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notiziario Settembre 2013 N.8 ALIMENTAZIONE E SALUTE: L’ACIDO LINOLEICO CONIUGATO

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Indice
notiziario Settembre 2013 N.8 ALIMENTAZIONE E SALUTE: L’ACIDO LINOLEICO CONIUGATO
Proprietà del CLA (acido linoleico coniugato)
Le fonti dell’acido linoleico coniugato
Effetti generali dell’acido linoleico coniugato sulla salute
Acido linoleico coniugato, infiammazione e obesità
Acido linoleico coniugato e aterosclerosi cardiovascolare
Acido linoleico coniugato e malattie infiammatorie intestinali
Acido linoleico coniugato e cancro
Acido linoleico coniugato e cancro al seno
Acido linoleico coniugato e cancro al colon - retto
CLA ed epatoma umano
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NOTIZIARIO Settembre 2013 N°8

 

ALIMENTAZIONE E SALUTE:
L’ACIDO LINOLEICO CONIUGATO

 

 

 

 

 

A cura di:
Giuseppe Di Lascio §

 

Con la collaborazione di:

Doriana Bauzulli *, Alessandro Di Lascio**
Andrea Levi Della Vida §, Simonetta Melilli §
Claudio Stazzi §, Elena Zimmatore §
 
§ Medico specialista in Medicina Interna
* Coordinatrice degli Infermieri, ** Fisioterapista

Proprietà del CLA (acido linoleico coniugato)

I grassi rivestono una grande importanza nell’alimentazione umana e con le proteine e i carboidrati costituiscono la prevalente frazione nutrizionale svolgendo diverse funzioni, come quella energetica, plastica e d’isolamento termico per il mantenimento della temperatura corporea, di protezione e sostegno delle strutture anatomiche, di veicolo delle vitamine e di altre sostanze liposolubili, di appetibilità degli alimenti ed anche estetica. Nel latte i lipidi formano un’emulsione di globuli, come piccole goccioline del diametro medio di circa tre µm, circondate da una membrana lipoproteica che impedisce l'aggregazione e la rottura dell'emulsione.  Comprendono nel loro interno: trigliceridi per il 95%, mono e digliceridi per il 2-3%, derivati da un'incompleta sintesi o degradazione dei trigliceridi, acidi grassi liberi, fosfolipidi nell’1%, steroli e colesterolo.
Il latte di vacca intero contiene mediamente 3,5% di lipidi con tutti i tipi di acidi grassi.  Pochi, però, sono in quantità superiore all'1% del totale. Essi sono acidi grassi in differenti forme, come in numero di atomi di carbonio, in tipo di catena satura e insatura, alla presenza di doppi legami cis e trans.

Il CLA (conjugated linoleic acid) costituisce un gruppo d’isomeri geometrici e posizionali dell’acido grasso insaturo linoleico (ω-6, C18:2), derivato nel rumine come prodotto intermedio dai processi di bioidrogenazione degli acidi grassi.
Questi isomeri sono caratterizzati dalla presenza di doppi legami coniugati con un ampio spettro di forme che variano in natura negli alimenti per la posizione, il più delle volte 7 e 9, oppure 8 e 10, o ancora 9 e 11, 10 e 12, 11 e 13. Cambiano anche per la geometria trans e trans, oppure trans e cis, o ancora cis e trans e cis e cis. Di conseguenza, il CLA comprende un totale di ventotto isomeri posizionali e geometrici dell’acido linoleico.

            La storia del CLA inizia già nel 1935 quando Booth RG e altri identificarono all’analisi spettroscopica acidi grassi coniugati nel burro (A study of seasonal variation in butter fat. II. A seasonal spectroscopic variation in the fatty acid fraction. Biochem J 1935; 29: 133-7).
Questa caratteristica fu poi associata alla presenza di doppi legami coniugati associati a diciotto catene di carbonio. Più tardi, si rilevò che la bioidrogenazione avveniva nel rumine.
Le più importanti fonti di CLA nella dieta umana furono riconosciute, quindi, nei prodotti derivati dai ruminanti, come il latte, i latticini e la loro carne. Ciò deriva dal fatto che i suoi isomeri si formano nel rumine durante la bioidrogenazione microbica dell’acido linoleico della dieta e nei tessuti attraverso la Δ9-desaturazione dell'acido trans-vaccenico (trans-11 1-18: 1), derivato sempre dal rumine. L’enzima Δ9-desaturasi ha il compito, infatti, di introdurre un doppio legame in posizione 9 e 10 della catena carboniosa degli acidi grassi. Lo stearoil-CoA e il palmitoil-CoA sono i substrati più utilizzati da questo complesso enzimatico per ottenere gli acidi grassi ad alta insaturazione che servono di poi come base per la formazione dei trigliceridi e dei fosfolipidi.


Le fonti dell’acido linoleico coniugato

IL CLA, come accennato, è presente nel latte, nei suoi derivati e nelle carni dei ruminanti e, quindi, le sue fonti includono naturalmente i prodotti lattiero-caseari e la carne degli animali ruminanti. È presente, peraltro, negli oli vegetali idrogenati o in altri prodotti sintetici industriali. I prodotti animali contengono prevalentemente cis-9, trans-11 CLA, noto anche come acido rumenico, con valori superiori all’80%, piccole quantità di trans-10, cis-12 CLA e altri isomeri. Le formulazioni di sintesi industriale e gli altri prodotti commerciali, destinati al consumo umano, sono costituiti tipicamente da uguali quantità di cis-9,CLA trans-11 e trans-10, cis-12 CLA e isomeri. Di tutti gli isomeri, in virtù delle loro proprietà biologicamente attive, il cis-9, trans-11 CLA e il trans-10, cis-12 CLA sono stati quelli più ampiamente studiati.
Peraltro, essendo ormai accettata la sintesi endogena del CLA dalla Δ9-desaturazione anche nei tessuti, è condivisa la nozione della sua presenza, pur in quote molto più basse, nella carne degli animali non ruminanti. Questa formazione endogena spiega anche la constatazione che la concentrazione di CLA, in particolare del cis-9, trans-11-CLA, nelle cellule e nei tessuti degli esseri umani aumenta significativamente come risposta a una dieta ricca di trans 11-18:1. A tale proposito è bene notare che, al contrario degli alimenti naturali, gli integratori alimentari hanno un diverso profilo d’isomeri del CLA. La differenza principale è, difatti, l'alta percentuale fino al 50% del totale di trans-10, cis-12, mentre tale isomero rappresenta soltanto un componente minore nei latticini o nella carne.

 

            Comunque, l'assunzione di CLA con gli integratori alimentari, commercializzati per scopi di perdita di peso, è generalmente di 2-4 g / die, nettamente superiore ai consumi usuali stimati in Europa e negli Stati Uniti nell'ordine di 100 - 400 mg, come dose media giornaliera. Pur tuttavia, le ricerche hanno dimostrato che nelle normali condizioni fisiologiche il grasso del latte, rispetto a quello tessutale, ha una concentrazione molto più elevata di CLA, presente, peraltro, solo nello 0,2 - 2,0% del totale. D’altro canto, le concentrazioni di CLA nel tessuto grasso del manzo variano dagli 1,2 ai 12,5 mg / g. Per l’uomo, comunque, l’assunzione giornaliera terapeutica raccomandata di CLA varia dagli 1,5 ai 3,5 g / die. Quindi, per ottenere la più bassa dose giornaliera raccomandata di CLA, bisognerebbe mangiare un minimo di 120 g di grasso di manzo il giorno.
Così che, essendo diversi i fattori che influenzano la concentrazione di CLA, si è posta grande intenzione nella loro identificazione al fine di aumentarla nei prodotti alimentari di origine animale consumati dagli esseri umani.
L’acido linoleico, importante precursore alimentare delle prostaglandine, in piccola porzione è trasformato nel fegato in acido arachidonico e in parte in acido DHLA, C20:3 (acido diomo-α-linoleico). Quest’ultimo è il precursore della prostaglandina antiaggregante E1 (PGE1), mentre l’acido arachidonico C20:4 lo è del potente agente aggregante trombossano A2 (TXA2) e della prostaglandina I2 (PGI2), anch’essa caratterizzata da potere antiaggregante, pur se in modo molto meno marcato.

