Alto il rischio cardiovascolare se la Vit. “D” sierica è bassa
Grandi NC del German Cancer Research Center, Heidelberg, Germany e collaboratori hanno eseguito una revisione sistematica, fino al novembre 2009, con selezione della segnalazione delle stime di associazione tra la 25-OH-D con l’incidenza degli eventi cardiovascolari e della mortalità nella popolazione generale o nei soggetti con prevalenza della malattia cardiovascolare (Prev Med. 2010 Sep-Oct;51(3-4):228-33). Registravano, così, nei dati provenienti dagli studi prospettici un'associazione inversa tra 25-OH-D e rischio cardiovascolare. Tuttavia, dato il numero e l’eterogeneità dei piccoli studi longitudinali, gli autori intendevano concludere che erano necessarie ulteriori ricerche per confermare un potenziale valore prognostico della 25-OH-D per l'incidenza delle malattie cardiovascolari e per la mortalità.
Mohamed B. Elamin e collaboratori della Mayo Clinic, Rochester, Minnesota, dal loro canto, sulla base dei diversi studi sull’associazione tra i livelli di vitamina “D” e ipertensione, calcificazione delle arterie coronarie e malattie cardiache, hanno voluto riassumere le evidenze nei meriti (J. Clin. Endocrinol. Metab. 2011 96: 1931-1942).
Hanno, quindi, cercato i database elettronici fino all’agosto 2010, relativi agli studi clinici randomizzati, utilizzando il rischio relativo (RR) e le differenze ponderate medie di tutti gli studi. Gli AA hanno selezionato cinquantuno prove elegibili, con qualità moderata, rilevando che la vitamina si associava nel paziente a esiti non significativi di morte [RR, 0,96; intervallo di confidenza al 95% (IC), 0,93, 1,00; P= 0,08], d’infarto miocardico (RR, 1,02, 95% IC, 0.93, 1.13; P= 0,64) e d’ictus (RR, 1,05, 95% IC, 0,88, 1,25; P= 0,59). Queste analisi sono state contrassegnate da una minima eterogeneità.
Non si sono rivelate variazioni significative sugli esiti surrogati delle frazioni dei lipidi, del glucosio o della pressione sanguigna diastolica e sistolica. L'analisi di queste ultime dimostrava anche la loro associazione con una significativa eterogeneità, mentre le stime d’insieme erano insignificanti nei termini assoluti. Gli AA, quindi, hanno concluso che i risultati delle prove a loro disposizione non erano in grado di dimostrare una riduzione statisticamente significativa della mortalità e del rischio cardiovascolare associato con la vitamina “D”, ad eccezione del caso di un aumento banale delle lipoproteine ad alta densità.