Modalità con cui la Vit. “D” può ridurre il rischio cardiovascolare
Diverse ricerche suggeriscono che la vitamina “D” può ridurre il rischio cardiovascolare attraverso diversi meccanismi:
- inibendo la proliferazione della muscolatura liscia vascolare,
- regolando la pressione sanguigna,
- regolando il metabolismo del glucosio,
- riducendo l'infiammazione.
La sua carenza, tradizionalmente ritenuta come solo fattore eziologico nelle malattie delle ossa, come il rachitismo e l’osteomalacia, ha assunto con i più recenti studi sempre più il ruolo di fattore di rischio universale di malattie multifattoriali.
Essa, peraltro, può anche ridurre il rischio di neoplasie, inibendo la proliferazione cellulare, l'angiogenesi, le metastasi e l'infiammazione. Alla luce di questi dati, l'entusiasmo verso i supplementi vitaminici, pur offrendosi come promettente rimedio di salute pubblica, viene ancora frenato dalla necessità di prove rigorose e conclusive di conferma. Al momento, comunque, è bene raccomandare, soprattutto in inverno, autunno e primavera, alle persone che vivono sopra il 37° parallelo dove l'energia dei raggi ultravioletti B del sole può non essere sufficiente, tutta la vitamina “D” di cui hanno bisogno, anche se si spendono molte ore all’aperto durante il giorno. Il consiglio deve estendersi, peraltro, anche alle persone con pigmentazione scura della pelle e a chi usa filtri solari.
La vitamina, come dimostrato più particolarmente dagli studi di laboratorio, ha un potente effetto immunomodulante, inibendo la produzione delle prostaglandine e della cicloossigenasi. Riduce anche la matrice metalloproteinasi 9 e numerose citochine proinfiammatorie, mentre aumenta l’interleuchina 10, portando, con tutto questo, alla riduzione dell’infiammazione. Peraltro, tale microelemento inibisce anche la proliferazione vascolare e la calcificazione dei fasci muscolari vascolari. Difatti, diversi studi sugli animali indicano che in dosi moderate si ottiene la riduzione dell’afflusso cellulare del calcio e l’aumento della matrice proteica Gla, che inibisce la proliferazione della muscolatura liscia vascolare e la calcificazione delle pareti. Pur tuttavia, questi effetti protettivi contrastano con l'ipercalcemia derivante dal suo elevato apporto, soprattutto in un’insufficienza renale o in altri fattori di rischio inducenti, proprio, l’aumento della calcificazione vascolare. Peraltro, la vitamina regola la pressione sanguigna riducendo l'attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone, inibendo l'espressione genica della renina e la sua sintesi, con un effetto positivo anche sull’omeostasi del volume sanguigno. Infine, come detto, essa regola il metabolismo del glucosio, aumentando la sensibilità all'insulina. Nei riguardi più inerenti al cuore, sono note le condizioni di animali che in sua carenza hanno la pressione sanguigna più alta e di quelli, geneticamente modificati per non avere i recettori VDR (modelli knock-out), che sviluppano l'ipertrofia ventricolare sinistra e l’insufficienza cardiaca. A tale riguardo, infatti, bisogna considerare che il recettore della vitamina è presente in sostanza in tutti i tessuti, compresi i miociti cardiaci e le cellule endoteliali. D'altra parte, gli animali, geneticamente modificati per non avere l’1-alfa-idrossilasi e, quindi, con incapacità di produrre la sua forma più attiva, sviluppano anch’essi l'ipertrofia ventricolare sinistra. Di conseguenza, essi possono essere salvati con la somministrazione di 1,25-diidrossi vitamina D3. Questi risultati sono, peraltro, coerenti con ciò che si osserva nei pazienti in stadio terminale della malattia renale, i quali, producendo pochissima 1,25-diidrossivitamina D3, spesso sviluppano, per l’appunto, l’ipertrofia ventricolare sinistra, l’insufficienza cardiaca diastolica, l'aterosclerosi e la calcificazione vascolare. A tale proposito conviene ricordare che gli studi di Wang L, Wang TJ, Melamed ML, Hsia J, LaCroix AZ hanno cercato di chiarire i rapporti tra lo stato della vitamina “D” e i suoi effetti cardiovascolari (vedi notiziario 3 marzo 2010).