            Pur tuttavia, il grasso del latte vaccino rappresenta la più ricca fonte naturale di CLA. I livelli vanno dai 2,4 ai 28,1 mg per gr di grasso. Quest’ampio intervallo di valori del CLA può essere attribuito a una serie di fattori. La dieta è il fattore più importante e i valori più elevati si verificano spesso con i periodi di pascoli freschi rispetto a quelli invernali. Una ragione di ciò sembra risiedere nel maggiore contenuto di acidi grassi insaturi negli oli dei semi dell’erba.
            Marius Collomb della Swiss Federal Research Station for Animal Production and Dairy Products (ALP), Switzerland e collaboratori hanno pubblicato una recensione riassuntiva delle conoscenze nel campo della ricerca sulla formazione del CLA nelle mucche, sull’analisi degli isomeri, sui fattori che influenzano il contenuto di CLA nel latte, sulla trasformazione del latte e dei prodotti lattiero-caseari arricchiti di CLA, nonché sugli aspetti riguardanti l'alimentazione e la salute. (International Dairy Journal Volume 16, Issue 11, November 2006, Pages 1347–1361).
La variabilità del contenuto di CLA può, quindi, dipendere da diverse circostanze e condizioni. A tale proposito Jun Ho Kim della Korea University e collaboratori, proprio perché i prodotti lattiero-caseari costituiscono la principale fonte di acido linoleico coniugato (CLA), hanno voluto determinare nel formaggio fuso gli effetti del tempo di allattamento, del regime di alimentazione e del periodo di maturazione sul livello di questo composto (J. Agric. Food Chem., 2009, 57 (8), pp 3235–3239). Il contenuto della sostanza nel latte variava con il periodo di allattamento. Era, di fatto, più alto in primavera da aprile a maggio con circa 6,8 mg di CLA / g di grasso e relativamente basso nella mezza estate e in inverno con circa 4,3 mg di CLA / g di grasso. Gli effetti del regime dietetico e del periodo di maturazione erano determinati nel latte ottenuto da marzo a maggio. Dopo un periodo di quattro mesi il formaggio prodotto con latte di vacche alimentate sui pascoli conteneva livelli relativamente più elevati di CLA rispetto a quello ottenuto da mucche alimentate al chiuso (8,12 mg CLA / g di grasso vs 6,76 mg CLA / g di grasso). Non c'era, invece, alcuna differenza in sette mesi di stagionatura. In entrambi i casi di alimentazione al pascolo e al chiuso i formaggi di sette mesi mostravano un maggiore contenuto di CLA di quelli di quattro mesi. Il contenuto di acido stearico (C18: 0) e linolenico (C18: 3) erano significativamente più alti nel formaggio delle mucche al pascolo, rispetto a quello delle mucche alimentate all’interno. Questi risultati, secondo gli Autori, dovrebbero essere utili per la produzione efficiente di prodotti lattiero-caseari più funzionali per alto contenuto di CLA.
In definitiva, dai dati rilevati in letteratura si rileva che è possibile ottenere circa 4,3 mg di CLA per grammo di grasso da carne macinata di manzo, mentre si ottengono circa 5,6 mg per grammo di grasso di agnello.
Il latte contiene elevate quote di CLA, specialmente se derivato da mucche nutrite con l’erba e ad altitudini più elevate. Un presupposto importante è che il CLA, trovandosi nel grasso, è maggiormente presente nel latte intero e meno in quello scremato. Il latte di mucca, in tal modo, contiene 5,5 mg di CLA per grammo di grasso.
Negli animali in stalla, alimentati in batteria con grano, la carne non contiene CLA sufficiente, salvo che non si attui un’integrazione con acido linoleico come grasso di colza, olio di girasole o di soia.
Da notare che la carne di canguro è una delle fonti dietetiche più ricche di CLA, ma non è molto popolare e facilmente disponibile.
La carne di maiale, di pollo e delle specie ittiche presenta tenori di CLA molto più bassi. Il pollame, in particolare, può arrivare a circa 0,9 mg per grammo di grasso, ad eccezione del tacchino che può far registrare concentrazioni fino a 2,5 mg/g di lipidi. Pur tuttavia, questa quota può aumentare se si alimentano i volatili con prodotti arricchiti con acido linoleico.
Le uova sono un'altra fonte di CLA, più elevato se derivate da galline alimentate con erba. Si trova nel tuorlo e si conserva anche dopo la frittura. Gli studi sugli effetti di fortificazione alimentare del CLA negli animali, che avrebbero dimostrato efficacia senza eventi avversi, hanno promosso per l’uomo, in ragione della sua limitata presenza nella dieta occidentale, l’utilizzo dello stesso processo. A tal proposito, le uova normali, che hanno un contenuto trascurabile di CLA, quando fortificate perché ottenute da galline alimentate con prodotti ricchi di acido linoleico, possono rendere disponibile una notevole quantità della sostanza. È possibile, in tal modo, ricavare circa 56 mg di CLA per ogni grammo di grasso di uova di gallina, rendendole, così, la fonte più ricca.
Peraltro, per ogni grammo di grasso di latte omogeneizzato è possibile disporre di circa 5,5 mg di CLA, di circa 4,8 mg per lo yogurt, di circa 4,7 per il burro e di circa 4,5 mg per il formaggio.
La selvaggina, come il cervo, l’alce e il bufalo, è anche una buona fonte di CLA e in media ne fornisce circa 4 - 5 mg per grammo di grasso.
Le verdure e gli altri prodotti di origine non animale contengono piccole quantità di CLA. Peraltro, esso è di scarsa qualità e, quindi, non molto utile. È poi, in particolare, totalmente assente negli oli vegetali.
Infine, anche alcuni funghi, come l’Agaricus bisporus e l’Agaricus blazei, rappresentano una fonte vegetale, ma rara, di CLA.
L'acido linoleico coniugato è disponibile anche in forma di supplemento, ma è meglio ricorrere alle fonti naturali alimentari per i maggiori benefici per la salute.
Ai fini culinari il CLA sembra essere molto stabile, il che significa che non è influenzato dalla cottura e lavorazione degli alimenti che lo contengono.


Effetti generali dell’acido linoleico coniugato sulla salute

L’acido alfa-linoleico, o ALA, è trasformato dall’organismo nell’EPA (acido eicosapentanoico), sua versione a catena lunga, e in misura minore in DHA (acido docosaesaenoico). Il primo, principale precursore delle prostaglandine della serie 3 con attività antiaggregante piastrinica, ha con il secondo un'azione protettiva contro l'aterosclerosi e conseguentemente contro le malattie cardiovascolari. Il solo DHA, costituendo l'80% dei PUFA (Polyunsaturated fatty acids) che la compongono, svolge anche una funzione di rilievo sulla retina. Da notare ancora che il DHA e l’ARA (Acido Arachidonico), importanti componenti strutturali dei lipidi della membrana cellulare, sono molto diffusi nel sistema nervoso centrale. Il 50% del peso secco cerebrale, infatti, è costituito da lipidi, soprattutto fosfolipidi contenenti ARA. Dal metabolismo degli acidi grassi ω-6 e ω-3 derivano, quindi, attraverso catalizzatori enzimatici, quali le ciclossigenasi e le lipossigenasi, prostaglandine, trombossani, leucotrieni, molecole di segnale, come eicosanoidi ed endocannabinoidi. Tutti questi composti, importanti per la formazione delle membrane cellulari, partecipano ai processi di coagulazione del sangue, di guarigione delle ferite, dell’infiammazione.
In breve, la carenza in acidi grassi omega-6 è causa di lesioni cutanee, di anemia, di aumento dell'aggregazione piastrinica, di trombocitopenia, di disfunzione epatica, di ritardo nella cicatrizzazione delle ferite, di aumentata suscettibilità alle infezioni, di diarrea, di ritardo della crescita nell'età evolutiva, d’infertilità. D’altra parte, la carenza degli acidi grassi omega-3 comporta, invece, sintomi neurologici, alterazioni della visione, lesioni cutanee, ritardi di crescita, alterazioni delle capacità cognitive e nel metabolismo dei neurotrasmettitori monoaminergici.
L’altro isomero del CLA, il cis-12 trans-10 sintetizzato a livello tissutale, è stato, peraltro, riconosciuto capace di interferire con l’attività della lipoproteinlipasi e la sterol CoA-desaturasi degli adipociti, ostacolando, così, l’ingresso dei lipidi nelle cellule adipose. La diminuzione delle LDL plasmatiche, attribuita ai due isomeri, è motivo della funzione antiarteriosclerotica connessa alla proprietà del cis-9 trans 11 di competere con l’acido arachidonico, diretto precursore dei TXA2 (trombossano A2), promotore della formazione delle placche ateromasiche.  
            IL CLA, comunque, è poi prodotto anche naturalmente dall’acido linoleico a opera di batteri nello stomaco degli erbivori, come le mucche. Alcune specie di lactobacillus ne producono quantità anche significative.

In effetti, il CLA si ottiene anche dall’acido linoleico per azione del Lactobacillus acidophilus, plantarum, paracasei e casei in vitro e in vivo, come nei topi. In questi animali, del ceppo ibrido C57BL / 6 J con obesità indotta dalla dieta, dopo integrazione con 1 × 109 unità formanti colonie (ufc) di Lactobacillus rhamnosus PL60, che può produrre CLA, si sono ottenuti effetti antiobesità. In definitiva, il CLA, come possibile agonista del PPARγ con proprietà di promozione sulla salute, ha dimostrato principalmente proprietà anti-ossidanti, antinfiammatorie, anticancerogene, antiaterogene e antiobesità.

