Sei qui: Notiziario AMEC Anno 2014 notiziario Febbraio 2014 N.2 PER UN APPROCCIO EFFICACE DI PREVENZIONE E CURA DELL’OBESITÀ - Le strategie pratiche professionali nella cura dell’obesità

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notiziario Febbraio 2014 N.2 PER UN APPROCCIO EFFICACE DI PREVENZIONE E CURA DELL’OBESITÀ - Le strategie pratiche professionali nella cura dell’obesità

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Indice
notiziario Febbraio 2014 N.2 PER UN APPROCCIO EFFICACE DI PREVENZIONE E CURA DELL’OBESITÀ
I guadagni in salute e aspettativa della vita alla nascita nell’Europa dei 27
Gli allarmanti aspetti dell’epidemiologia dell’obesità
Italia a confronto con alcune nazioni europee per il sovrappeso e l’obesità
Italiani adulti obesi nel 2012
Prevalenza dell’obesità negli Stati Uniti e sua correlazione con la funzione lavorativa
Anche i medici e le infermiere devono essere più accorti all’aumento del peso
Le strategie pratiche professionali nella cura dell’obesità
Le raccomandazioni 2012 dell’USPSTF sull’obesità degli adulti
Le linee guida 2013 AHA/ACC per la gestione negli adulti del sovrappeso/obesità
Programmi commerciali e sanitari a confronto per il calo del peso
Strategie di successo per la perdita di peso e per il suo mantenimento
Sessioni pratiche culinarie unite alla didattica per combattere l’obesità
Interventi efficaci sullo stile di vita anche nell’obesità grave
La gestione dell’obesità nelle cure primarie
Tutte le pagine

Le strategie pratiche professionali nella cura dell’obesità

In effetti, è ormai noto che anche se due pazienti possono presentare entrambi una BMI che li porta a essere classificati come obesi, condividendo anche alcune sovrapposizioni dei fattori che contribuiscono a dipingere il quadro della malattia, ognuno di loro ha gli unici, propri contributi al loro stato attuale. Proprio per tale premessa, prima di intraprendere un programma di cura per l’obesità e di prevenzione delle comorbidità per la riduzione del peso, bisogna studiare tutti i fattori che contribuiscono allo stato attuale di ogni persona malata. È necessaria, pertanto, una valutazione davvero completa del rischio per la salute con precisazione della storia familiare e personale, soprattutto delle malattie cardiometaboliche come quella coronarica e il diabete di tipo 2.
Non bisogna dimenticare, d’altra parte, di svolgere le indagini sull’ambiente di vita e su come vive il paziente, sul contesto socio-economico abituale, sull’esercizio fisico che pratica, su come e dove si alimenta, sul suo grado d’istruzione. Importante è poi stabilire l’adattamento e le possibilità di aderenza del paziente ai programmi di terapia e anche l’accessibilità personale ai servizi sanitari.  
L'obesità, come grave problema di salute in tutto il mondo, merita, in effetti, una particolare attenzione. Peraltro, anche se è certo che la dieta e l'attività fisica sono fondamentali nella sua gestione, il tasso di successo degli interventi a lungo termine è basso. Pur tuttavia, il trattamento è importante ma, come indicato da più parti, deve essere efficace, ben tollerato, sostenibile e soprattutto sicuro.
È bene ripetere che, pur con il riscontro del sovrappeso e dell’obesità anche in circa due terzi degli adulti delle società più progredite, i medici spesso si sentono impreparati a gestire questo importante problema, soprattutto in maniera ordinata e professionale.
Le strategie pratiche professionali devono, in effetti, poter includere pratiche ben definite come:

  • Lo studio clinico accurato.
  • La formulazione di raccomandazioni per l'autogestione assistita, compresa la guida sulle diete popolari.
  • Il consiglio di programmi commerciali di dimagrimento.
  • Il programma delle consulenze.
  • La prescrizione dei farmaci.
  • L’indirizzo delle fonti d’informazioni adeguate.
  • La raccomandazione della chirurgia bariatrica.
  • La raccomandazione con un approccio sistematico delle azioni sui cambiamenti dello stile di vita.

