Supplementi di Vit. “D” e mortalità nelle anziane
Per loro parte, invece, Bjelakovic G dell’Università di Nis, Zorana Serbia, e collaboratori, per valutare il possibile ruolo della vitamina “D” nella prevenzione della mortalità degli adulti, hanno compiuto una ricerca bibliografica selezionando studi randomizzati con il confronto della vitamina “D”, a qualsiasi dose, durata e via di somministrazione, rispetto al placebo o a nessun intervento (Cochrane Database Syst Rev. 2011 Jul 6;(7):CD007470). In cinquanta studi randomizzati di 94.148 partecipanti hanno trovato i dati per le analisi di mortalità. Nella maggior parte erano incluse donne anziane di età superiore ai settanta anni, ricoverate negli istituti di cura. La vitamina “D” era stata somministrata per un periodo medio di due anni. Più della metà degli studi aveva un basso rischio di bias. Nel complesso, la vitamina si associava a diminuita mortalità (RR = 0,97, intervallo di confidenza (IC) al 95% 0,94 a 1.00, I (2) = 0%). Nella valutazione separata delle diverse forme di vitamina, solo la D3 correlava con la riduzione significativa della mortalità (RR 0,94, IC 95% da 0,91-0,98, I (2) = 0%, 74.789 partecipanti, trentadue trial), mentre la vitamina D2, alfacalcidolo, o calcitriolo no. La vitamina D3 riduceva, quindi, la mortalità di circa il 6%, corrispondenti a circa 161 persone da trattare per circa due anni al fine di salvare una vita. In combinazione con il calcio, però, aumentava il rischio di calcolosi renale (RR 1.17, IC 95% 1,02-1,34, I (2) = 0%). L’alfacalcidolo e il calcitriolo, invece, aumentavano il rischio d’ipercalcemia (RR 3.18, IC 95% 1,17-8,68, I (2) = 17%).