            In definitiva, l'acido linoleico coniugato è un grasso trans e un tipo di acido grasso essenziale omega-6. In tale contesto, a differenza della maggior parte dei grassi trans noti per particolari problemi di salute, il CLA rappresenta, invece, un elemento favorevole. Difatti, questo composto, oltre che fornire benefici generici per la salute, è di facile reperimento e, rispetto ad altri grassi trans, procura effetti collaterali trascurabili. Peraltro, uno dei benefici più significativi per la salute è la sua proprietà anticancerogena. Può, difatti, prevenire diversi tipi di cancro, come quello del seno, della prostata, del polmone, dello stomaco. Inoltre, gli si riconosce anche un impatto positivo sulla perdita del peso. Di converso, invece, la sua mancanza ne ha dimostrato l'aumento. Sotto tale presupposto ne deriva che per mantenere il giusto controllo dell’adipe del corpo è opportuno assumere il CLA attraverso la dieta. Pur tuttavia, essendo, come già accennato, le principali fonti di CLA i prodotti dei ruminanti o degli animali con processi fermentativo-digestivi simili, come nel caso dei canguri, l’alimentazione occidentale riconosce la sua risorsa principale nella carne dei bovini e nei derivati del latte. Quest’ultimo, in effetti, costituisce il prodotto più ricco di CLA, il cui contenuto può variare dai 5.4 ai 7.0 mg/g di lipidi, in base alla specie animale considerata e alla sua provenienza. Le mucche alimentate al pascolo producono grandi quantità della sostanza in ragione del particolare modello digestivo dei vegetali costituito dai quattro compartimenti del loro stomaco. Ciò a differenza degli esseri umani che ne producono solo quantità molto piccole. Il CLA, formatosi come sottoprodotto della digestione, entra poi nel latte vaccino e nella carne, potendo essere successivamente utilizzati per il consumo umano.
In realtà prodotti, come carne e latticini derivati dagli animali alimentati al pascolo con erba, contengono quote maggiori di CLA di circa il 300-500% rispetto a quelli degli stessi trattati con la dieta abituale del 50% di fieno, d’insilati e del 50% di cereali. Innanzitutto, le carni degli animali da pascolo che si nutrono d’erba presentano un tenore più basso di grassi totali e anche un valore più basso in calorie.
            In definitiva, gli isomeri linoleici coniugati hanno dimostrato molti effetti benefici, ma anche dannosi negli studi sperimentali sugli animali e sull’uomo. Gli effetti meglio valutati riguardano l’obesità, l’aterosclerosi, il cancro, il diabete e la modulazione del sistema immune. Pur tuttavia, anche se molti studi sugli animali hanno dato risultati complessivamente positivi, nell’uomo in molte delle stesse aree sono stati molto meno chiari. Inoltre, la sicurezza e l'eventuale tossicità del CLA devono ancora essere definitivamente determinate.


Acido linoleico coniugato, infiammazione e obesità

È da notare che ciascun isomero del CLA ha univoche proprietà di bioattività. Per questo l'effetto biologico di una loro miscela nella dieta, come avviene nella maggior parte degli studi, sarebbe quello combinato delle distinte unità. Gli isomeri cis-9, trans-11 CLA e il trans-10, cis-12 CLA avrebbero, ad esempio, effetti additivi sul cancro e sulle funzioni delle cellule immunitarie. Peraltro, esplicherebbero anche un’azione differenziata sulla sensibilità all'insulina. Gli effetti avversi indotti dal CLA, quali la resistenza all'insulina e l’infiammazione, sono stati osservati principalmente con l’impiego del suo singolo isomero purificato e, in particolare, dell’isomero trans-10, cis-12.
Il cis-9, trans-11 CLA, invece, migliorerebbe la sensibilità all'insulina. Inoltre, il trans-10, cis-12 CLA sarebbe l'unico responsabile per i cambiamenti della composizione corporea e della riduzione della massa adiposa. Tutto ciò attraverso l'attivazione dello NF-кB p50/p65. D’altro canto, il CLA prodotto dalle specie Lactobacillus, come il casei e il plantarum, ha dimostrato proprietà antinfiammatorie con aumentata espressione del PPARγ. Il CLA, ottenuto dai probiotici in vivo, sembra rimanere all'interno del lume intestinale e serve come agonista del PPARγ a livello locale, mentre quello integrato per via orale sembra essere assorbito e incidere per via sistemica.

