Acido linoleico coniugato e aterosclerosi cardiovascolare
Le malattie cardiovascolari (CVD) sono la principale causa di morte nei paesi sviluppati e diversi studi hanno ormai dimostrato che l’intervento di una dieta appropriata ha particolare efficacia nel ridurne il rischio. A tal proposito, negli ultimi anni l'implicazione degli TFA (trans fatty acids) nei riguardi della salute pubblica ha ricevuto una sempre più crescente attenzione. Essi rappresentano, di fatto, una classe di composti con uno o più doppi legami nella configurazione trans. La maggior parte deriva dall’idrogenazione parziale degli oli vegetali e sono stati introdotti in commercio come grassi solidi in modo da aumentare la durata di conservazione degli alimenti e per sostituire i grassi animali, come lo strutto, il sego e il burro.
L'aumentato rischio di CVD è stato associato all’assunzione totale di TFA oppure di alimenti noti per contenere maggiore fonti di iTFA (industrially produced TFA), come la margarina, i dolci e i biscotti. Peraltro, si è ottenuta evidenza che questi ultimi hanno la proprietà d’influenzare negativamente molteplici fattori di rischio cardiovascolare, ad esempio aumentando le concentrazioni plasmatiche dei lipidi, delle lipoproteine, dei marker infiammatori e compromettendo la funzione endoteliale. D’altro canto, i risultati delle analisi quantitative hanno indicato che il rischio di CVD potrebbe essere ridotto per ben il 50% se il PHVO (partially hydrogenated vegetable oil) fosse sostituito con grassi e oli alternativi. In conseguenza ai dimostrati numerosi effetti negativi sui vari indicatori di salute degli iTFA, nell’ultimo decennio sono stati compiuti sforzi per rimuoverli dall’approvvigionamento alimentare e dalla restaurazione. In tutto ciò si è notato un paradosso che ha portato a differenziare i TFA degli oli prodotti sinteticamente da quelli di produzione naturale dai ruminanti, tra cui il VA (acido vaccenico) trans-11 18:01 e l’isomero del CLA cis-9, trans-11, c9, t11-CLA.
In virtù delle sue azioni pro o antiossidanti e citotossiche, il CLA ha anche mostrato nelle cellule endoteliali umane effetti differenziali dipendenti dalla dose, associati a fattori di trascrizione redoxsensibili PPARγ e NF-kB. Questi agenti di trascrizione sembrano modulare, in modo coordinato secondo i microfattori ambientali, lo stress ossidativo e l'infiammazione. In effetti, ci sono studi che hanno dimostrato come il CLA sia in grado di legarsi e attivare il PPAR, i cui tre isotipi α, β / δ e γ sono fattori di trascrizione ligando-attivati che agiscono come importanti regolatori del metabolismo delle lipoproteine, dell’omeostasi del colesterolo e del glucosio e dell'infiammazione. Tutte queste condizioni sono, di fatto, importanti per lo sviluppo dell'aterosclerosi. La regolazione trascrizionale dei geni da parte dei PPAR è mediata dal legame degli eterodimeri recettoriali attivati PPAR-retinoidi X a specifiche sequenze del DNA, chiamate PPRE (Peroxisome Proliferator Response), presenti dentro e intorno alla regione del promotore dei geni bersaglio, di cui stimolano l'espressione. I PPAR (Peroxisomal Proliferator- Activated Receptors) sono anche in grado di modulare negativamente l'espressione genica, inibendo il legame del DNA con altri vari fattori di trascrizione, quali lo NF-KB. Quest’ultimo gioca, com’è noto regolando la trascrizione dei geni coinvolti nel processo infiammatorio, un ruolo centrale nella risposta infiammatoria. L’inibizione dello NF-κΒ da parte dei PPAR è, peraltro, di grande importanza per lo sviluppo della modulazione dell’aterosclerosi, poiché è noto che la sua attivazione nelle cellule vascolari contribuisce significativamente allo sviluppo dei disturbi, come proprio l'aterosclerosi o l’ipertensione. Quindi, non è sorprendente che i ligandi PPAR esercitino effetti diretti protettivi sulle cellule della parete vascolare, che esprimono tutte gli isotipi PPAR. Essi modulano, difatti, l'espressione dei geni implicati nel processo aterosclerotico attraverso l'attivazione dei PPAR. Poiché i CLA sono anche ligandi dei PPAR, è plausibile ipotizzare che i loro effetti antiaterogenici possano, almeno in parte, essere mediati dalla modulazione dell'espressione genica proaterogena da parte dei PPAR sulle cellule vascolari.
