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Notiziario Settembre 2012 N°8 - ESERCIZIO E SALUTE ANCHE MENTALE - Esercizio fisico e declino cognitivo

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Indice
Notiziario Settembre 2012 N°8 - ESERCIZIO E SALUTE ANCHE MENTALE
I mutamenti cognitivi legati all’invecchiamento
Lo stile di vita protegge contro la demenza
Sedentarietà, come importante fattore di rischio per la salute
Sedentarietà in progressione epidemica nella civiltà globalizzata
Vita in città e rischio cardiometabolico
La pratica sportiva in Europa e in Italia
Sport ed esercizio fisico per il benessere delle nazioni
Bevande sportive e aumento del peso negli adolescenti
Le linee guida americane sull’attività fisica per gli anziani
Attività fisica vs intervento strutturato in anziani
Esercizio fisico e declino cognitivo
Severità dell’insufficienza cardiaca e declino della memoria
Esercizio fisico e depressione nello ​​scompenso cardiaco
Invecchiamento, attività fisica e mortalità
L’attività fisica, anche minima, conferisce beneficio sulla mortalità
Tutte le pagine

Esercizio fisico e declino cognitivo

Nel DCL (declino cognitivo lieve) sono state comunemente riconosciute alterazioni neuro-patologiche caratteristiche della demenza di Alzheimer, ma di frequente anche microinfarti e forme miste. Peraltro, siccome la perdita cumulativa neuronale è considerata fondamentale per il processo patologico cognitivo, è stato da più parti proposto di attivare interventi mirati per la preservazione della funzione neuronale e impedire o ritardare così lo sviluppo della forma conclamata di demenza a partire dal DLC.

L'attività fisica si propone come intervento possibile a tale scopo e si riferisce a qualsiasi movimento corporeo prodotto dal muscolo scheletrico che richiede dispendio di energia. Di certo, se pianificato, strutturato e ripetitivo, contribuisce a migliorare o mantenere la forma fisica.