            Peraltro, il fegato, a prescindere dalla condizione fisiologica, è l’organo di particolare importanza per gli effetti del CLA. Esso, difatti, svolge un ruolo indispensabile per l’omeostasi energetica. Tra l’altro, converte il glucosio alimentare in eccesso in FA (fatty acids), diffusi poi come TG (triglycerides). Dei diversi isomeri del CLA, il trans-10, cis-12 CLA provoca l'accumulo maggiore di lipidi con la consequenziale steatosi epatica. Tuttavia, l'intensità di accumulo dei lipidi varia secondo il livello di CLA nella dieta, della durata dell’alimentazione, della condizione fisiologica e della specie animale considerata. I fattori dell’accumulo dei lipidi sono multipli e coinvolgono, da una parte, l’aumento dell’afflusso e della sintesi degli FA e, dall’altra, l’alterata ossidazione degli FA e l’insufficiente secrezione dei TG per prevenire l'accumulo dei lipidi. Questi meccanismi probabilmente non sono mutuamente esclusivi e potrebbero agire in modo coordinato per accelerare lo sviluppo e la progressione della steatosi epatica. In aggiunta alla sua azione sul metabolismo dei lipidi, il trans-10, cis-12 CLA induce anche una risposta infiammatoria nel tessuto adiposo, attivando la risposta: allo stress integrato conseguente all’attivazione dello NF-kB, all'induzione delle citochine infiammatorie, del TNFα, dell’IL6 e dell’IL8 e all’infiltrazione dei macrofagi. Tuttavia, i livelli delle citochine circolanti, del TNFα e dell’IL6 diminuiscono in risposta al trans-10, cis-12 CLA.
Dale A. Schoeller dell’University of Wisconsin–Madison, USA e collaboratori, trattando animali da laboratorio con una miscela di CLA, hanno rilevato la perdita di grasso e, in misura minore, il guadagno della FFM (fat-free mass). In una precedente meta-analisi, gli Autori avevano, peraltro, scoperto che il CLA produceva una perdita di grasso anche negli esseri umani, ma in maniera meno sensibile che nei topi. (Appl Physiol Nutr Me 2009, 34:975-978). In quest’ultima meta-analisi, con gli stessi diciotto studi per verificare se il CLA aumentasse la FFM, si rilevava il suo aumento con il trattamento (0,3 ± 0,7 kg, p = 0,05), senza variazioni nella sua durata (0,001 ± 0,005 kg · week-1, p = 0.8), oppure nel dosaggio (0.1 ± 0.1 kg · g CLA-1 · die-1, p = 0.3).
In conclusione, durante il trattamento con CLA si registrava nell'uomo un aumento rapido della FFM, ma piccolo in totale (<1%).
Per loro conto, Kennedy A dell’University of North Carolina USA e collaboratori nella loro recensione hanno riassunto i risultati degli studi in vivo e in vitro riguardanti i possibili meccanismi con cui il CLA riduce l’adiposità, considerando il suo impatto su: il metabolismo energetico, l’adipogenesi, l’infiammazione, il metabolismo lipidico, l’apoptosi (J Nutr Biochem. 2010 Mar;21(3):171-9).
In conclusione alla loro ricerca, gli Autori affermavano che il supplemento di una miscela d’isomeri CLA, o del solo t10c12-CLA, riduceva costantemente l’adiposità nei modelli animali, specialmente nei roditori, ma solo in alcuni studi nell'uomo. Le possibili ragioni di queste differenze risiedevano negli isomeri di CLA usati, nel loro dosaggio, nell’'età, nel peso e grasso corporei, o nello stato metabolico degli animali o dei soggetti. Tra i principali isomeri solo il t10c12-CLA riduceva l’adiposità o il contenuto dei TG (Triglyceride) del WAT.
In effetti, le differenze di dosaggio tra le specie possono essere notevoli. Difatti, nei roditori si utilizzano in genere dosi di CLA pro kg di peso corporeo maggiori di circa venti volte rispetto agli studi sull’uomo. Comunque, i potenziali meccanismi responsabili delle proprietà antiobesogene del t10c12-CLA comprendevano: 1) la riduzione dell'apporto energetico con la soppressione dell'appetito, 2) l’aumento della spesa energetica nel WAT, nei muscoli e nel tessuto epatico, o nel LBM (Lean Body Mass), 3) la diminuzione della lipogenesi o dell’adipogenesi, 4) l’aumento della lipolisi o della delipidizzazione, 5) l’apoptosi attraverso lo stress adipocitico, l’infiammazione e / o la resistenza all'insulina.
Leah D Whigham dell’University of Wisconsin e collaboratori, considerando, infine, che l’acido linoleico coniugato (CLA) si era dimostrato un integratore efficace nel ridurre la massa grassa negli animali, ma con risultati contraddittori nell'uomo, hanno svolto una meta-analisi di studi in tale campo in cui il prodotto era stato usato come integratore alimentare (Am J Clin Nutr May 2007 vol. 85 no. 5 1203-1211). Gli Autori hanno, così, selezionato diciotto studi. L'analisi degli effetti della dose indicava la perdita di grasso rispetto al placebo di -0,024 kg · g CLA-1 · wk-1 (P = 0.03). Dopo la regolazione della dose media di 3,2 g CLA / d, il prodotto si dimostrava efficace e produceva una riduzione della massa grassa per il gruppo di CLA da solo (0,05 ± 0,05 kg / sett, P <0,001) e per il gruppo CLA rispetto al placebo (0,09 ± 0.08 kg / sett, P <0,001).
In conclusione, il CLA, somministrato a dose di 3,2 g / die, produceva nell'uomo una modesta perdita di grasso corporeo.
Diwakar Vyas dell’University of Maryland - USA e collaboratori hanno riassunto i recenti studi sull'effetto dell’acido linoleico coniugato (CLA) sulla steatosi e insufficienza epatica e sul metabolismo lipidico del grasso, ponendo l’accento sui potenziali meccanismi di regolamentazione (Journal of Nutrition and Metabolism Volume 2012 (2012), Article ID 932928, 13 pages). Gli Autori hanno, così, esaminato sessantaquattro ricerche in cui topi, ratti, criceti e uomini a confronto sono stati alimentati con trans-10, cis-12 CLA da solo o in combinazione con altri isomeri. Il trans-10, cis-12 CLA induceva una steatosi epatica grave nei topi, ma con una risposta più in sordina nelle altre specie. Indipendentemente dalla specie, quando la steatosi epatica era presente, si osservava una diminuzione concomitante nell’adiposità corporea. Tale dato di fatto suggeriva che l'accumulo dei lipidi epatici era il risultato dell’assorbimento degli acidi grassi (FA), mobilitati dal tessuto, e dell'incapacità del fegato di aumentare sufficientemente l’ossidazione degli FA e l’esportazione dei trigliceridi sintetizzati. Gli Autori aprivano anche la discussione sul ruolo potenziale della composizione degli FA del fegato, sulla secrezione dell’insulina e sulla sua sensibilità, sulle adipochine e sulle risposte infiammatorie come potenziali meccanismi di base alla steatosi epatica indotta dal CLA.
Gli Autori concludevano che nei topi la steatosi epatica, indotta dal trans-10, cis-12 CLA, era associata alla lipodistrofia in aggiunta all'insulinoresistenza, all’iperinsulinemia e all’iperglicemia. Questi effetti erano in gran parte riconducibili a una riduzione della secrezione della leptina e dell’adiponectina. In effetti, gli interventi dietetici, diretti alla prevenzione della lipodistrofia o alla normalizzazione delle adipochine, negli animali impedivano o miglioravano l’epatopatia, suggerendo come principale fattore la risposta del tessuto adiposo al trans-10, cis-12 CLA. Peraltro, la moderata reattività del tessuto adiposo al trans-10, cis-12 CLA, osservata nei criceti, e i risultati nei ratti di basso o addirittura assente accumulo epatico dei TG, rispetto ai topi, esemplificherebbero le risposte specie-specifiche.
Perdomo MC dell’University of Florida, USA e collaboratori, considerando che lo LPS (Lipopolysaccharide) modula l’immunità innata attraverso l’alterazione della produzione di citochine da parte delle cellule immunitarie, hanno inteso esaminare l'effetto del CLA esogeno e del rosiglitazone, agonista del PPAR-γ, sulla produzione di TNF-α (tumor necrosis factor α) nel sangue intero, raccolto da giovenche Holstein prepuberi (età media = 5,5 mesi), indotta dallo stesso LPS (Domest Anim Endocrinol. 2011 Oct;41(3):118-25). Rispetto alle cellule non stimolate, l’addizione di LPS (10 mg / ml) al mezzo di coltura aumentava di 2,5 volte o più la proliferazione delle cellule mononucleate del sangue periferico (p <0.03). La coincubazione con interferone γ (5 ng / mL) stimolava ulteriormente la risposta linfoproliferativa allo LPS (P <0,01). Il lipopolisaccaride aumentava la concentrazione del TNF-α nel sangue intero coltivato in maniera dipendente dalla dose e dal tempo (P <0,01). La massima stimolazione di TNF-α si verificava dopo dodici ore dell’esposizione a 1 ug / mL di LPS. La coincubazione con l’isomero trans-10, cis-12 CLA (100 mM) o con il rosiglitazone (10 micron) diminuiva la produzione del TNF-α, indotta dallo LPS, rispettivamente del 13% e del 29% (P <0,01). L'acido linoleico e l’isomero cis-9, trans-11 CLA non avevano effetti rilevabili sulla produzione del TNF-α, indotta dallo LPS, nelle colture di sangue bovino. L'attenuazione del TNF-α, indotta dall’agonista PPAR-γ, s’invertiva quando il sangue era trattato con rosiglitazone e con GW9662, un selettivo PPAR-γ antagonista. L'aggiunta di rosiglitazone al mezzo di coltura tendeva a ridurre la concentrazione del fattore nucleare κ BP65 negli estratti nucleari e citosolici isolati dalle cellule mononucleate del sangue periferico coltivate. I risultati, pur nella necessità di ulteriori studi, mostravano che lo LPS era un potente induttore della produzione del TNF-α nelle cellule del sangue bovino e che il trans-10, cis-12 CLA e l’agonista PPAR-γ potevano attenuare la risposta pro-infiammatoria indotta dallo LPS nelle giovenche da latte.


