Vit. “D” e ipertensione
È noto che al calare della calcemia si alza l’ormone paratiroideo (PTH) determinandosi un aumento di attività degli osteoclasti e il rilascio di calcio dalle ossa. Il PTH, per ridurre l'escrezione urinaria del calcio, agisce anche a livello renale, stimolando la conversione della 25 (OH) D in 1,25 diidrossivitamina D. A sua volta, quest’ultima:
- in primo luogo aumenta la sintesi delle proteine di trasporto del calcio, necessarie per l'assorbimento intestinale del minerale attivo,
- in secondo luogo stimola il suo riassorbimento nel tubulo renale distale,
- in terzo luogo provoca il suo rilascio dalle ossa, stimolando gli osteoclasti.
Nei pazienti con carenza di vitamina “D”, quindi, inclini a sviluppare bassi livelli plasmatici di calcio ionizzato, è stimolato il recettore della ghiandola paratiroide, sensibile al minerale, inducendo il rilascio dell’ormone al fine di riequilibrare l’omeostasi. L'ormone paratiroideo, secondo alcune evidenze, aumenterebbe la rigidità vascolare promuovendo cambiamenti aterosclerotici, particolarmente nei pazienti con malattia renale.
Sulla base di tali premesse, si fonda, pertanto, la plausibilità biologica dell’effetto della vitamina “D” sulla pressione sanguigna, per cui ai suoi bassi livelli sierici corrisponde un aumento del PTH, notoriamente collegato all’ipertensione. I livelli di quest’ultimo si sono dimostrati, peraltro, inversamente correlati con le concentrazioni di 25 (OH) D e studi epidemiologici hanno indicato che, quando superiori alla norma, si associano a un aumentato rischio di eventi cardiovascolari e mortalità. Meccanicisticamente il PTH aumenta, quindi, la pressione sanguigna ed esercita vari effetti sul cuore, compresa l'ipertrofia del miocardio e la condizione pro-aritmica. Ne deriva, quindi, che la soppressione del PTH, da supplementazione della vitamina “D”, potrebbe ridurre il rischio cardiovascolare. Il recettore della vitamina, peraltro, potrebbe essere coinvolto nella regolazione dell’espressione della renina. I suoi polimorfismi, in effetti, hanno dimostrato di influenzare i livelli della pressione sanguigna. Una maggiore attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS), che è un principale regolatore degli elettroliti e dell’omeostasi di volume, contribuisce, difatti, allo sviluppo d’ipertensione arteriosa direttamente per vasocostrizione e indirettamente per il sale con la conseguente ritenzione idrica e per altri meccanismi. È importante, in tale contesto, ricordare che un’inappropriata maggiore attivazione del RAAS è stata segnalata nei topi VDR e 1α-idrossilasi knockout. Pur tuttavia, questi animali sviluppavano ipertensione arteriosa e ipertrofia miocardica anche dopo la normalizzazione dell'omeostasi del calcio. Invece, il blocco del sistema RAAS con gli Ace - inibitori normalizzava la pressione sanguigna e le anormalità cardiache, similarmente al trattamento con 1 , 25 (OH) 2D. Gli effetti molecolari della vitamina “D” sul RAAS sono stati chiariti anche dalla constatazione che il ligando VDR sopprime l'espressione della renina, collegandosi al CREB (cAMP-response element-binding protein). Come risultato, è inibita la stimolazione della trascrizione della renina perché il CREB non è più in grado di stimolarne la trascrizione, legandosi a elementi di risposta cAMP nella regione del promotore del gene della renina. In coerenza a quanto citato, negli ipertesi l'attività della renina è stata inversamente associata ai livelli di 1,25 (OH) 2D e in diversi studi, dopo suo trattamento, si sono osservate diminuzioni dei livelli di renina e dell’angiotensina II. Inoltre, gli effetti nefroprotettivi della vitamina sono anche legati alla sua capacità di difesa della perdita di podociti e della riduzione della loro ipertrofia, ma anche di soppressione della proliferazione delle cellule mesangiali. Tutto ciò si porrebbe come valido antagonismo allo sviluppo dell’ipertensione arteriosa in corso d’insufficienza renale.
Peraltro, la vitamina può anche migliorare contemporaneamente, come prima citato, la funzione endoteliale e indirettamente, proteggendo la stabilità della parete vasale, impedire la rigidità dei vasi e, quindi, le conseguenze negative emodinamiche. Essa e i suoi analoghi sarebbero in grado di provocare vari effetti sulle cellule della parete del vaso e, quindi, su quelle endoteliali, muscolari lisce vascolari e macrofagi, che tutte insieme esprimono il VDR, così pure la 1α-idrossilasi. L'endotelio, in effetti, modula il tono vascolare attraverso il rilascio di substrati, tra cui l'ossido nitrico e la prostaciclina, che rilassano la sottostante muscolatura liscia vascolare. Questi fattori sono indicati come EDRF (endothelium-derived relaxing factors). D’altro canto, sotto alcune circostanze l'endotelio può anche suscitare contrazioni endotelio-dipendenti, come dimostrato nell'aorta di ratto, in rapporto alla produzione di metaboliti dell’acido arachidonico, soprattutto l’endoperossido e la prostaciclina, che attivano i recettori del TP (thromboxane-prostanoid) delle cellule muscolari lisce vascolari. L'endotelio sano ha una produzione equilibrata di EDRF e di EDCF (endothelium-derived contracting factor). La disfunzione endoteliale disturba questo equilibrio e favorisce la produzione di EDCF, come nell'aterosclerosi, nell’infarto del miocardio e nell’ipertensione, sia negli uomini sia negli animali, tra cui il ratto SHR (spontaneously hypertensive rats), quelli normotesi ma invecchiati e quelli diabetici. La produzione di EDCF è un processo calcio-dipendente, in cui l’afflusso di calcio attiva la fosfolipasi A2 che converte i fosfolipidi di membrana in acido arachidonico. L’enzima COX-1 (ciclossigenasi-1), presumibilmente legato alla membrana, poi catalizza la trasformazione dell'acido arachidonico in endoperossidi, precursori dell’EDCF. Pertanto, la concentrazione di calcio endoteliale riveste un ruolo molto importante per le risposte EDCF-mediate.