Inoltre, il paradigma della consulenza comportamentale, basato sul chiedere, consigliare, valutare, assistere, e organizzare, può essere utilizzato come base per l’approccio sistematico e pratico nella gestione della malattia che incorpora elementi di prova per il governo dei più comuni modi di agire, legati a essa.
L'obesità è, invero, una malattia complessa e gli approcci terapeutici, quindi, devono essere altrettanto complessi. Pur tuttavia, proprio per la sua eziologia multifattoriale, è spesso difficile discernere l'impatto di ogni intervento.
In ogni modo, il successo di una cura efficace è definito quando si raggiunge la perdita di almeno il 10% dell'iniziale peso corporeo, mantenuto per almeno un anno. Questa soglia è stata inizialmente suggerita dal miglioramento statisticamente significativo riscontrato nei confronti dei lipidi, del glucosio e del rischio di malattia di cuore.
Tuttavia, tale indice, alla presenza di altre comorbidità, come il diabete di tipo 2, non è sempre utilizzato dai ricercatori per definire il successo della perdita di peso. In ogni modo, il risultato efficace presuppone, di certo, l'adesione a lungo termine a un programma di dieta e di esercizio fisico, spesso possibile solo con i cambiamenti comportamentali. Per ottenerli e mantenerli si è dimostrato di grande efficacia, rispetto ad altri metodi d’interazione, il contatto personale, anche se breve e mensile, tra paziente e medico o tra paziente e educatore.