Acido linoleico coniugato e aterosclerosi cardiovascolare

Le malattie cardiovascolari (CVD) sono la principale causa di morte nei paesi sviluppati e diversi studi hanno ormai dimostrato che l’intervento di una dieta appropriata ha particolare efficacia nel ridurne il rischio. A tal proposito, negli ultimi anni l'implicazione degli TFA (trans fatty acids) nei riguardi della salute pubblica ha ricevuto una sempre più crescente attenzione. Essi rappresentano, di fatto, una classe di composti con uno o più doppi legami nella configurazione trans. La maggior parte deriva dall’idrogenazione parziale degli oli vegetali e sono stati introdotti in commercio come grassi solidi in modo da aumentare la durata di conservazione degli alimenti e per sostituire i grassi animali, come lo strutto, il sego e il burro.
L'aumentato rischio di CVD è stato associato all’assunzione totale di TFA oppure di alimenti noti per contenere maggiore fonti di iTFA (industrially produced TFA), come la margarina, i dolci e i biscotti. Peraltro, si è ottenuta evidenza che questi ultimi hanno la proprietà d’influenzare negativamente molteplici fattori di rischio cardiovascolare, ad esempio aumentando le concentrazioni plasmatiche dei lipidi, delle lipoproteine, dei marker infiammatori e compromettendo la funzione endoteliale. D’altro canto, i risultati delle analisi quantitative hanno indicato che il rischio di CVD potrebbe essere ridotto per ben il 50% se il PHVO (partially hydrogenated vegetable oil) fosse sostituito con grassi e oli alternativi. In conseguenza ai dimostrati numerosi effetti negativi sui vari indicatori di salute degli iTFA, nell’ultimo decennio sono stati compiuti sforzi per rimuoverli dall’approvvigionamento alimentare e dalla restaurazione. In tutto ciò si è notato un paradosso che ha portato a differenziare i TFA degli oli prodotti sinteticamente da quelli di produzione naturale dai ruminanti, tra cui il VA (acido vaccenico) trans-11 18:01 e l’isomero del CLA cis-9, trans-11, c9, t11-CLA.
In virtù delle sue azioni pro o antiossidanti e citotossiche, il CLA ha anche mostrato nelle cellule endoteliali umane effetti differenziali dipendenti dalla dose, associati a fattori di trascrizione redoxsensibili PPARγ e NF-kB. Questi agenti di trascrizione sembrano modulare, in modo coordinato secondo i microfattori ambientali, lo stress ossidativo e l'infiammazione. In effetti, ci sono studi che hanno dimostrato come il CLA sia in grado di legarsi e attivare il PPAR, i cui tre isotipi α, β / δ e γ sono fattori di trascrizione ligando-attivati ​​che agiscono come importanti regolatori del metabolismo delle lipoproteine​​, dell’omeostasi del colesterolo e del glucosio e dell'infiammazione. Tutte queste condizioni sono, di fatto, importanti per lo sviluppo dell'aterosclerosi. La regolazione trascrizionale dei geni da parte dei PPAR è mediata dal legame degli eterodimeri recettoriali attivati ​​PPAR-retinoidi X a specifiche sequenze del DNA, chiamate PPRE (Peroxisome Proliferator Response), presenti dentro e intorno alla regione del promotore dei geni bersaglio, di cui stimolano l'espressione. I PPAR (Peroxisomal Proliferator- Activated Receptors) sono anche in grado di modulare negativamente l'espressione genica, inibendo il legame del DNA con altri vari fattori di trascrizione, quali lo NF-KB. Quest’ultimo gioca, com’è noto regolando la trascrizione dei geni coinvolti nel processo infiammatorio, un ruolo centrale nella risposta infiammatoria. L’inibizione dello NF-κΒ da parte dei PPAR è, peraltro, di grande importanza per lo sviluppo della modulazione dell’aterosclerosi, poiché è noto che la sua attivazione nelle cellule vascolari contribuisce significativamente allo sviluppo dei disturbi, come proprio l'aterosclerosi o l’ipertensione. Quindi, non è sorprendente che i ligandi PPAR esercitino effetti diretti protettivi sulle cellule della parete vascolare, che esprimono tutte gli isotipi PPAR. Essi modulano, difatti, l'espressione dei geni implicati nel processo aterosclerotico attraverso l'attivazione dei PPAR. Poiché i CLA sono anche ligandi dei PPAR, è plausibile ipotizzare che i loro effetti antiaterogenici possano, almeno in parte, essere mediati dalla modulazione dell'espressione genica proaterogena da parte dei PPAR sulle cellule vascolari.
Peraltro, i ligandi farmacologici dei PPAR hanno mostrato di ridurre nelle cellule endoteliali l'espressione di superficie delle molecole di adesione stimolata dalle citochine, l'adesione dei leucociti e il rilascio di chemochine. Questi risultati si spiegano essenzialmente con gli effetti inibitori dei ligandi PPAR sul legame del DNA dei fattori di trascrizione quali lo NF-κΒ, l’AP-l (activator protein) e gli STAT-3 (signal transducers and activators of transcription). A tal proposito, nelle cellule endoteliali lo NF-κΒ è considerato uno dei fattori cruciali per l'induzione trascrizionale delle molecole di adesione e delle chemochine. Da notare che il VCAM-1 e la MCP-1 (monocyte chemoattractant protein-1) contengono più siti di legame per lo NF-κΒ. Di conseguenza, le citochine come il TNFa e molte altre, che sono attivatori noti dello NF-κΒ, causano l’induzione delle molecole di adesione delle cellule endoteliali. Grazie alla loro potenzialità di legarsi e attivare i PPAR, si è ipotizzato che i CLA possano agire in un modo simile ai ligandi PPAR sintetici e con la contro-regolazione della trascrizione NF-κΒ-dipendente delle molecole di adesione e chemochine attraverso la segnalazione PPAR-dipendente.
La possibilità che le proprietà antiaterogeniche degli isomeri del CLA possano influenzare le lesioni aterosclerotiche e i livelli dei lipidi nel sangue è stata testata in modelli animali, ma senza poterne considerare per molteplici condizioni le applicazioni corrispondenti nell’uomo. In primo luogo vanno considerate, a tal proposito, le differenze genetiche interspecie. In verità, alcuni degli effetti degli isomeri del CLA sulla salute, osservati nei modelli animali, potrebbero essere specie-specifici e, quindi, non riproducibili negli esseri umani. L'effetto soppressivo sull’ipertensione, ad esempio, è stato osservato in ratti alimentati con CLA, ma non nell'uomo. In secondo luogo, gli studi sperimentali hanno utilizzato animali soprattutto adolescenti, mentre quelli sull’uomo sono compiuti su adulti per lo più sani, o obesi o diabetici. Peraltro, la composizione corporea, la sensibilità e il metabolismo delle sostanze chimiche e dei profili di espressione genica nello sviluppo degli animali adolescenti possono essere diversi da quelli visti negli esseri umani adulti. Questo potrebbe influenzare il risultato di valutazione degli effetti degli isomeri del CLA, in particolare sugli eventi associati all'età, come l’adiposità e l’aterogenesi. Anche se i topi predisposti all’aterosclerosi (cioè i C57BL / 6) imitano in questo gli esseri umani, i risultati sugli animali sono stati inconcludenti e l'efficacia degli isomeri del CLA è forse relativa alle differenze genetiche interspecie. In terzo luogo, gli studi sugli animali sono stati compiuti, in genere, per brevi periodi e con dosaggi elevati. Questo costituisce un particolare interessante perché il possibile consumo umano dell’isomero del CLA richiederebbe dosi e durate non possibili sperimentalmente.
            Lee KN dell’University of Wisconsin-Madison e collaboratori hanno con i loro studi sui conigli suggerito effetti protettivi e / o terapeutici con il trattamento del CLA (Atherosclerosis 1994, 108:19-25). Gli animali in dieta aterogenica, integrata con una miscela d’isomeri di CLA (cis-9, trans-11 CLA: trans-10, cis-12 CLA = 1,1; 0,5 g CLA dieta / giorno / coniglio) presentavano, in effetti, significativamente minori lesioni lipidiche aortiche e più bassi livelli di trigliceridi plasmatici e del colesterolo LDL, rispetto agli animali di controllo
            Ancora meglio David Kritchevsky dell’University of Cincinnati, Ohio e collaboratori hanno offerto il primo esempio di regressione sostanziale dell’aterosclerosi prodotto dalla sola dieta (Journal of the American College of Nutrition, 2000Vol. 19, No. 4, 472S–477S). Gli Autori hanno indotto sperimentalmente l’aterosclerosi in conigli per determinare gli effetti dell’acido linoleico coniugato (CLA) sulla sua costituzione e progressione. A livelli dietetici dell’1% il CLA determinava una sostanziale regressione del 30% dell'aterosclerosi già stabilita.
            In conclusione, gli Autori dimostravano che il CLA alimentare era un efficace inibitore dell’aterogenesi e che provocava anche una regressione di quella già stabilita.
            Robert Ringseis e Klaus Eder della Technische Universität München – Germany nella loro revisione hanno riassunto i risultati degli studi in vitro sugli effetti degli isomeri del CLA e delle sue miscele in ordine alle proprietà funzionali delle cellule della parete vascolare (British Journal of Nutrition (2009), 102, 1099). Hanno, così, puntualizzato il rapporto con le cellule endoteliali, quelle muscolari lisce e i macrofagi derivati dai monociti, tra i principali attori che contribuiscono allo sviluppo della lesione aterosclerotica. Sulla base di tutti gli studi riportati, si poteva concludere, in effetti, che il CLA esercitava diverse azioni benefiche sulle cellule della parete vascolare attraverso l'attivazione dei PPAR. Queste azioni, che potevano almeno in parte spiegare l'inibizione dell’aterogenesi da parte del CLA alimentare, includevano la modulazione del rilascio dei mediatori vasoattivi dalle cellule endoteliali, l’inibizione dei processi infiammatori e fibrotici nelle cellule muscolari lisce attivate, l’annullamento delle risposte infiammatorie nei macrofagi attivati​ e la riduzione dell’accumulo del colesterolo nelle cellule schiumose derivate dai macrofagi.
            Sarah K. Gebauer della Pennsylvania State University – USA e collaboratori hanno passato in rassegna le evidenze degli studi epidemiologici e clinici rivolti a determinare se l'assunzione degli isomeri degli rTFA (Ruminant TFA), specificamente il VA e il c9, t11-CLA, potesse influenzare in modo differenziale il rischio di CVD e di cancro, rispetto agli iTFA (American Society for Nutrition. Adv. Nutr. 2: 332–354, 2011). Alcuni studi epidemiologici suggerivano un’associazione positiva con il rischio di malattia coronarica solo tra gli isomeri iTFA e non con quelli rTFA. Pur tuttavia, erano stati condotti piccoli studi clinici per stabilire le relazioni di causa-effetto tra questi diverse fonti di TFA e i biomarcatori o i fattori di rischio di CVD, peraltro con risultati inconcludenti. Inoltre, la mancanza di rilevazione degli effetti del trattamento in alcuni studi poteva essere la causa dell’insufficiente potenza statistica dei risultati. Ancora, molti studi avevano utilizzato dosi di rTFA non realisticamente raggiungibili con una dieta. D’altra parte, l’associazione tra l’assunzione degli iTFA e il cancro mostrava aspetti contraddittori e quella con gli rTFA e il cancro non era stata ben studiata. Infine, non erano stati condotti studi clinici per indagare il rapporto causa-effetto tra l’assunzione degli iTFA e degli rTFA e il rischio per i tumori.
            In conclusione, gli Autori suggerivano la necessità di ulteriori ricerche nell'uomo per determinare gli effetti sulla salute del VA e del c9, t11-CLA.


