grandi dimensioni. Per lo studio dei movimenti più complessi, che includono diverse articolazioni e muscoli o parti del corpo diverse, un approccio alternativo ha utilizzato il metodo dell’immaginazione motoria. Le reti neuronali, associate con l'immagine di un particolare movimento da una prospettiva in prima persona, sono sorprendentemente simili a quelle associate con i movimenti che vengono eseguiti apertamente. Diversi studi hanno fornito una forte evidenza che gli adattamenti indotti dalla formazione si verificano in entrambi i tipi di protocolli di allenamento, cioè sia in quello mentalmente immaginato e sia in quello materialmente eseguito. Peraltro, presumibilmente oltre al tipo, alcune altre caratteristiche, sia della formazione eseguita apertamente sia di quella da immagini mentali, hanno influenza sul grado per il miglioramento delle prestazioni e delle relative modificazioni neurali. Nel dominio della motricità i precedenti studi longitudinali di formazione nei soggetti sani di controllo applicavano rigorosamente situazioni sperimentali di formazione con il mantenimento più costante possibile dei parametri di allenamento, come la durata giornaliera, quella complessiva della formazione, il programma di addestramento, le strategie e altro. Solo pochi studi hanno finora confrontato i parametri differenti dell’allenamento nei termini d’impatto sulla plasticità neurale, mentre non ci sono studi longitudinali sugli effetti neurali di una formazione effettuata in un ambiente esterno, in situazioni sperimentali di laboratorio, come durante il tempo libero. Dato che la partecipazione nell’attività ricreativa influenza il processo d’invecchiamento del cervello e il rischio di sviluppare la demenza, sarebbe presumibilmente importante estendere la ricerca, concentrandosi sulla formazione che si approssima alla reale situazione di vita con la consequenziale maggiore validità ecologica.