Sei qui: Notiziario AMEC Anno 2012 notiziario Luglio 2012 N°7 - NUTRIENTI E SALUTE COGNITIVO-MENTALE E CARDIOVASCOLARE - Rivalutazione delle evidenze degli acidi grassi ω-3 nelle malattie cardiovascolari

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notiziario Luglio 2012 N°7 - NUTRIENTI E SALUTE COGNITIVO-MENTALE E CARDIOVASCOLARE - Rivalutazione delle evidenze degli acidi grassi ω-3 nelle malattie cardiovascolari

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Indice
notiziario Luglio 2012 N°7 - NUTRIENTI E SALUTE COGNITIVO-MENTALE E CARDIOVASCOLARE
I meccanismi del cambiamento cognitivo legato all’età
Acidi grassi omega-3 e salute mentale
Acidi grassi ω-3 e salute materno-infantile
Rivalutazione delle evidenze degli acidi grassi ω-3 nelle malattie cardiovascolari
Come agisce l’olio di pesce
Aspetti nutrizionali e tossicologici del consumo dei frutti di mare
Consumo di pesce e depressione
Il pesce sulla tavola degli italiani
Fritture e rischio di malattia cardiovascolare
Valore nutritivo delle uova fritte
Paraoxonase 1 e cistatina C nuovi fattori di rischio cardiovascolare nel diabete di tipo 2
Ω-3 polinsaturi, pesce e infiammazione e attivazione endoteliale
Tutte le pagine

Rivalutazione delle evidenze degli acidi grassi ω-3 nelle malattie cardiovascolari

Le popolazioni che consumano grandi quantità di pesce grasso nella loro dieta tendono ad avere una minore incidenza di malattia coronarica (CHD) e morte cardiaca improvvisa (SCD) in quanto gli oli di pesce sono ricchi di acidi grassi ω-3 polinsaturi (PUFA) con riconosciute proprietà cardioprotettive.
L'interesse per il valore terapeutico degli oli di pesce ha avuto inizio nel 1970 in seguito alla constatazione della bassa incidenza di malattie cardiovascolari negli Inuit della Groenlandia. Successivamente diversi studi hanno riconosciuto negli acidi eicosapentaenoico (EPA) e docosaesaenoico (DHA), due acidi grassi polinsaturi a grande, lunga catena n-3 (ω-3 PUFA), i presunti componenti di protezione di tale condizione. Per altro canto, il ruolo dell’acido α-linolenico (ALA), acid grasso omega-3 di derivazione vegetale a catena più corta, è ancora oggetto di dibattito nei meriti. Sebbene gli esatti meccanismi cardioprotettivi degli acidi grassi ω-3 siano tuttora non del tutto chiariti, sono emerse condizioni precise cliniche in cui questi composti alimentari sono di certo coinvolti.
Peraltro, gli acidi grassi ω-3 sono composti a basso costo con un apparente profilo favorevole di rischio, tra cui una bassa tendenza alle interazioni farmacologiche. Tale dato contribuisce non poco allo sviluppo degli studi scientifici per un’oculata ed efficace loro utilizzazione terapeutica.
In linea con queste osservazioni, numerosi dati epidemiologici, derivati anche da grandi meta-analisi, hanno dimostrato chiare associazioni tra il consumo di pesce, aumento dei PUFA e una prognosi favorevole cardiovascolare.

La maggior parte delle evidenze è stata relativa ai soggetti con elevati livelli tissutali dell’acido eicosapentaenoico (EPA) e docosaesaenoico (DHA), presenti in diverse in differenti tipi di pesce. I benefici clinici sembrano essere più pronunciati nel versante della mortalità per malattie cardiovascolari e della morte cardiaca improvvisa, che si riduce del 50% in chi consuma pesce grasso, almeno una volta la settimana. Da tutto questo deriverebbe la raccomandazione nazionale di prevenzione primaria di mangiare almeno due porzioni di pesce la settimana, una parte delle quali dovrebbe essere costituita da pesce azzurro. Peraltro, per coloro che non sono in grado di introdurre sufficienti quantità di acidi grassi ω-3 nella loro dieta, o che desiderano aumentarne il consumo, sono disponibili diversi preparati di olio di pesce, altamente purificati e concentrati.
A tale proposito, l’ESC (European Society of Cardiology), pur rilevando che il ruolo degli integratori degli acidi grassi ω-3 nella prevenzione secondaria non è ancora chiarito sufficientemente, sulla base delle conclusioni di una meta-analisi nei meriti, raccomanda:

  • l'uso degli acidi grassi ω-3 per abbassare i trigliceridi nei pazienti non in grado di raggiungere i livelli adeguati con le sole statine,
  • l’aumento del consumo di acidi grassi ω-3, e quindi di pesce azzurro, e la supplementazione con 1 g il giorno di olio di pesce nei pazienti con bassa assunzione di pesce grasso.