Acido linoleico coniugato e malattie infiammatorie intestinali

Le malattie infiammatorie intestinali (IBD) sono patologie immunomediate a eziologia sconosciuta, caratterizzate da un’infiammazione cronica e incontrollata della mucosa intestinale. Le due principali forme cliniche sono la malattia di Crohn (MC) e la colite ulcerosa (CU). Le terapie correnti migliorano le condizioni del malato tanto da indurre e mantenere la remissione clinica, ma non possono considerarsi ottimali per la gestione a lungo termine della malattia a causa dei loro significativi effetti avversi collaterali. Così, la ricerca di nuovi approcci per prevenire queste malattie costituisce un attuale obiettivo importante della medicina. A tale proposito, si è rivolta l’attenzione alla particolare flora dell'intestino umano adulto, composta di circa 100 trilioni di organismi microbici, e alla possibile modulazione dell'induzione delle risposte immunitarie con i cambiamenti nella sua composizione. Su tale base si è indotta l’esplorazione di manipolare la composizione batterica intestinale con i batteri probiotici per la produzione di metaboliti locali per l'intervento terapeutico contro la malattia infiammatoria intestinale. Pur tuttavia, i meccanismi di azione alla base degli effetti immunoregolatori dei probiotici e dei loro metaboliti chiave sulla mucosa intestinale non sono completamente compresi. In effetti, le popolazioni microbiche intestinali possono sintetizzare una vasta gamma di molecole lipidiche che variano in struttura chimica dagli SCFA (short chain fatty acids), quali il butirrato, l’acetato e il propionato, ai PUFA (polyunsaturated fatty acids), coinvolti nella regolazione dell'apoptosi e della risposta immunitaria. In tale contesto sono inclusi gli isomeri del CLA (conjugated linoleic acid) e del CLNA (conjugated linolenic acid). È, peraltro, interessante come il CLA, l’acido punicico ed eleostearico abbiano ricevuto in tale ordine di studi una certa attenzione per il trattamento della colite ulcerosa e del cancro a essa associato. Ceppi di Bifidobacterium breve, uno di B. bifidum e uno di B. pseudolongum producono isomeri di CLA e di CLNA in vitro, a partire rispettivamente dall’acido linoleico o dall’acido alfa - linoleico. Tuttavia, non vi è alcuna evidenza della produzione di CLA in vivo dai batteri probiotici nell'intestino. Comunque, i ceppi batterici produttori di CLA sono stati trovati in una miscela nota come probiotico VSL # 3, dimostratasi efficace nei pazienti con colite ulcerosa, pouchite e in modelli animali di colite. Ai batteri probiotici del VSL # 3 è riconosciuta la proprietà di regolare l'equilibrio microbico intestinale con la sintesi di sostanze antibatteriche, come i lantibiotici, e altre batteriocine, come i composti in competizione con gli agenti patogeni che impediscono la loro aderenza alle cellule epiteliali intestinali, che sopprimono l'infiammazione locale, che sovraregolano le citochine antinfiammatorie, come l’IL -10, che favoriscono l'espansione delle cellule regolatorie mucose durante la pouchite ileale e che sottoregolano la produzione guidata dallo LPS – dell’IL - 8, del TNF- α e dell’IFN - γ.
            Cristiano Pagnini dell’University of Virginia Health System, Charlottesville, VA e collaboratori hanno dimostrato che la formulazione multipla del probiotico VSL # 3 preveniva l'insorgenza dell’infiammazione intestinale per la stimolazione locale delle risposte immuni innate epiteliali, aumentando la produzione del TNF-derivato epiteliale-α e ripristinando, così, la funzione della barriera epiteliale in vivo (Proc Natl Acad Sci U S A. 2010 January 5; 107(1): 454–459). Gli Autori dimostravano anche che i batteri probiotici stimolavano in vitro la produzione epiteliale del TNF-α e l’attivazione del NF-kB. Secondo tali risultati, i ricercatori ritenevano di supportare l'ipotesi che i probiotici potevano promuovere la salute intestinale attraverso la stimolazione, piuttosto che la soppressione del sistema immunitario innato. Inoltre, si forniva la prospettiva che i difetti dell’immunità innata potevano giocare un ruolo critico nella patogenesi e nella progressione dei disturbi intestinali, come la malattia infiammatoria intestinale.
            Dal loro canto, Josep Bassaganya-Riera della Virginia Bioinformatics Institute, United States of America e collaboratori hanno seguito l’obiettivo di studiare i meccanismi cellulari e molecolari alla base dell'efficacia anti-infiammatoria dei batteri probiotici, utilizzando sessanta topi C57BL6 con un modello murino di colite DSS (dextran sodium sulfate) (PLoS ONE Feb. 2012;7(2):e31238). Per ogni esperimento i sessanta topi erano alimentati, per ventiquattro giorni prima dell'induzione della colite, con diete purificate AIN-93G con o senza l’1% di CLA. Il supplemento del CLA, somministrato per via orale, conteneva una miscela 50:50 d’isomeri cis-9, trans-11 CLA e trans-10, cis-12 (Clarinol, Loders Croklaan BV). I topi ricevevano, quindi, 0,5 ml di soluzione di probiotico/die di VSL # 3 con sonda gastrica per una concentrazione finale di 0,0072 g VSL # 3/mL, corrispondente a 1,2 × 109 batteri per topo / giorno, in tampone fosfato salino (PBS) a pH 7,1. Da notare che il VSL # 3 è una miscela commerciale composta di quattro ceppi di lattobacilli (Lactobacillus casei, L. plantarum, L. bulgaricus e L. acidophilus), da tre ceppi di bifidobatteri (Bifidobacterium longum, B. Breve, e B. infantis) e dallo Streptococcus thermophilus. La scelta della dose era sulla base che le concentrazioni dei probiotici, che variavano tra le 108 e le 109 ufc / topo / giorno erano sufficienti per colonizzare efficacemente la mucosa intestinale dei roditori. Invero, questa dose era biologicamente rilevante poiché corrispondeva a un consumo giornaliero di circa 3.600 miliardi di batteri per un uomo adulto del peso di 70 kg.
Per indurre la colite, i topi erano trattati per sette giorni con destrano solfato di sodio al 2,5% (DSS). Si calcolavano, quindi, gli indici di attività di malattia e i punteggi di sanguinamento rettale. Il settimo giorno i topi erano sacrificati per raccogliere campioni del colon ai fini dell'istopatologia, dell'espressione genica e delle analisi di citometria a flusso. Venivano, così, fenotipicamente e funzionalmente caratterizzati i sottogruppi di cellule immunitarie nei linfonodi mesenterici (MLN), nella milza, nel sangue e nelle cellule della lamina propria del colon. Erano, di poi, raccolti campioni fecali e contenuti del colon per determinare l'effetto del VSL # 3 e del CLA sulla diversità microbica intestinale e sulla produzione del CLA.
Il trattamento con CLA e con il VSL # 3 migliorava la colite e diminuiva la diversità batterica del colon, condizione correlata con la riduzione della patologia intestinale. Peraltro, le concentrazioni del CLA nel colon aumentavano con risposta al trattamento batterico probiotico, ma senza una distribuzione sistemica nel sangue. Il VSL # 3 e il CLA diminuivano l’accumulo dei macrofagi nei MLN dei topi con colite DSS. La perdita di PPAR γ nelle cellule mieloidi abrogava nei topi con colite DSS l'effetto protettivo dei batteri probiotici e del CLA.
            In conclusione, gli Autori hanno ritenuto con il loro studio di aver fornito evidenza in vivo che i cambiamenti nella diversità microbica e della produzione di CLA locale erano implicati nei meccanismi di azione PPAR γ-dipendenti alla base degli effetti anti-infiammatori e anti-cancerogeni dei batteri probiotici. Questo nuovo modello meccanicistico sarebbe stato sostenuto dai risultati delle analisi di perdita di funzione che illustravano la necessità del PPAR γ dei macrofagi nel mediare l'intero spettro degli effetti anti-infiammatori dei batteri probiotici nell'intestino. Avrebbero, anche, offerto l’evidenza in vivo della riduzione della diversità batterica del colon con una netta predominanza del TRF H-116 e la produzione di CLA locale nel colon nei topi trattati con il VSL # 3. Infine, avrebbero dimostrato le notevoli somiglianze nella capacità dei batteri probiotici e del CLA nel modulare la funzione dei macrofagi nella mucosa intestinale.           
            Sempre il gruppo con Josep Bassaganya-Riera, avendo riconosciuto l’efficacia del CLA come modulatore immunitario e composto anti-infiammatorio nei modelli di colite del topo e del maiale, ha inteso di verificarla anche nei pazienti con lieve o moderata malattia di Crohn (CD) (Clin Nutr. 2012 Oct;31(5):721-7). Gli Autori hanno, così, arruolato tredici pazienti con CD lieve o moderatamente attiva in uno studio in aperto di CLA (6 g / die per via orale) per dodici settimane. Hanno, quindi, raccolto campioni del sangue periferico, per l'isolamento delle cellule mononucleate e l'analisi funzionale della linfoproliferazione e produzione di citochine, al basale, a sei e dodici settimane dopo l'inizio del trattamento. L'attività della malattia era calcolata utilizzando il CDAI (CD activity index), mentre la qualità della vita era valutata utilizzando il IBDQ (Inflammatory Bowel Disease Questionnaire). Alla dodicesima settimana il CLA sopprimeva significativamente la capacità dei sottogruppi di cellule T del sangue periferico CD4 + e CD8 + nella produzione di IFN-γ, TNF-α e IL-17 e nella linfoproliferazione. Alla 12 ^ settimana si rilevava anche un calo statisticamente significativo del CDAI da 245 a 187 (P = 0,013) e un aumento dell’IBDQ da 141 a 165 (P = 0.017).
            In conclusione, la somministrazione orale del CLA era ben tollerata e sopprimeva la capacità delle cellule T del sangue periferico nella produzione di citochine pro-infiammatorie, nella riduzione dell'attività di malattia, mentre aumentava la qualità della vita dei pazienti con CD.


