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notiziario Dicembre 2012 N.11 COMPLESSITÀ DELL’OBESITÀ: Le complicazioni - Le complicazioni dell'obesità

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Indice
notiziario Dicembre 2012 N.11 COMPLESSITÀ DELL’OBESITÀ: Le complicazioni
Le complicazioni dell'obesità
Obesità e ipertensione arteriosa
Meccanismi che legano l’obesità all’ipertensione
Tessuto adiposo disfunzionale, adipochine, RAAS, SNS e ipertensione
Trattamento antipertensivo negli obesi di classe 3
Grasso viscerale e diabete tipo 2
Indice di massa corporea, diabete, ipertensione e mortalità a breve termine
I disturbi gastrointestinali dell’obeso
Obesità e psoriasi
Insufficienza surrenalica a seguito di chirurgia bariatrica
Obesità e disturbi del sonno
Obesità e trapianto del fegato
Indice di massa corporea e disturbi muscolo scheletrici del piede
Tutte le pagine

Le complicazioni dell'obesità

La crescita epidemica dell’obesità assume grande interesse quando si considera che il grado di malattia si collega chiaramente con una serie di risultati negativi sulla salute.

Si riconoscono, difatti, diverse condizioni patologiche a livello di quasi tutti gli organi e apparati dell’organismo che è bene ricordare, poiché complicano il percorso dell’obeso.

  • A livello cardiovascolare: aterosclerosi accelerata, ipertensione arteriosa, cardiomiopatia e ipertrofia ventricolare sinistra, malattia coronarica, ipertensione polmonare, cuore polmonare cronico.
  • A livello broncopolmonare: aumento del rischio delle malattie respiratorie di tipo infettivo e non, aumento del rischio di asma bronchiale, sindrome da ipoventilazione, sindrome di Pickwick, sindrome dell’apnea ostruttiva del sonno.

  • A carico delle neoplasie maligne: aumento d’incidenza del cancro del colon, della mammella, dell’endometrio, della prostata, del polmone, della colecisti.
  • A carico del sistema nervoso: ictus, ipertensione endocranica idiopatica.

 Eva Negri del Consorzio Interuniversitario Lombardo per l'Elaborazione Automatica e collaboratori, utilizzando i dati dell'Italian National Health Survey del 1983, basato su di un campione di 72.284 persone di quindici anni o più, scelte a caso all'interno degli strati delle aree geografiche, delle dimensioni del luogo di residenza e della famiglia, in modo da essere rappresentativo dell'intera popolazione italiana, hanno analizzato la relazione tra l’indice di massa corporea e la prevalenza di diciassette malattie croniche o loro gruppi (Journal of Epidemiology and Community Health, 1988, 42, 24-29).

La prevalenza del diabete era direttamente e fortemente legata al peso corporeo. La stima del rischio relativo, aggiustata per età, era per gli uomini 1.5 in caso di sovrappeso e 2,7 per l’obesità, rispetto ai soggetti di peso normale. Per le donne in sovrappeso era, invece, 1.6 e 2.4 per le obese. Altre condizioni direttamente connesse con le misure auto-riferite di peso corporeo erano l’ipertensione con rischio relativo = 1,7 per gli uomini obesi e 1,9 per le donne, l’infarto miocardico con rischio relativo = 1,5 e 1,6 rispettivamente, altre malattie cardiache 1,7 e 1.5, le emorroidi o le varici 1,2 e 1,5, la colelitiasi 1,2 e 1,4, l’urolitiasi e l'artrite. I disturbi respiratori cronici mostravano una relazione a U con le misure del peso corporeo, in quanto la loro diffusione era elevata in entrambi gli individui in sotto e sovrappeso. Le anemie e l’ulcera gastroduodenale mostravano una relazione inversa al peso corporeo, mentre nessuna associazione era evidente con l'allergia, la cirrosi epatica e i disturbi psichiatrici o neurologici. La facilitazione per le due covariate principali identificate, l’istruzione e il fumo, non è riuscivano a spiegare le variazioni osservate tra le misure del peso corporeo e le malattie, mentre l'analisi separata dei vari strati di età indicava che nei giovani per la maggior parte delle malattie i rischi elevati di obesità età diminuivano costantemente con l'avanzare dell'età.

In conclusione, i risultati di questa indagine nazionale indicavano che l’eccesso di peso aveva un impatto diffuso e rilevante non solo sulla mortalità, ma anche sulla morbilità di diverse malattie croniche.

Eppure l’obesità continua ad aumentare di prevalenza nel mondo, soprattutto in alcuni Paesi come negli Stati Uniti.