Peraltro, i ligandi farmacologici dei PPAR hanno mostrato di ridurre nelle cellule endoteliali l'espressione di superficie delle molecole di adesione stimolata dalle citochine, l'adesione dei leucociti e il rilascio di chemochine. Questi risultati si spiegano essenzialmente con gli effetti inibitori dei ligandi PPAR sul legame del DNA dei fattori di trascrizione quali lo NF-κΒ, l’AP-l (activator protein) e gli STAT-3 (signal transducers and activators of transcription). A tal proposito, nelle cellule endoteliali lo NF-κΒ è considerato uno dei fattori cruciali per l'induzione trascrizionale delle molecole di adesione e delle chemochine. Da notare che il VCAM-1 e la MCP-1 (monocyte chemoattractant protein-1) contengono più siti di legame per lo NF-κΒ. Di conseguenza, le citochine come il TNFa e molte altre, che sono attivatori noti dello NF-κΒ, causano l’induzione delle molecole di adesione delle cellule endoteliali. Grazie alla loro potenzialità di legarsi e attivare i PPAR, si è ipotizzato che i CLA possano agire in un modo simile ai ligandi PPAR sintetici e con la contro-regolazione della trascrizione NF-κΒ-dipendente delle molecole di adesione e chemochine attraverso la segnalazione PPAR-dipendente.
La possibilità che le proprietà antiaterogeniche degli isomeri del CLA possano influenzare le lesioni aterosclerotiche e i livelli dei lipidi nel sangue è stata testata in modelli animali, ma senza poterne considerare per molteplici condizioni le applicazioni corrispondenti nell’uomo. In primo luogo vanno considerate, a tal proposito, le differenze genetiche interspecie. In verità, alcuni degli effetti degli isomeri del CLA sulla salute, osservati nei modelli animali, potrebbero essere specie-specifici e, quindi, non riproducibili negli esseri umani. L'effetto soppressivo sull’ipertensione, ad esempio, è stato osservato in ratti alimentati con CLA, ma non nell'uomo. In secondo luogo, gli studi sperimentali hanno utilizzato animali soprattutto adolescenti, mentre quelli sull’uomo sono compiuti su adulti per lo più sani, o obesi o diabetici. Peraltro, la composizione corporea, la sensibilità e il metabolismo delle sostanze chimiche e dei profili di espressione genica nello sviluppo degli animali adolescenti possono essere diversi da quelli visti negli esseri umani adulti. Questo potrebbe influenzare il risultato di valutazione degli effetti degli isomeri del CLA, in particolare sugli eventi associati all'età, come l’adiposità e l’aterogenesi. Anche se i topi predisposti all’aterosclerosi (cioè i C57BL / 6) imitano in questo gli esseri umani, i risultati sugli animali sono stati inconcludenti e l'efficacia degli isomeri del CLA è forse relativa alle differenze genetiche interspecie. In terzo luogo, gli studi sugli animali sono stati compiuti, in genere, per brevi periodi e con dosaggi elevati. Questo costituisce un particolare interessante perché il possibile consumo umano dell’isomero del CLA richiederebbe dosi e durate non possibili sperimentalmente.