Acido linoleico coniugato e cancro

L'interesse sugli effetti biologici del CLA ha avuto inizio con il riscontro di Michael Pariza e collaboratori dell'Università del Wisconsin di un fattore nella carne macinata cruda e fritta che inibiva la mutagenesi e la cancerogenesi (Cancer Lett, 1979;7:63–9). Quest’attività è stata ricollegata alla capacità della sostanza di ridurre la sintesi dell’acido arachidonico, precursore degli ecosanoidi, oltre che dei leucotrieni e delle prostaglandine. Questi prodotti ricoprono, difatti, un importante ruolo nel processo della carcinogenesi. È stata prodotta evidenza della possibile efficacia nell’inibire l’iniziazione, la promozione e la progressione del cancro della mammella, del colon, della pelle e della prostata.
Un possibile meccanismo anticancerogenico del CLA è stato anche individuato nelle proprietà indirette pro-ossidanti. Studi su colture cellulari hanno indicato che il CLA aggiunto a un mezzo con cellule tumorali s’incorpora direttamente nella membrana cellulare del cancro in misura proporzionale alla sua concentrazione. Quest’alterazione della membrana cellulare induceva perossidazione lipidica che, nell’ipotesi di una cascata citotossica con inibizione della crescita e della proliferazione delle cellule tumorali, alterava definitivamente le proprietà biofisiche e i percorsi di segnalazione della membrana stessa. Pur tuttavia, la maggior parte degli studi sull'uomo ha testato l'effetto del consumo dei latticini sul rischio di cancro.
Anche se alcuni hanno trovato una relazione inversa tra il consumo dei latticini e il rischio di cancro, è impossibile, però, determinare se gli effetti osservati sono legati al CLA, ad altri acidi grassi, o ad altre variabili, come l’acido folico, la vitamina B-6 e le fibre che aumentano anche con il maggiore consumo dei latticini (Larsson et al., 2005). D'altro canto, gli studi sugli animali hanno testato direttamente il CLA e la crescita tumorale in vitro e in vivo e hanno mostrato una più definitiva correlazione inversa.
            In tale ordine di studi, Kelley NS dell’University of California, USA e collaboratori hanno condotto un esame della letteratura sugli effetti di tumorigenesi in vivo e sulla crescita di linee cellulari tumorali in vitro da parte delle preparazioni dell’acido linoleico coniugato (CLA) arricchite in isomeri specifici, cis9, trans11-CLA (c9, t11-CLA) o trans10, cis12-CLA (t10, c12-CLA) (J Nutr. 2007 Dec;137(12):2599-607). Gli Autori hanno anche analizzato i possibili meccanismi attraverso i quali gli isomeri del CLA potessero alterare l'incidenza del cancro. Non erano reperibili pubblicazioni sugli effetti in vivo degli isomeri purificati del CLA sul cancro umano. In tutti gli studi l'incidenza dei tumori mammari nel ratto, indotti dalla metilnitrosourea, era diminuita dal c9, t11-CLA e in pochi, che lo includevano, dal t10, c12-CLA. Questi due isomeri diminuivano nei topi anche l'incidenza dei tumori gastrici, indotti da benzo[a]pirene. Entrambi gli isomeri riducevano la tumorigenesi al seno e allo stomaco. Il c9, t11-isomero CLA non influenzava lo sviluppo dei tumori spontanei dell’intestino o della ghiandola mammaria, mentre il t10, c12-CLA aumentava lo sviluppo dei tumori mammari e intestinali, indotti geneticamente. In vitro il t10, c12-CLA inibiva la crescita delle linee cellulari della mammella, del colon, del colon-retto, dello stomaco, della prostata e dell’epatoma. Questi due isomeri di CLA avrebbero potuto regolare la crescita tumorale attraverso meccanismi differenti, in rapporto agli effetti marcatamente diversi sul metabolismo lipidico e sulla regolazione degli oncogeni. Inoltre, il c9, t11-CLA inibiva la via della cicloossigenasi-2 e il t10, c12-CLA quella della lipossigenasi. L’isomero t10, c12 CLA induceva l'espressione dei geni apoptotici, mentre il c9, t11 CLA, nella maggior parte degli studi che lo avevano valutato, non aumentava l'apoptosi. Diversi isomeri minori, compresi il T9, T11-CLA, il c11, t13-CLA, il C9, C11-CLA e il t7, c11-CLA, nell’inibire la crescita cellulare in vitro, risultavano più efficaci del c9, t11-CLA o del t10, c12-CLA.
            Gli Autori in conclusione, però, rimarcavano la necessità di ulteriori studi con isomeri purificati nell'uomo per stabilire il loro beneficio per la salute e il loro individuale rapporto di rischio.


Acido linoleico coniugato e cancro al seno

Una considerevole quantità di ricerche è stata dedicata agli effetti del CLA con diverse linee cellulari del carcinoma mammario. Questa neoplasia è, invero, il tumore più diffuso nelle donne dei paesi in via di sviluppo per le quali i prodotti alimentari dei ruminanti, come fonte naturale principale del CLA, rappresenterebbero un mezzo di grande impatto sulla salute. Numerosi studi, difatti, hanno riportato negli animali e nell'uomo una diminuzione della formazione dei tumori e della loro crescita con il CLA. Studi sui ratti hanno anche indicato che il CLA durante lo sviluppo mammario riduce il rischio di crescita del tumore e che la supplementazione può permettere un mezzo di protezione a lungo termine. Da notare, peraltro, che nella donna il 75% dei tumori al seno sono recettori positivi dell'estrogeno α (ERa). Tutto ciò comporta che gli estrogeni aumentano la crescita e la proliferazione delle cellule tumorali. Tuttavia, a una dose terapeutica giornaliera di 10-80qm, si è dimostrato che il CLA inibisce la crescita delle cellule stimolate dall’estrogeno, forse regolando l'espressione del recettore. Peraltro, il CLA può indurre l'apoptosi delle linee cellulari ERa (+) MCF-7. Questi effetti anti-estrogenici del CLA sono più probabilmente attribuibili alla diminuita espressione del Bcl-2, una proteina antiapoptotica che aumenta la sua espressione con l’aumento degli estrogeni.
Peraltro, è stato dimostrato che la maggior parte delle linee di cellule del cancro al seno presenta una notevole espressione degli enzimi di sintesi degli acidi grassi, dipendendo da essi per la loro crescita e sopravvivenza. L’inibizione della sintesi, sia degli acidi grassi sia dell’assorbimento cellulare di essi, può condizionare questi processi, producendo un maggiore effetto antiproliferativo in vitro. Questa dipendenza dagli acidi grassi può, quindi, aprire nuovi orizzonti per la terapia. Pur tuttavia, anche se l'obesità è stata associata a un aumento d’incidenza del cancro al seno con prognosi più sfavorevole, gli studi interventistici finora compiuti non hanno rivelato un vantaggio di sopravvivenza da una dieta a basso contenuto di grassi per le pazienti di cancro al seno.
Il CLA comprende un gruppo di acidi con diciotto di carbonio, bi-insaturi della carne e del latte dei ruminanti, commercializzati anche come un nutraceutico per la perdita del peso. Esso ha mostrato effetti antitumorali in modelli preclinici di cancro mammario, sia in vivo sia in vitro.
Laura E Voorrips della Maastricht University, Netherlands e collaboratori, in ragione della scarsa evidenza epidemiologica dell’associazione tra l'acido linoleico coniugato (CLA) e il cancro al seno nell’uomo, hanno voluto compiere uno studio nei meriti nel Netherlands Cohort Study (Am J Clin Nutr October 2002 vol. 76 no. 4 873-882). Gli Autori hanno, così, collegato i dati dell’alimentazione, derivati ​​da un convalidato questionario di frequenza alimentare, con un database esistente di dati analitici sugli acidi grassi specifici ai prodotti alimentari europei dello studio TRANSFAIR. Si seguiva un follow-up di 6,3 anni in cui si verificavano 941 casi di cancro al seno in postmenopausa. Le rate ratio multivariate e gli IC 95% (intervalli di confidenza al 95%) erano calcolati per le aggiustate assunzioni d'energia da acidi grassi e i gruppi di alimenti contenenti CLA (ad esempio, burro, formaggio, latte, prodotti lattiero-caseari e carne). L'assunzione di CLA dimostrava una debole relazione positiva con l'incidenza del cancro al seno (rate ratio per il più alto quintile rispetto al più basso: 1,24, IC 95%: 0,91, 1,69; p per trend = 0.02). Statisticamente si riscontravano significative associazioni positive con il totale degli acidi grassi trans e in borderline con quelli saturi. Associazioni inverse significative si rilevavano con gli acidi grassi insaturi, con i monoinsaturi e con i cis. Invece, il totale dei grassi e l'apporto energetico dei gruppi di alimenti contenenti CLA non erano collegati con l'incidenza del cancro al seno.
            In conclusione, la proprietà antitumorale, suggerita per il CLA dai modelli di coltura dei tessuti animali, negli esseri umani non sarebbe potuta essere confermata da questo studio epidemiologico.
            Susanna C Larsson del Karolinska Institutet, Stockholm – Sweden e collaboratori, con l'obiettivo di esaminare in modo prospettico l'associazione tra assunzione di CLA e l'incidenza del carcinoma mammario invasivo nella Swedish Mammography Cohort nel periodo 1987-1990, hanno esaminato 61.433 donne senza cancro che avevano compilato un questionario di frequenza alimentare da cui hanno stimato l'assunzione di CLA di ogni soggetto (Am J Clin Nutr September 2009 vol. 90 no. 3 556-560). Gli Autori hanno utilizzato i modelli proporzionali di Cox per stimare i rischi relativi corretti per i fattori di rischio del cancro al seno. Nel corso di un follow-up medio di 17,4 anni si accertavano 2.952 casi di cancro al seno.

