Fritture e rischio di malattia cardiovascolare
La frittura è uno dei metodi di cottura più comunemente utilizzati e richiesti nel mondo occidentale. Purtroppo, le pietanze fritte comportano modifiche del valore nutrizionale degli alimenti per la perdita di acqua, l’arricchimento di grasso e il consequenziale aumento della densità energetica. Inoltre, la frittura modifica non solo gli alimenti ma anche il mezzo perché gli oli, soprattutto quelli riutilizzati, si deteriorano attraverso i processi di ossidazione e idrogenazione, portando a una perdita di grassi insaturi e un aumento di quelli trans. La quantità di questi ultimi dipende dalla tecnica di frittura, dal grado di degradazione termica dell'olio, dal tipo di cibo, e, soprattutto di olio, il cui grado di saturazione ne aumenta la formazione. D'altra parte, l'uso dei grassi solidi per friggere può anche aumentare il contenuto degli acidi grassi trans. Inoltre, con la frittura il contenuto di acidi grassi nei pesci può cambiare marcatamente. Tuttavia, alcuni alimenti quali alcuni tipi di pesci, mostrano minime variazioni nel contenuto di acidi grassi trans dopo frittura, indipendentemente dall’olio di oliva o di girasole utilizzato. Così, il cibo fritto, che tende a migliorare la palatabilità rendendo il pasto croccante, assorbe, purtroppo, i prodotti di degradazione dell’olio. Pur tuttavia, bisogna riconoscere che il processo di frittura è complesso e ancora non ben compreso tanto da stimolare continue ricerche nei meriti per chiarimenti sempre più concreti sui suoi effetti sulla salute.
Per loro parte, Wayne H. F. Sutherland dell’University of Otago Medical School Dunedin, New Zealand e collaboratori, sulla base che la paraoxonasi, glicoproteina calcio-dipendente circolante nelle lipoproteine ad alta densità (HDL) è in grado di prevenire la perossidazione delle lipoproteine a bassa densità (LDL) e di contrastare, pertanto, il processo ateromasico, hanno svolto uno studio randomizzato nei meriti (Arteriosclerosis, Thrombosis, and Vascular Biology 1999; 19: 1340-1347). Tale enzima trae il suo nome per la capacità di idrolizzare il paraoxon, contenuto in alcuni insetticidi e metabolita reattivo prodotto per disulfirazione ossidativa dal sistema della citocromo P-450 a partire dal parathion. La sua attività si è dimostrata inversamente correlata al rischio cardiovascolare. Negli animali, difatti, l'immissione di lipidi ossidati nella circolazione riduce l'attività paraoxonasica e le diete ricche di grassi ossidati accelerano lo sviluppo dell’aterosclerosi. La famiglia della paraoxonasi si compone di tre membri (PON1, PON2, PON3) codificati da tre geni diversi. Gli Autori hanno, così, confrontato in dodici uomini sani l'effetto di un pasto ricco di lipidi ossidati, in forma di grasso usato per friggere in un ristorante fast food e di un altro di controllo con corrispondente grasso vergine, sull’attività paraoxonasica (arilesterasi) di campioni di siero post-prandiale. Hanno anche valutato il contenuto di perossido di LDL e la sua suscettibilità all'ossidazione, catalizzata dagli ioni di rame. Nelle quattro ore del periodo post-prandiale l'attività paraoxonasica sierica diminuiva significativamente dopo il pasto con grasso già utilizzato (-17%, P = 0,005), mentre aumentava significativamente dopo il pasto ricco di grassi non utilizzati (14%, P = 0,005). Questi cambiamenti erano significativamente diversi (P = 0.003). Un’analisi protratta nel tempo indicava anche che l'attività paraoxonasica del siero rimaneva inferiore a quella di base fino a otto ore dopo il pasto con grasso già utilizzato. Inoltre, la concentrazione sierica dell’APOA1 tendeva a diminuire dopo il pasto con grassi non utilizzati, mentre tendeva ad aumentare dopo quello con grasso già utilizzato. Questi cambiamenti erano differenti a livello marginale di significatività (P = 0,07). Ancora, dopo il pasto con grassi non utilizzati, si registrava una diminuzione post-prandiale significativamente maggiore (P = 0,03) del contenuto dell’APOA1 delle HDL. Il tenore del perossido delle LDL tendeva a diminuire dopo il pasto con grassi già utilizzati e ad aumentare nel pasto di controllo. Anche questi cambiamenti erano significativamente diversi (P = 0,04). La suscettibilità all'ossidazione delle LDL isolate agli ioni del rame e i livelli plasmatici della malondialdeide rimanevano invariati nel corso di tutto lo studio. Secondo gli Autori, i loro dati avrebbero suggerito che, dopo un pasto ricco di grassi da cucina già usati nel periodo post-prandiale, la protezione enzimatica delle LDL contro l'accumulo dei perossidi e le modificazioni ossidative aterogeniche potrebbero essere ridotte. Ciò probabilmente a causa di fattori acutamente associati all’APOA1, senza compromissione della resistenza intrinseca delle LDL all’ossidazione in vitro.