Il NICE (National Institute for Health and Clinical Excellence), per suo conto, raccomanda per la prevenzione secondaria del post-infarto miocardico di:

  • consumare almeno 7 g di acidi grassi ω-3 a settimana, derivati da due a quattro porzioni di pesce grasso,
  • assicurare l'integrazione di acido grasso ω-3 in quei pazienti che hanno avuto un infarto miocardico entro tre mesi e che non ne raggiungono l’apporto dietetico di almeno 7 g a settimana dalle fonti alimentari,
  • non utilizzare, pur tuttavia, gli integratori di routine per quei pazienti che hanno avuto un infarto miocardico più di tre mesi prima.

Il SIGN 2007 (Scottish Intercollegiate Guidelines Network), senza pronunciarsi circa l'uso degli integratori degli ω-3 PUFA, raccomanda:

  • tutte le persone dovrebbero mangiare almeno due porzioni di pesce la settimana, una delle quali deve essere di pesce grasso.

L’AHA (L'American Heart Association), 2008 suggerisce:

  • L’aumento del consumo degli acidi grassi ω-3 dovrebbe essere incoraggiato per la prevenzione secondaria nel post-infarto del miocardio. Per la riduzione del rischio si può consumare pesce, limitandolo nella gravidanza o allattamento, o somministrare capsule di 1 g il giorno. Nel trattamento dell’elevata trigliceridemia, per la riduzione del rischio, sono di solito necessarie dosi più elevate.

Kristian B Filion della McGill University, Montreal e collaboratori, proprio sulla base dei risultati contrastanti dei diversi studi randomizzati e controllati (RCT) sugli effetti cardiovascolari degli acidi grassi ω-3, hanno effettuato una meta-analisi rivolta a valutare l’efficacia, la sicurezza di questi nutrienti e la potenziale eterogeneità delle fonti (BMC Cardiovasc Disord. 2010; 10: 24). Hanno, così, cercato, senza restrizioni di lingua, gli articoli originali, le revisioni sistematiche e le meta-analisi, pubblicati dal gennaio 1966 al settembre 2008, sugli acidi grassi ω-3 e le malattie cardiovascolari. Un totale di ventinove RCT, corrispondenti a 35.144 pazienti, di cui venticinque riportavano la mortalità e quattordici la restenosi, incontrava i criteri d’inclusione.

Gli acidi grassi ω-3 non si associavano con una diminuzione statisticamente significativa della mortalità (RR [rischio relativo] = 0.88, Cri 95% [Intervallo Credibile] = 0.64, 1.03) o con la prevenzione della restenosi (RR = 0,89, 95% CRI = 0,72, 1,06), anche se la probabilità di qualche beneficio rimaneva elevata (0,93 e 0,90, rispettivamente). Tuttavia, nella meta-regressione c'era una probabilità maggiore del 90% che i grandi studi e quelli con più lungo follow-up fossero associati ai più piccoli benefici. Riguardo alla sicurezza, non s’identificavano problemi seri. In conclusione, pur non raggiungendo la significatività statistica convenzionale, le evidenze riscontrate dagli Autori suggerivano che gli acidi grassi ω-3 potevano tradursi in una modesta riduzione della mortalità e della restenosi. Tuttavia, da questo studio emergeva la raccomandazione di cautela nell'interpretazione di questi benefici attenuati, in effetti, negli studi di qualità superiore.
Per porre fine alla questione del rapporto tra acidi grassi ω-3 e malattie cardiovascolari e, quindi, all’incertezza del loro beneficio Alan Begg dell’University of Dundee, Scotland e collaboratori, hanno convocato una riunione di professionisti delle malattie cardiovascolari del Regno Unito per una rassegna di dati relativi agli oli di pesce nella dieta e alla loro possibile supplementazione (Br J Cardiol. 2012;19(2):79-84). Gli Autori hanno, quindi, convenuto che:

