Aspetti nutrizionali e tossicologici del consumo dei frutti di mare
Il consumo alimentare dei derivati della pesca di mare è oggi associato a effetti benefici ma anche rischi per la salute umana. Per questo assume fondamentale importanza la valutazione della descrizione integrata della presenza dei nutrienti e dei possibili tossici nel pesce, prima della diffusione delle raccomandazioni alimentari. Il pesce e i crostacei rappresentano, invero, una fonte importante di acidi grassi polinsaturi ω-3 a lunga catena (PUFA), ma possono contenere anche agenti inquinanti ambientali quali il metilmercurio (MeHg). Come prima riportato, i PUFA possiedono effetti benefici sullo sviluppo mentale e cognitivo dei neonati e dei bambini nella prima infanzia. Al contrario, l'esposizione prenatale alllo MeHg produce alterazioni della memoria, dell’attenzione e della percezione visiva.
Ström S e Helmfrid I del Karolinska Institutet, Stockholm, Sweden e collaboratori hanno, a tale proposito, sviluppato un modello probabilistico per la stima della contemporanea assunzione di metilmercurio (MeHg) e degli acidi grassi polinsaturi ω-3 a catena lunga (LC-PUFA n3) nei frutti di mare, per stimare la proporzione della popolazione a rischio per il superamento della dose tollerabile di MeHg e per il mancato raggiungimento dell’adeguato apporto di acidi grassi polinsaturi (Environ Res. 2011 Feb;111(2):274-80). Gli Autori hanno, così, raccolto i dati concernenti il consumo di pesce con un questionario di frequenza alimentare da 1.948 donne in età fertile tra i quindici e i quarantacinque anni, residenti nelle aeree costiere e lacustri della Svezia con documentati livelli relativamente alti di MeHg nel pesce. Hanno anche costruito un database delle concentrazioni dei PUFA e del MeHg in diverse specie di pesci e crostacei.
Ben l’11% della popolazione superava attraverso gli alimenti il limite di riferimento della tossicità di MeHg, al fine di garantire la protezione fetale pari a 0,1 µg per kg di peso corporeo il giorno, stabilito nel 2001 dall’US Environmental Protection Agency. D’altra parte, solo il 44% raggiungeva un adeguato e raccomandato apporto di acidi grassi polinsaturi. Una piccola percentuale, il 3,7%, superava la dose di MeHg di riferimento e al tempo stesso non raggiungeva l’adeguato apporto dei PUFA. Inoltre, gli Autori hanno simulato due scenari di consumo dei frutti di mare, secondo una raccomandazione generale di tre porzioni la settimana, una delle quali costituita da pesce grasso. Queste simulazioni, secondo il tipo di pesce consumato, dimostravano l'esistenza di un'ampia variazione nell'apporto di MeHg. Sulla base dei loto risultati, gli Autori rimarcavano la necessità di disporre di una consulenza specifica sul consumo di determinate specie di pesce, soprattutto per le donne in età fertile e ancor più per le gravide, senza scoraggiare, allo stesso tempo però, il consumo di pesce.
Il secondo comprendeva, invece, tipicamente un’alta concentrazione di MeHg con media di 0,50 e di 0,26 mcg MeHg / g di pesce in specie magre e grasse rispettivamente. Nello scenario alto, quasi il 100% della popolazione superava la dose di riferimento, mentre nel basso la percentuale corrispondente era solo il 5%. Nel complesso, i risultati ribadirebbero l'importanza di comunicare determinati avvisi speciali del consumo di pesce, per le donne in età fertile in generale e per quelle incinte in particolare, al tempo stesso incoraggiandone il consumo.
Per loro conto Y. Gu della Columbia University, New York e collaboratori,
considerando le cospicue associazioni riportate tra i vari nutrienti e la capacità cognitiva, risultanti da percorsi biologici tra cui quelli che interessano la β-amiloide (Aβ), hanno preso atto della scarsa conoscenza circa le possibili correlazioni dei fattori dietetici con le Aβ40 o Aβ42 plasmatiche. Hanno, così, voluto valutare in uno studio trasversale su 1.219 anziani di età maggiore dei sessantacinque anni, cognitivamente sani, partecipanti in una coorte basata su di una comunità multietnica, l'associazione tra l’assunzione di nutrienti e i livelli plasmatici dell’Aβ (Neurology, May 2, 2012.). Le informazioni sui livelli nutrizionali si ottenevano in una media di 1,2 anni prima del dosaggio dell’Aβ. Gli Autori hanno esaminato le associazioni tra i livelli plasmatici di Aβ40 e Aβ42 e l’assunzione di dieci nutrienti, utilizzando modelli di regressione lineare, aggiustati per età, sesso, etnia, istruzione, apporto calorico, genotipo dell'apolipoproteina E ε, periodo di reclutamento. Tra i nutrienti esaminati erano inclusi gli acidi grassi saturi, quelli monoinsaturi, gli ω-3 polinsaturi (PUFA), gli ω-6 PUFA, le vitamine B12-B6-E-C-D, il β-carotene.
Nei modelli non corretti la maggiore assunzione di ω-3 PUFA si associava con livelli più bassi dell’Aβ40 (β = -24,7, p <0,001) e dell’Aβ42 (β = -12,3, p <0,001). Nei modelli aggiustati gli ω-3 PUFA rimanevano forti predittivi dell’Aβ42 (β = -7,31, p = 0,02), mentre la loro associazione con l’Aβ40 si attenuava (β = -11,96, p = 0,06). Gli altri nutrienti non si correlavano con i livelli plasmatici dell’Aβ. In conclusione, questi dati, secondo gli Autori, avrebbero suggerito che il maggiore introito dietetico degli ω-3 PUFA si sarebbe associato ai bassi livelli plasmatici dell’Aβ42 secondo un profilo di minor rischio d’incidente di malattia di Alzheimer e un più lento declino cognitivo nella coorte di studio. Sempre secondo gli studiosi, gli omega-3 avrebbero avuto, quindi, un'azione positiva sul cervello, riducendo l'effetto dell'invecchiamento insieme con altri cibi, come pollo e frutta secca con guscio.