Peraltro, Echarte M e collaboratori dell’Universidad de Navarra, Pamplona in Spagna hanno studiato l'effetto sugli acidi grassi e sul colesterolo della lombata di maiale della frittura in olio di girasole per quattro min a temperature diverse: 160, 170 e 180 gradi C (J Food Prot. 2001 Jul;64(7):1062-6). Il contenuto totale di grasso della lombata fresca aumentava dal 5,6% al 7,3, 7,8 e 12,1% a 160, 170 e 180 gradi C rispettivamente. Le interazioni con il grasso culinario davano luogo a un significativo aumento dei rapporti acidi insaturi / acidi grassi saturi e acidi grassi polinsaturi / saturi, il che avrebbe potuto costituire un vantaggio dal punto di vista nutrizionale. Inoltre, nella lombata fresca si rilevava meno di 1 ppm (microg / g di campione) dei prodotti dell’ossidazione del colesterolo, mentre la lonza fritta ne conteneva tra gli 8,58 e i 10,89 ppm. Il 7-chetocolesterolo (5,99-8,47 ppm nei fritti) e il 7β-idrossicolesterolo (1,43-2,55 ppm nei fritti) erano i principali prodotti di ossidazione del colesterolo. Nei fritti non si rilevava in tutti i campioni il colestanetriolo, ma solo piccole quantità di 25-idrossicolesterolo e 5,6 α-epossicolesterolo.
Sul versante della salute i fritti sono stati associati in diversi studi trasversali a vari fattori di rischio cardiovascolare, come lo studio Pizarra di Soriguer F su 1226 adulti sulla prevalenza dell’ipertensione (Am J Clin Nutr2003;78:1092-7), oppure lo studio EPIC di Guallar-Castillon P della coorte spagnola sull’obesità generale e centrale (Am J Clin Nutr2007;86:198-205), oppure lo studio di Donfrancesco C su 2090 adulti italiani sui più bassi livelli colesterolo ad alta densità e una maggiore circonferenza vita (BMC Fam Pract2008;9:53).
Pilar Guallar-Castillón dell’Autonomous University of Madrid e collaboratori, considerando che solo pochi studi avevano valutato l'effetto degli alimenti fritti sul rischio delle malattie cardiovascolari, hanno voluto esaminare tale dato in modo prospettico nella coorte EPIC-Spagna (BMJ 2012;344:e363). Hanno, così, arruolato 40.757 adulti di età compresa tra i ventinove e i sessantanove anni, dal 1992 al 1996 senza malattia coronarica iniziale, e li hanno seguiti fino al 2004. Durante il follow-up medio di undici anni, si verificavano 606 eventi coronarici e 1.135 decessi per tutte le cause. Rispetto al fatto di essere nel primo e più basso quartile del consumo di cibi fritti, l'hazard ratio multivariato di malattia coronarica era nel secondo quartile 1,15 (intervallo di confidenza 95% 0,91-1,45), nel terzo 1,07 (0,83-1,38) e nel quarto 1,08 (0,82-1,43, P = 0,74). L’hazard ratio (HR) multivariato del consumo di cibi fritti per il più alto rispetto al più basso quartile era 0,93 (intervallo di confidenza 95% 0,77-1,14, P = 0,98).