L'esercizio fisico ha, in effetti, dimostrato di aumentare l'attività di diversi fattori neurotrofici e vascolari, compresi l’insulin-like growth factor-1, il brain-derived neurotrophic factor e il fattore di crescita vascolare endoteliale con consequenziale aumento della neurogenesi, dell'angiogenesi, della plasticità sinaptica e della densità delle spine dendritiche nell'ippocampo. L’aumento dell’attività fisica può avere anche un'influenza positiva sullo stato cognitivo attraverso il miglioramento dei fattori di rischio vascolare e del flusso ematico cerebrale. Contrasta, difatti, la malattia ischemica dei piccoli vasi, l’obesità, l’ipertensione, l’ipercolesterolemia, l’iperomocisteinemia e l’insulino-resistenza. Inoltre, il miglioramento della resistenza all'insulina può direttamente aumentare la plasticità sinaptica e il metabolismo energetico. Peraltro, l'esercizio fisico ha dimostrato di migliorare l'espressione dei geni che regolano la produzione degli enzimi dei radicali liberi che possono ridurre i danni prodotti da questi composti ai neuroni, come espressione di malattie neurodegenerative. L'esercizio fisico, infine, può aumentare la produzione dei mitocondri nei neuroni, migliorando di conseguenza il metabolismo energetico del cervello e garantendo, così, l'energia da fornire ai neuroni stessi.
Non c'è dubbio, quindi, che l'esercizio fisico fa bene al cervello. Ma nella forma aerobica o di resistenza? Molti sono stati gli studi che hanno dimostrato gli effetti benefici dell’esercizio aerobico sul cervello.
Dal loro canto, Colcombe SJ dell’University of Illinois e collaboratori, per dimostrare con l’esercizio aerobico negli anziani l’aumento di volume cerebrale delle regioni associate al declino legato all'età, hanno arruolato in uno studio clinico randomizzato di 6 mesi 59 volontari sani di età compresa tra i 60 e i 79 anni, ma sedentari e residenti in comunità (J Gerontol A Biol Sci Med Sci. 2006 Nov;61(11):1166-70). Una metà ha formato il gruppo di allenamento aerobico, mentre l'altra metà quello di controllo per la tonificazione e lo stretching. Venti giovani adulti sono serviti come controllo per la risonanza magnetica per immagini (MRI) e non hanno partecipato ad alcun esercizio. Si riscontrava, così, un aumento significativo del volume del cervello nelle regioni della materia grigia e bianca in funzione del fitness per gli anziani che avevano partecipato alla formazione aerobica, ma non per quelli dello stretching e della tonificazione non aerobica del gruppo di controllo. Nessuna variazione significativa nel volume della materia grigia o bianca si rilevava nel gruppo dei giovani adulti. In conclusione, i risultati avrebbero suggerito che il fitness cardiovascolare si associava con il risparmio del tessuto cerebrale nell’invecchiamento, indicando una forte base biologica per il ruolo dell’aerobica nel mantenere e migliorare la salute del sistema nervoso centrale e il funzionamento cognitivo.
Laura D. Baker dell’University of Washington School of Medicine e collaboratori, su quanto riportato, hanno studiato trentatré adulti con lieve compromissione cognitiva, di cui diciassette donne di età compresa tra i cinquantacinque e gli ottantacinque anni e con età media di settanta anni (Arch Neurol. 2010;67(1):71-79). Dopo sei mesi l’esercizio fisico ad alta intensità aerobica dimostrava effetti sesso-specifici sulla cognizione, sul metabolismo del glucosio, sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e sull’attività trofica. Si ottenevano, d’altro canto, progressi analoghi nel fitness cardiorespiratoria e nella riduzione del grasso corporeo. Nelle donne, poi, l'esercizio aerobico migliorava le prestazioni nei test multipli di funzione esecutiva, nello smaltimento del glucosio aumentato durante il clamp metabolico e riduceva i livelli plasmatici a digiuno d’insulina, di cortisolo e del brain-derived neurotrophic factor. Negli uomini aumentava, invece, i livelli plasmatici dell’insulinlike growth factor e riscuoteva un effetto positivo solo sulla performance del Trails B. In conclusione, secondo gli Autori, lo studio avrebbe fornito sostegno, attraverso una rigorosa metodologia di controllo, a un intervento potente non farmacologico in grado di migliorare i processi esecutivi di controllo per le donne anziane ad alto rischio di declino cognitivo. Inoltre, avrebbe suggerito l’esistenza di differenze di sesso, come fattore di distorsione basato sulle risposte degli assi glucometabolico e ipotalamo-ipofisi-surrene.
Buchman AS della Rush University Medical Center, Chicago e collaboratori, dal loro canto, hanno voluto testare la misura oggettiva dell’attività fisica quotidiana totale nella previsione del declino cognitivo e della malattia di Alzheimer in 716 anziani senza demenza di età media di ottantadue anni, partecipanti allo studio prospettico, osservazionale di coorte Rush Memory and Aging Project (Neurology. 2012 Apr 24;78(17):1323-9. Epub 2012 Apr 18).
I volontari indossavano un dispositivo actigraph ai polsi per registrare tutti i movimenti durante tutti i circa nove giorni. Gli Autori hanno misurato in continuo l’esercizio quotidiano totale e la non attività fisica per un massimo di dieci giorni con actigrafia sottoponendo a verifica strutturata clinica annuale i soggetti con una batteria di diciannove test cognitivi. Durante il follow-up medio di circa quattro anni, settantuno soggetti hanno sviluppato malattia di Alzheimer (MA) clinica. In un modello di regolazione Cox dei pericoli proporzionale per l’età, il sesso e l'istruzione, l’attività fisica giornaliera totale si associava alla malattia di Alzheimer con hazard ratio = 0,477, intervallo di confidenza al 95% 0,273-0,832. La correlazione rimaneva anche dopo aggiustamento per le auto referenti attività fisiche, sociali e cognitive, nonché per l’attuale livello della funzione motoria, dei sintomi depressivi, delle condizioni croniche di salute e dello stato allele APOE. In un modello lineare misto a effetti il livello di attività fisica giornaliera totale si associava con il tasso di declino cognitivo globale (0,033 stima, SE 0.012, p = 0.007). In conclusione, i più alti livelli di attività totale giornaliera sarebbero correlati con una minore velocità di declino cognitivo e con circa metà del rischio di sviluppo della malattia di Alzheimer nel corso dei successivi quattro anni, rispetto alla scarsa attività.
Dal loro canto Nagamatsu LS dell’University of British Columbia, Vancouver, Canada e collaboratori hanno voluto confrontare gli effetti dell’allenamento di resistenza, come il sollevamento dei pesi, e l'esercizio aerobico sulle funzioni cognitive (Arch Intern Med. 2012 Apr 23;172(8):666-8). In un piccolo studio clinico ottantasei donne tra i settanta e gli ottanta anni, con probabile declino cognitivo lieve, residenti in una comunità alloggio per anziani, sono state randomizzate in tre gruppi: ventotto hanno seguito per sei mesi un training bisettimanale di resistenza, trenta un allenamento aerobico settimanale, ventotto, come controllo, un programma di esercizi di mobilizzazione, stretching, equilibrio e rilassamento per due volte la settimana. Nelle donne con problemi di memorizzazione il training di resistenza riscuoteva un miglioramento dell'attenzione selettiva, della memoria associativa, delle funzioni di risoluzione dei conflitti e della plasticità funzionale del cervello in misura superiore rispetto al gruppo di controllo. D’altra parte, i sei mesi di allenamento aerobico comportavano un beneficio fisico e un miglioramento delle condizioni cardiovascolari. La compliance piuttosto bassa agli esercizi suggeriva, peraltro, che le stime di efficacia del training di resistenza sulle funzioni cognitive e sulla plasticità funzionale erano da considerarsi conservative e che gli effetti sarebbero potuti essere di entità ancora maggiore.



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