Obesità e trapianto del fegato
John C. LaMattina dell’University of Maryland School of Medicine, Baltimore, USA e collaboratori, considerando il continuo aumento di prevalenza dell'obesità e della sindrome metabolica con il consequenziale effetto moltiplicatore sulla NASH (non-alcoholic steatohepatitis) e lo stadio terminale dell’insufficienza epatica con necessità del trapianto, tra l’1 gennaio 1997 e il 31 dicembre 2008 hanno studiato nel loro centro 813 casi d’intervento (Clinical Transplantation Vol. 26, 6, 910–918, Nov./Dec. 2012). Gli Autori hanno suddiviso i pazienti in gruppi sulla base della classificazione dell’obesità dell'Organizzazione Mondiale della Sanità Internazionale. I pazienti all'interno di ogni classe di obesità sono stati confrontati con i destinatari di peso normale. Tra tutti i gruppi, i dati demografici preoperatori erano simili. La NASH era più comune nei gruppi con più alta BMI. Il tempo operatorio, l'uso di trasfusioni ed emoderivati, la degenza in ICU, le complicanze infettive e quelle che richiedevano un intervento sulle vie biliari erano superiori negli obesi. La trombosi venosa profonda si verificava più frequentemente nei pazienti con obesità di classe III. Quelli di classe II avevano più bassa sopravvivenza di pazienti (HR 1,82, IC 1,09-3,01, p = 0,02) e del trapianto (HR 1,62, IC 1,02-2,65, p = 0,04). All'analisi multivariata, però, la classe dell'obesità non raggiungeva la significatività statistica.
Gli Autori concludevano, comunque, che, nonostante le maggiori sfide tecniche operative e le complessità mediche associate con l'aumento della BMI del destinatario, l’obesità patologica di per sé non doveva essere una controindicazione assoluta al trapianto di fegato, siccome questi pazienti raggiungevano ragionevoli risultati a lungo termine.