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notiziario Dicembre 2012 N.11 COMPLESSITÀ DELL’OBESITÀ: Le complicazioni - Trattamento antipertensivo negli obesi di classe 3

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Indice
notiziario Dicembre 2012 N.11 COMPLESSITÀ DELL’OBESITÀ: Le complicazioni
Le complicazioni dell'obesità
Obesità e ipertensione arteriosa
Meccanismi che legano l’obesità all’ipertensione
Tessuto adiposo disfunzionale, adipochine, RAAS, SNS e ipertensione
Trattamento antipertensivo negli obesi di classe 3
Grasso viscerale e diabete tipo 2
Indice di massa corporea, diabete, ipertensione e mortalità a breve termine
I disturbi gastrointestinali dell’obeso
Obesità e psoriasi
Insufficienza surrenalica a seguito di chirurgia bariatrica
Obesità e disturbi del sonno
Obesità e trapianto del fegato
Indice di massa corporea e disturbi muscolo scheletrici del piede
Tutte le pagine

Trattamento antipertensivo negli obesi di classe 3

Jens Jordan dell’Hannover Medical School, Germany e collaboratori hanno svolto uno studio che ha interessato uomini e donne di almeno diciotto anni con ipertensione arteriosa e indice di massa corporea di 30 kg / m 2 o superiore (Ther Adv in Endo and Metab. 2012;3(3):93-98). I presupposti risiedevano nella prevalenza in USA di questo tipo di obesità con indice di massa corporea (BMI) ≥ 40 kg / m 2, aumentato di quattro volte tra il 1986 e il 2000. In effetti, la National Health and Nutrition Examination Survey del 2007-2008 aveva dimostrato che il 4% degli uomini e il 7% delle donne presentavano questo grado di obesità, associata all’aumento della mortalità, determinata in gran parte dall'incremento dell’ipertensione, del diabete e dell’iperlipidemia, in contrapposizione alle classi inferiori. In alcuni studi il controllo della pressione sanguigna di questi pazienti era risultato particolarmente difficile. Gli autori, in particolare, già precedentemente avevano ottenuto risultati da uno studio in doppio cieco, randomizzato in 489 pazienti con obesità e ipertensione arteriosa, non-responder all’idroclorotiazide (HCT). In quest’ultimo lavoro hanno riportato i risultati di un'analisi post hoc del controllo a dodici settimane della pressione arteriosa nel sottogruppo di pazienti con obesità classe 3, rispetto a quelli della classe 1/2. L’inclusione dei partecipanti interessava quelli con una pressione arteriosa diastolica di 110 mmHg o superiore o una sistolica di 180 mmHg o superiore. Erano esclusi i casi d’ipertensione secondaria, di diabete mellito, di storia di grave malattia cardiovascolare o cerebrovascolare o di altre malattie gravi. Dopo lo screening erano sospesi i farmaci antipertensivi per 2-4 settimane. Poi si avviava un singolo periodo cieco di rodaggio con idroclorotiazide 25 mg una volta al giorno per quattro settimane. I pazienti la cui pressione arteriosa si controllava in tal modo interrompevano lo studio. I nonresponder erano randomizzati a doppio cieco con aliskiren 150 mg, irbesartan 150 mg, amlodipina 5 mg, o placebo una volta al giorno in aggiunta alla HCT 25 mg.

Dopo quattro settimane le dosi di aliskiren, d’irbesartan, di amlodipina si raddoppiavano e i pazienti proseguivano il trattamento per ulteriori otto settimane. I cambiamenti alla 12^ settimana rispetto al basale della pressione arteriosa erano analizzati separatamente con due vie di analisi del modello di covarianza per i sottogruppi di pazienti (intent-to-treat) con l’obesità di classe 1/2 o 3 al basale. I tassi di controllo della pressione sanguigna erano, quindi, analizzati per ogni sottogruppo, utilizzando un modello di regressione logistica. Tutti i test statistici erano eseguiti con un duplice livello di significatività di 0,05 e gli intervalli di confidenza al 95% erano forniti per le differenze tra i gruppi di trattamento.
Il controllo della pressione sanguigna nell'obesità di classe 3 era raggiunto con minore probabilità con la monoterapia d’idroclorotiazide, mentre l'aggiunta dell’amlodipina, dell’irbesartan, dell’aliskiren al diuretico per migliorare la risposta dimostrava che il calcioantagonista era meno efficace e induceva edema periferico nel 19% dei pazienti.
Questo studio era, quindi, a conferma del fatto che i pazienti obesi di classe 3 rappresentano un gruppo di difficile trattamento per l’ipertensione e per le associate complicanze cardiovascolari. Le linee guida di trattamento continuano a sostenere, peraltro, che la perdita di peso è il mezzo più efficace per abbassare la pressione sanguigna. Una recente dichiarazione scientifica dall’European Society of Hypertension Working Group on Obesity lo conferma tassativamente. Pur tuttavia, anche con la perdita di peso, indotta dalla profonda chirurgia bariatrica, in molti pazienti è stato dimostrato il fallimento a lungo termine del controllo della pressione arteriosa. Peraltro, nella maggior parte dei pazienti con obesità di classe 3 di questo studio le basse dosi in monoterapia della HCT non controllavano la pressione sanguigna, a conferma di precedenti osservazioni. Da notare ancora che nell’ampio studio ALLHAT (Antihypertensive and Lipid-Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial) i pazienti con un BMI di almeno 30 kg / m 2 erano necessari più farmaci antipertensivi e, comunque, con minore probabilità di raggiungere la pressione arteriosa desiderata.
Gli inibitori del sistema renina-angiotensina possono essere particolarmente utili in regime di combinazione nei pazienti con obesità grave, avendo in numerosi studi dimostrato la loro efficacia e tolleranza. Costituiscono, peraltro, l’approccio di trattamento ragionevole dal punto di vista fisiopatologico. Peraltro, questi farmaci non favoriscono il diabete mellito. Per quanto riguarda poi l’aliskiren, bisogna considerare il vantaggio potenziale costituito dal fatto che il farmaco raggiunge concentrazioni relativamente elevate nel tessuto adiposo degli obesi e ipertesi, potendo essere ancora presente in concentrazioni tissutali otto settimane dopo l'interruzione del trattamento.



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