  • Il ben noto effetto di abbassamento dei trigliceridi mostra un effetto lineare e dose-dipendente, ma con variabilità individuale di dose/risposta. Dosi di almeno 2 g / die sono necessarie per conseguire una riduzione significativa e le maggiori assolute si ottengono nei casi con livelli basali di trigliceridi più elevati.
  • Gli effetti antitrombotici si basano sull'osservazione alle dosi molto elevate dell’aumento dei tempi di sanguinamento, ad esempio 15 g / die. Pur tuttavia, negli studi clinici non si sono registrati effetti consistenti sull’aggregazione piastrinica o sui fattori della coagulazione. A dosi fino a 4 g / die è improbabile che gli effetti antitrombotici costituiscano un percorso importante per un più basso rischio cardiovascolare, pur non potendosi escludere sottili implicazioni.
  • Per quanto riguarda la funzione endoteliale, diverse evidenze hanno chiarito che il consumo degli ω-3  aumenta la biodisponibilità dell'ossido nitrico (NO) con consequenziale maggiore dilatazione arteriosa flusso-mediata, indice di un miglioramento della funzione endoteliale. Può anche essere migliorata la funzione autonomica, come conseguenza dell’aumento del tono vagale.
  • In ordine all’insufficienza cardiaca, nei pazienti che assumono ω-3 PUFA è stato osservato l'aumento della frazione di eiezione cardiaca.
  • Gli effetti biologici degli ω-3 PUFA sull’insulino-resistenza sono attualmente poco chiari. Così pure, non si sa bene se i loro noti effetti anti-infiammatori siano clinicamente significativi.
  • L'attività antiaritmica degli ω-3 PUFA ha rappresentato una documentazione impegnativa negli studi sull'uomo. Gli esperimenti sugli animali suggeriscono, in effetti, che essi possano influenzare direttamente l’elettrofisiologia atriale e ventricolare e che, alterando la funzione dei canali ionici della membrana, possano contribuire a ridurre l’eccitabilità dei miociti e, quindi, potenzialmente l’attivazione dell’aritmia.

In definitiva, il gruppo di Alan Begg ha concluso che i meccanismi clinicamente rilevanti con cui gli ω-3 PUFA intervengono nell’aritmia cardiaca sono, comunque, sconosciuti. Pur tuttavia, i dati della letteratura dimostrano una dose-effetto di una sua riduzione con una dieta arricchita di pesce. Peraltro, la maggior parte degli studi d’intervento nell’alto rischio cardiovascolare, se pur nella loro l'eterogeneità, hanno fornito prova di un impatto positivo degli ω-3 sui principali eventi cardiovascolari. Su larga scala i dati degli studi randomizzati sono più convincenti per tali nutrienti nel post-infarto miocardico.
Il più grande di questi, il GISSI-P (GISSI- Prevention), randomizzato su 11.324 pazienti, ha dimostrato, in effetti, una riduzione del rischio relativo di mortalità totale, di quella cardiaca, anche improvvisa, del 20%, 30% e 45% rispettivamente, con 1 g / die di acidi esteri etilici ω-3  altamente purificati (Omacor ®) nel corso di un periodo di 3,5 anni (Circulation, 2002; 105:1897-1903).
Una riduzione del rischio assoluto, rispetto allo stesso periodo, è stata del 2,1%, 2% e 1,6% per la mortalità generale, quella cardiaca e la SCD (Sudden Cardiac Death), rispettivamente. Significativi benefici della supplementazione sono emersi entro tre o quattro mesi, e sono stati più evidenti, nei pazienti con una più marcata disfunzione ventricolare sinistra. Considerati insieme, questi dati suggeriscono, come meccanismo probabile dei vantaggio, una riduzione dell’aritmia ventricolare.
Gli studi Jelis (Japanese Eicosapentaenoic Acid Lipid Intervention Study), Omega, Alpha Omega (Study of Omega-3 Fatty Acids and Coronary Mortality), GISSI-HF Study (GISSI-Heart Failure) hanno, per loro parte e individualmente, apportato altre evidenze in differenti contesti culturali.
Sono, peraltro, in corso ulteriori studi per portare maggiore chiarezza sull’argomento, come il Gissi-R&P, l’ASCEND (A Study of Cardiovascular Events iN Diabetes), l’OPERA (The Omega-3 Fatty Acids for the Prevention of Post-operative Atrial Fibrillation), il VITAL (VITamin D and OmegA-3 trial).



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