Il medico di fiducia, infatti, può aiutare i loro pazienti, rafforzando i valori della dieta sana e dell’esercizio fisico, invitandoli al regolare controllo del peso, dell’IMC (indice d massa corporea) e della circonferenza della vita. In casi selezionati può anche favorire un successivo sostegno, ricorrendo alla consulenza nutrizionale e alla terapia cognitivo-comportamentale.
D’altro canto, il supporto sociale e ancor meglio le strategie di coping e la capacità di gestire i fattori di stress della vita rappresentano i fattori associati di valore per il mantenimento della perdita di successo del peso.  Il paziente viene disinibito in tutti quei fattori che presentano il rischio del recupero del peso: l'impulso ad assumere cibo (binge eating), la fame più intensa, il mangiare in risposta alle emozioni negative e allo stress, alle reazioni passive ai problemi e all’assunzione di minore responsabilità nella vita.
In definitiva, la gestione efficace del paziente obeso deve comportare strategie di trattamento, la maggior parte delle quali focalizzate sulla modificazione dello stile di vita, come la dieta e l’attività fisica. Il cambiamento comportamentale dell’obeso, pur non costituendo un intervento in sé, è un metodo sistematico che conduce a modificare il modo e la quantità del mangiare, come pure dell’esercizio fisico o di altri comportamenti che possono contribuire a sostenere l’obesità. Le tecniche di modificazione del comportamento includono l’automonitoraggio, il controllo dello stimolo, la ristrutturazione cognitiva, la gestione dello stress, il sostegno sociale, il problem solving e la gestione delle contingenze.
L'obiettivo della terapia comportamentale è, invero, quello di aiutare i pazienti a fare cambiamenti a lungo termine nelle loro condotte alimentari, modificando e controllando l’assunzione del cibo, modificando la loro attività fisica ed eliminando gli spunti e gli stimoli dell'ambiente che innescano il desiderio del mangiare.
Il primo rapporto di una terapia comportamentale per l'obesità è stato diffuso nel 1967 e dopo la prima relazione si sono estese e intensificate le varie tecniche. Si stima che la perdita media di peso con i programmi comportamentali nelle persone in sovrappeso è aumentata di circa il 75% già tra il 1974 e il 1994. La perdita di peso con i programmi attuali può arrivare fino al 10% del peso corporeo iniziale, raggiungendo valori massimali entro i primi sei mesi del trattamento. Purtroppo, come per gli altri tipi di trattamento dell’obesità, il mantenimento dei chili persi è un traguardo sempre difficile. Come si evince dagli ultimi decenni, i programmi di maggiore durata sono i più efficaci e la combinazione con altri metodi può aumentare l'entità e la durata della perdita di peso.
L'automonitoraggio comprende l'osservazione sistematica e la registrazione dei comportamenti target. Gli strumenti sono le annotazioni giornaliere alimentari per registrare l'apporto calorico totale, quello dei grassi e dei gruppi alimentari in grammi consumati e le condizioni o situazioni in cui l'eccesso di cibo è comune. Sono utili anche i diari dell’attività fisica per registrare la frequenza, la durata e l'intensità dell'esercizio e le misure dei cambiamenti del peso, del grasso corporeo o della massa corporea magra. Anche se i pazienti non sono sempre precisi nel riferire i loro comportamenti dietetici e dell’esercizio fisico, lo scopo primario dell’automonitoraggio è di responsabilizzarli più efficacemente sui loro comportamenti e sui fattori che li influenzano. In effetti, le evidenze degli studi hanno dimostrato che l'automonitoraggio contribuisce ai migliori risultati di trattamento e i pazienti lo dichiarano come uno degli strumenti più utili nel management dell'obesità.
Il controllo dello stimolo comporta l'identificazione e la correzione dei segnali ambientali che si associano con l'assunzione dell’eccesso di cibo e con l'inattività del paziente. In effetti, cambiando i loro ambienti individuali, i pazienti possono avere più successo nel sostenere la loro gestione dei comportamenti riguardanti l’eccesso di peso. Controllando gli stimoli associati all’eccesso di cibo o a una vita sedentaria, si può, invero, ottenere il mantenimento a lungo termine del peso perduto, poiché l'esposizione a questi segnali può precipitare la ricaduta. Possibili suggerimenti su come si può attuare questa strategia sono: il mangiare da soli al tavolo della cucina, non guardare la televisione durante i pasti, evitare la presenza di snack in casa e preparare già la sera la tuta per l’esercizio fisico, come promemoria per camminare o fare jogging il mattino seguente. I pazienti e i loro medici, comunque, devono lavorare insieme per sviluppare le pratiche, le strategie di controllo degli stimoli individualizzati che si adattano allo stile di vita.
La ristrutturazione cognitiva aumenta la consapevolezza dei pazienti sulla percezione di se stessi e del loro peso. I pazienti imparano a cambiare attivamente il dialogo interiore che mina i loro sforzi di gestione del peso. Essa è importante perché spesso nell’obesità si ha una scarsa autostima con un'immagine corporea di sé distorta. Molti obesi, in effetti, sono irrealistici su quanto peso possono perdere e sui benefici che possono ottenere con la perdita di peso.
Lo stress è un fattore predittivo primario di recidiva per ritornare a mangiare in eccesso e a essere obesi. È fondamentale, quindi, che i pazienti imparino con vari metodi a ridurre lo stress e la tensione. Tecniche di riduzione della tensione possono, ad esempio, consistere nella respirazione diaframmatica, nel rilassamento muscolare progressivo e nella meditazione. Esse sono progettate per ridurre la tensione associata all’eccitamento del sistema nervoso simpatico, fornendo, in tal modo, una distrazione dagli eventi stressanti.