Lee KN dell’University of Wisconsin-Madison e collaboratori hanno con i loro studi sui conigli suggerito effetti protettivi e / o terapeutici con il trattamento del CLA (Atherosclerosis 1994, 108:19-25). Gli animali in dieta aterogenica, integrata con una miscela d’isomeri di CLA (cis-9, trans-11 CLA: trans-10, cis-12 CLA = 1,1; 0,5 g CLA dieta / giorno / coniglio) presentavano, in effetti, significativamente minori lesioni lipidiche aortiche e più bassi livelli di trigliceridi plasmatici e del colesterolo LDL, rispetto agli animali di controllo
Ancora meglio David Kritchevsky dell’University of Cincinnati, Ohio e collaboratori hanno offerto il primo esempio di regressione sostanziale dell’aterosclerosi prodotto dalla sola dieta (Journal of the American College of Nutrition, 2000Vol. 19, No. 4, 472S–477S). Gli Autori hanno indotto sperimentalmente l’aterosclerosi in conigli per determinare gli effetti dell’acido linoleico coniugato (CLA) sulla sua costituzione e progressione. A livelli dietetici dell’1% il CLA determinava una sostanziale regressione del 30% dell'aterosclerosi già stabilita.
In conclusione, gli Autori dimostravano che il CLA alimentare era un efficace inibitore dell’aterogenesi e che provocava anche una regressione di quella già stabilita.
Robert Ringseis e Klaus Eder della Technische Universität München – Germany nella loro revisione hanno riassunto i risultati degli studi in vitro sugli effetti degli isomeri del CLA e delle sue miscele in ordine alle proprietà funzionali delle cellule della parete vascolare (British Journal of Nutrition (2009), 102, 1099). Hanno, così, puntualizzato il rapporto con le cellule endoteliali, quelle muscolari lisce e i macrofagi derivati dai monociti, tra i principali attori che contribuiscono allo sviluppo della lesione aterosclerotica. Sulla base di tutti gli studi riportati, si poteva concludere, in effetti, che il CLA esercitava diverse azioni benefiche sulle cellule della parete vascolare attraverso l'attivazione dei PPAR. Queste azioni, che potevano almeno in parte spiegare l'inibizione dell’aterogenesi da parte del CLA alimentare, includevano la modulazione del rilascio dei mediatori vasoattivi dalle cellule endoteliali, l’inibizione dei processi infiammatori e fibrotici nelle cellule muscolari lisce attivate, l’annullamento delle risposte infiammatorie nei macrofagi attivati e la riduzione dell’accumulo del colesterolo nelle cellule schiumose derivate dai macrofagi.
Sarah K. Gebauer della Pennsylvania State University – USA e collaboratori hanno passato in rassegna le evidenze degli studi epidemiologici e clinici rivolti a determinare se l'assunzione degli isomeri degli rTFA (Ruminant TFA), specificamente il VA e il c9, t11-CLA, potesse influenzare in modo differenziale il rischio di CVD e di cancro, rispetto agli iTFA (American Society for Nutrition. Adv. Nutr. 2: 332–354, 2011). Alcuni studi epidemiologici suggerivano un’associazione positiva con il rischio di malattia coronarica solo tra gli isomeri iTFA e non con quelli rTFA. Pur tuttavia, erano stati condotti piccoli studi clinici per stabilire le relazioni di causa-effetto tra questi diverse fonti di TFA e i biomarcatori o i fattori di rischio di CVD, peraltro con risultati inconcludenti. Inoltre, la mancanza di rilevazione degli effetti del trattamento in alcuni studi poteva essere la causa dell’insufficiente potenza statistica dei risultati. Ancora, molti studi avevano utilizzato dosi di rTFA non realisticamente raggiungibili con una dieta. D’altra parte, l’associazione tra l’assunzione degli iTFA e il cancro mostrava aspetti contraddittori e quella con gli rTFA e il cancro non era stata ben studiata. Infine, non erano stati condotti studi clinici per indagare il rapporto causa-effetto tra l’assunzione degli iTFA e degli rTFA e il rischio per i tumori.
In conclusione, gli Autori suggerivano la necessità di ulteriori ricerche nell'uomo per determinare gli effetti sulla salute del VA e del c9, t11-CLA.