Roland Sturm della RAND Corporation ha dichiarato recentemente che il numero degli americani gravemente obesi è salito di circa il 70% negli ultimi dieci anni, pur segnando un rallentamento d’incremento solo più recentemente. I risultati del sondaggio annuale di salute degli adulti del governo USA, riportati il 18 settembre sull'International Journal of Obesity, confermavano, difatti, che tra il 2000 e il 2010 la percentuale dei gravemente obesi con almeno 45 kg di sovrappeso è passata, difatti, dal 4 a quasi il 7%. Solo dopo il 2005 si è verificato un rallentamento, ma non a carico delle forme più gravi il cui tasso è stato superiore del 50% nelle donne rispetto agli uomini e due volte più elevato tra i neri americani come tra gli adulti bianchi e ispanici.

In tal modo più di un terzo degli americani adulti ha un indice di massa corporea (BMI) di trenta o superiore, mentre coloro con BMI di quaranta o superiore dimostrano ancora una rapida crescita. Ciò corrisponde a circa quindici milioni di adulti statunitensi con un BMI elevato e si traduce, ovviamente, in costi sanitari, ma anche del modo umano di vivere individuale per i problemi correlati all'obesità e riguardanti la salute e spesso la disabilità e l'incapacità di lavorare.

James A. Levine della Mayo Clinic, Rochester, Minnesota nella sua pubblicazione, facendo notare come i Paesi ad alto reddito tendessero ad avere maggiori tassi di obesità rispetto a quelli a medio e basso per un rapporto diretto con lo sviluppo della ricchezza, come dimostrato dagli Stati Uniti e più di recente dalla Cina e dall’India, rivolgeva la sua attenzione alle condizioni di povertà del 15,1% degli americani in seguito alla crisi economica, il cui numero è salito nel 2010 a quarantasei milioni di persone, il più grande in più di cinquanta anni (Diabetes. 2011 November; 60(11): 2667–2668).

Dallo studio dell’Autore derivava che in America, in contrasto con le tendenze internazionali, le persone residenti nelle contee con maggior densità di povertà erano quelle più interessate all'obesità. Difatti, le contee con i tassi di povertà superiori al 35% presentavano tassi di obesità del 145% superiori a quelle ricche.

Bray GA del Pennington Biomedical Research Center, Baton Rouge, Louisiana, USA già nel 1996 descriveva molto compiutamente i rischi per la salute e le diverse disabilità sociali associate con l'obesità (Endocrinol Metab Clin North Am. 1996 Dec;25(4):907-19).

L’Autore poneva anche l’accento sull’aumento della mortalità determinata dall’eccesso del peso corporeo. Tale dato si riferiva alle malattie cardiache, al diabete mellito, alle colecistopatie, alla pressione alta e al cancro. Dallo studioso era riservata particolare importanza ai cambiamenti fisiopatologici cardiovascolari con la conseguente ipertrofia ventricolare sinistra e con le alterazioni dei lipidi. Era anche descritto l’aumento dell'ipertensione, dell’ictus e della stasi venosa, ma pure le anomalie polmonari, come l’apnea ostruttiva del sonno, con associata la policitemia secondaria e l’ipertrofia ventricolare destra. Così pure, l’Autore segnalava l’aumento significativo della calcolosi biliare, delle altre malattie della colecisti e dell'accumulo di grasso nel fegato. Ancora descriveva come comuni la gotta e le anomalie riproduttive nelle donne, mentre considerava rara l'osteoporosi, pur alla presenza dell’aumento dell’artrosi del ginocchio e della colonna vertebrale. Era, in particolare, messo in risalto l’aumentato rischio di cancro al seno e quello endometriale, soprattutto in rapporto all’aumento del grasso centrale. Erano, inoltre, descritte le alterazioni cutanee, come le smagliature, l’acanthosis negricans, l’irsutismo, l’intertrigine e i papillomi multipli. Non si tralasciavano, peraltro, le alterazioni della funzionalità psicosociale, come l'isolamento sociale, la perdita di mobilità nel lavoro, l'assenteismo e la discriminazione economica e sociale. Queste ultime, sino a oggi, sono, invero, poco studiate ma non meno gravi. Esse spesso sono accese e mantenute dalla discriminazione sul posto di lavoro o a scuola oppure in numerose altre occasioni.  Si rilevano, difatti, normalmente tassi elevati di depressione, di disturbi bipolari, di agorafobia, di attacchi di panico. Quando interviene, poi, la sindrome dismorfica, secondo un circolo vizioso, si concreta sempre più l’aggravamento del quadro clinico.



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