Il “problem solving” si riferisce alle autocorrezioni di aree problematiche legate all’alimentazione e all'attività fisica. Approcci a questo tema includono l’individuazione dei problemi legati al peso, generando creatività per far emergere idee volte alla risoluzione del problema e scegliendone una, pianificandola e attuandola anche con alternative sane e valutando l'esito degli eventuali cambiamenti nel comportamento. I pazienti, in effetti, dovrebbero essere incoraggiati a rivalutare le battute d'arresto nel comportamento e valutare i risultati dei loro tentativi, piuttosto che punire se stessi.
La gestione delle contingenze si riferisce al comportamento che può essere modificato mediante l'adozione di ricompense per azioni specifiche, come ad esempio aumentando il tempo trascorso a piedi o riducendo il consumo di specifici alimenti. Ricompense verbali, così come quelle tangibili, possono essere utili, soprattutto per gli adulti. Le ricompense possono provenire sia dalla squadra dei professionisti e sia dagli stessi pazienti. Ad esempio, auto-premi possono essere monetari, sociali e dovrebbero essere tutti incoraggiati.
È noto oramai che il più alto livello di sostegno sociale comporta un maggiore successo nel mantenimento della perdita di peso. Esso può risultare più semplicemente con il coinvolgimento della famiglia nel programma di trattamento dell'obesità con la partecipazione ai programmi comunitari o di attività sociali esterne, come quelli dei centri medici o dei corsi di educazione della comunità, dei centri di benessere e delle attività promosse dalle istituzioni religiose. Questi gruppi o programmi non hanno bisogno di essere orientati verso la gestione del peso. Il sostegno reciproco può essere particolarmente utile per aiutare i pazienti ad accettare se stessi e per sviluppare nuove norme per le relazioni interpersonali e per gestire le situazioni di stress nel lavoro o in famiglia.
Gli interventi sull’obesità, che incorporano tali strategie comportamentali, sono generalmente efficaci nel produrre la graduale e moderata perdita di peso. Numerosi studi negli ultimi decenni dimostrano, infatti, che la perdita media di peso è di 0,45 kg (1 lb) la settimana e più di 8 kg (17.6 lb) per il periodo di trattamento totale. I tassi di abbandono sono generalmente bassi, pari a meno del 18%. Peraltro, l'uso combinato di molteplici strategie comportamentali sembra che si associ a una maggiore perdita di peso.
Pur tuttavia, se dopo tre o sei mesi di attuazione del nuovo stile di vita curativo il paziente non perde almeno 0,5 kg la settimana, si può considerare di ricorrere anche ai farmaci. Il loro uso, però, per le possibili reazioni avverse deve essere sotto lo stretto controllo del medico.
In particolare, l’orlistat è stato associato a effetti avversi gastrointestinali, la fentermina a problemi cardiaci e polmonari, il rimonabant a un aumentato rischio dei disturbi psichiatrici, la sibutramina alle aritmie e all’arresto cardiaco. Nel gennaio 2010 l'agenzia europea per i medicinali ha, infatti, sospeso l'autorizzazione dell'immissione in commercio di quest’ultima a causa del rischio d’infarti miocardici non fatali e d’ictus.
A proposito dei farmaci in generale, è bene ricordare come diversi possano causare aumento del peso, tra cui i betabloccanti, i corticosteroidi, alcuni antidiabetici, gli psicoattivi, l’acido valproico, gli antidepressivi triciclici, peraltro non più prescritti come nel passato. I betabloccanti, in effetti, promuovono un aumento del peso relativamente modesto, mentre l’insulina e le sulfoniluree si associano a guadagni di peso di maggiore portata. I tiazolidinedioni sono anch’essi in causa per la stessa ragione, pur per effetti non della stessa misura. La metformina (Glucophage) e gli inibitori dell’alfa-glucosidasi non si associano, invece, all’aumento del peso. Ne deriva che, essendo il diabete di tipo 2 e l'obesità strettamente correlati tra loro, la prescrizione dell’antidiabetico deve essere sempre attentamente e professionalmente valutata.  
D’altro canto, gli antipsicotici atipici, tra cui il risperidone, la clozapina, la quetiapina, l’olanzapina, lo ziprasidone, l’aripiprazolo, sempre più prescritti per la malattia bipolare, la schizofrenia e altre condizioni psichiatriche, possono determinare un aumento del peso con frequente influenza negativa sull'aderenza al farmaco stesso. Peraltro, non è sufficientemente dimostrato che l’aggiunta della metformina a tali farmaci possa mitigare questo effetto collaterale.

Per quanto riguarda la chirurgia bariatrica, come il bypass gastrico, la gastroplastica verticale fasciata, la diversione biliopancreatica, o il banding gastrico, esse sono indicate in quegli obesi con un indice di massa corporea di 40 kg per m2 o superiore, o per quelli con un indice di massa corporea di 35 kg per m2 o superiore con comorbidità correlate, come il diabete di tipo 2 o la sindrome dell’apnea ostruttiva nel sonno. Bisogna, però, saper individuare bene quali adulti possano beneficiare maggiormente di tale intervento chirurgico, bilanciando individualmente i rischi e i vantaggi. In effetti, pur avendo evidenze di perdite di peso consistenti, in gran parte mantenute anche nel 20% dei casi per dieci anni, mancano, però, sicuri dati sull’efficacia differenziale delle diverse metodiche chirurgiche. Purtroppo, le complicazioni operatorie e postoperatorie sono comuni e in media lo 0,28% dei pazienti muore entro i trenta giorni successivi all'intervento. La mortalità, peraltro, in alcune popolazioni ad alto rischio può raggiungere il 2%.



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