Per gli eventi cardiaci da definite malattie coronariche nelle analisi aggiustate per l'apporto energetico, l’età, il sesso e il centro non si registrava alcuna associazione con il consumo di alimenti fritti (modello 1 della tabella). Il rapporto di rischio di malattia coronarica per il più alto rispetto al più basso quartile del consumo di cibi fritti era 0,94 (IC 95% 0,72-1,23, P = trend 0,52). Risultati simili si ottenevano dopo aggiustamento aggiuntivo per i principali fattori confondenti (modello 2 della tabella): 1,11 (0,84-1,46, P = 0.60). Infine, nessuna associazione si osservava anche dopo aggiustamento per i possibili mediatori, come l'indice di massa corporea, la circonferenza vita e l'ipertensione (modello 3 della tabella). Rispetto al primo più basso quartile del consumo di cibi fritti, l'hazard ratio multivariato di malattia coronarica era nel secondo 1,15 (0,91-1,45), 1,07 (0,83-1,38) nel terzo e 1,08 (0,82-1,43 ) nel quarto (P = 0,74). Infine, dopo il pieno aggiustamento, l’aumento del consumo di cibi fritti di 100 g non mostrava un'associazione con il rischio di malattia coronarica (hazard ratio 1,00, da 0,90 a 1.11). I risultati erano simili dopo censura dei primi due anni di follow-up e dopo aver escluso quelli che avevano riportato un cambiamento nella loro dieta durante l'anno precedente.
Allo stesso modo, non si osservava nessuna associazione tra il consumo di cibi fritti e la mortalità per tutte le cause.
Inoltre, i risultati non variavano tra i sessi (P per interazione 0,19) o tra coloro che avevano utilizzato olio di oliva per la frittura e tra chi aveva usato olio di girasole o di altri vegetali (P per interazione 0,22).
In conclusione, secondo gli Autori, in Spagna, paese mediterraneo in cui viene utilizzato per la frittura l'olio d'oliva o di girasole, il consumo di cibi fritti non si dovrebbe associare alla malattia coronarica o alla mortalità per tutte le cause.
Comunque, gli Autori hanno tenuto a precisare che i loro risultati differivano da quelli dello studio INTERHEART dove il consumo di cibo fritto si associava a un maggiore rischio d’infarto miocardico acuto (Circulation2008;118:1929-37). Tuttavia, alcune differenze metodologiche limiterebbero il confronto dei risultati. Ad esempio, l’INTERHEART non valutava quantitativamente l'assunzione del cibo fritto e, inoltre, registrava solo il consumo di nove alimenti fritti, senza riportare il tipo di olio usato. Peraltro, sempre a commento degli Autori, nell’analisi trasversale MESA (Multi Ethnic Study of Atherosclerosis), non si riscontrava nessuna associazione tra il consumo di pesce fritto e l’aterosclerosi subclinica, valutata con lo spessore dell’intima-media della carotide comune. Neanche il consumo di pesce fritto si associava a cambiamenti significativi dei livelli sierici di colesterolo totale, colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità, colesterolo HDL o trigliceridi (Am J Clin Nutr2008;88:1111-8).
Inoltre, la coorte di 3.919 anziani dai sessantacinque e più anni d’età del “The Cardiovascular Health Study”, seguiti per nove anni, non dimostrava un'associazione tra il consumo di pesce fritto o i panini di pesce con la mortalità da malattia coronarica o da aritmia cardiaca o con l'incidenza d’infarto miocardico acuto non fatale (Circulation2003;107:1372-7).