All'analisi multivariata non si osservava alcuna associazione significativa tra l'assunzione del CLA nella dieta e il rischio del cancro al seno in ogni caso o nelle condizioni di recettorialità per gli estrogeni (ER) e del progesterone (PR). I rischi relativi multivariati (IC 95%) per il quintile più alto di assunzione di CLA (≥ 155.7 mg / die) rispetto al quintile più basso (<78,1 mg / die) erano per il tumore al seno 1,04 (0,92, 1,17) complessivamente, 1,09 (0,90, 1,31) per gli ER + / PR +, 1,09 (0,78, 1,53) per gli ER + / PR- e 0,84 (0,57, 1,24) per gli ER-/PR-.
            In conclusione, i risultati, secondo gli Autori, non fornivano nelle donne alcuna prova di un effetto protettivo del CLA contro lo sviluppo del cancro al seno.
            Sandra L. Rodriguez dell’University of Maryland, USA e collaboratori hanno ipotizzato che gli effetti del trans-10, cis-12 CLA nel tessuto mammario non fossero limitati ai percorsi del metabolismo lipidico e che, quindi, potessero coinvolgere altre reti funzionali, come quanto osservato nel tessuto adiposo. Su tale premessa gli Autori si sono posti l'obiettivo specifico di usare il microarray e la bioinformatica per caratterizzare le reti geniche nella mammella e nel fegato, sensibili al supplemento del trans-10, cis-12 CLA durante l'allattamento dei topi (Journal of LipidsVolume 2013 (2013), Article ID 890343, 16 pages). Le premesse indicavano che il trans-10, cis-12-CLA esogeno riduceva la sintesi dei lipidi nel tessuto adiposo e nella ghiandola mammaria (MG) dei topi. Tuttavia, non erano note le alterazioni genomiche nella MG e nel fegato (LIV) associate al CLA della dieta durante l'allattamento. Gli Autori hanno, così, alimentato cinque topi di controllo tra il 6° e il 10° giorno dopo il parto e altri con aggiunta di trans-10, cis-12 CLA (37 mg / die). Si utilizzavano la microarray 35.302 MEEBO (Mouse Exonic Evidence Based Oligonucleotide) e la RT-PCR quantitativa per la trascrizione dei profili. La concentrazione del grasso del latte era inferiore del 44% al 10° giorno contro quella del 6° a causa del CLA. La dieta con CLA provocava l'espressione differenziale di 1.496 geni. L’analisi bioinformatica rilevava che un effetto importante del CLA sulla MG comprendeva le alterazioni delle vie di segnalazione cellulare e della biosintesi delle specie fosfolipidiche. Il CLA dietetico induceva geni legati all’ER stress (XBP1), all’apoptosi (Bcl2) e all’infiammazione (ORM1, SAA2, e Cp). Induceva anche una marcata inibizione della segnalazione PPAR, inclusa la down-regulation del Pparg, dello Srebf1 e di diversi geni bersaglio lipogenici (SCD, FASN, e GPAM). Nel LIV il CLA induceva steatosi, probabilmente attraverso perturbazioni nelle funzioni mitocondriali e induzione dell’ER stress.
            Nel complesso, i risultati di questo studio ponevano l’accento sul ruolo della segnalazione dei PPAR sulla regolamentazione mammaria dei bersagli lipogenici.       Gli Autori concludevano, pertanto, che l'effetto pro-infiammatorio, dovuto al CLA, sarebbe potuto essere correlato all’inibizione della segnalazione PPAR.
McGowan MM della Geisel School of Medicine at Dartmouth, Lebanon – USA e collaboratori, proprio basandosi sugli effetti antitumorali del CLA in modelli preclinici e avendo già dimostrato in vitro che questo può essere attribuito alla soppressione della sintesi degli acidi grassi (FA), hanno voluto testare l'ipotesi che la sua somministrazione nelle pazienti con cancro mammario avrebbe inibito l’espressione dei marcatori legati alla sintesi degli stessi FA nel tessuto tumorale, sopprimendo la proliferazione delle cellule neoplastiche (Breast Cancer Res Treat. 2013 Feb;138(1):175-83). Per questo gli Autori hanno arruolato donne con carcinoma mammario in stadio I-III in uno studio in aperto, trattandole con 7,5 g / die di CLA (1:1 mix d’isomeri di 9c, 11t e 10t, 12c) per dieci o più giorni prima dell'intervento. Le concentrazioni plasmatiche a digiuno di CLA prima e dopo la somministrazione e i campioni di pre / post CLA tumorali erano esaminate mediante immunoistochimica per Spot 14 (S14), un modulatore della sintesi degli FA, della FASN (FA synthase), enzima della sintesi FA, e della LPL (lipoprotein lipase), enzima che permette l’assorbimento degli FA. I tumori erano anche analizzati per l'espressione del Ki-67, indice di proliferazione cellulare, e i prodotti di clivaggio caspase-3. Completavano il trattamento ventiquattro donne e ventitré erano i tumori valutabili per l'endpoint primario. La durata media della terapia con CLA era di dodici giorni, senza riscontro di alcuna tossicità significativa. I punteggi dell’espressione dello S14 diminuivano (p = 0.003) dopo la somministrazione del CLA. Non si osservava nessuna variazione significativa nell’espressione della FASN o della LPL. I punteggi Ki-67 diminuivano lo stesso (p = 0,029), mentre i prodotti di clivaggio caspase-3 rimanevano inalterati. Peraltro, nell’atto chirurgico le riduzioni dello S14 o dei Ki-67 non correlavano con le concentrazioni plasmatiche del CLA a digiuno. L’espressione dello S14 del tumore mammario, ma non quella della FASN o della LPL, era diminuita dopo un breve ciclo di trattamento con 7,5 g / die di CLA.
In conclusione, tutto questo era accompagnato da una riduzione dell’indice di proliferazione. Peraltro, il consumo del CLA a questa dose era ben tollerato e sicuro fino a venti giorni. Complessivamente il CLA, secondo gli Autori, si configurava come un composto prototipo per indirizzare la sintesi degli acidi grassi nel cancro al seno con un "fenotipo lipogenico".
El Roz A dell’Institut Universitaire Mer et Littoral Nantes, France e collaboratori, sulla base che l’isomero CLA t9, t11 era stato recentemente proposto come un agonista del fattore trascrizionale LXR, noto per indurre i geni implicati nell’efflusso del colesterolo, hanno voluto studiare l'effetto inibitorio della crescita di tre isomeri del CLA (c9, t11-CLA, T9, T11-CLA e t10, c12-CLA) sulle cellule di cancro al seno umano, positive al recettore dell'estrogeno (ER) MCF- 7, come pure il loro effetto sui geni bersaglio dello LXR (Prostaglandins Leukot Essent Fatty Acids. 2013 Apr;88(4):265-72). I risultati rivelavano che il t9, t11 CLA era l'isomero più efficiente, diminuendo la proliferazione delle MCF-7, inibendo la loro migrazione e inducendo l’apoptosi dopo ventiquattro ore di trattamento. Il trattamento con il t9, t11-CLA portava a un aumento dei livelli dello mRNA dei geni bersaglio dello LXR, coinvolti nell’efflusso del colesterolo (ABCG1 e ARL7), nonché a un aumento della HMG-CoA reduttasi, fattore limitante della biosintesi del colesterolo. Peraltro, l'analisi alla microscopia confocale dimostrava che il trattamento con il t9, t11-CLA riduceva notevolmente i livelli del colesterolo intracellulare e di quello associato alla membrana. Ancora, l’attivazione dello LXR attraverso l’isomero t9, t11 CLA avrebbe potuto portare alla privazione cellulare del colesterolo stimolando il suo efflusso, provocando, in tal modo, l'inibizione della proliferazione cellulare e la stimolazione dell'apoptosi.
Dal loro canto, Ju-Sheng Zheng della Zhejiang University, Hangzhou China e collaboratori, per valutare l'associazione tra l’assunzione di pesce e degli n- 3 PUFA (n-3 polyunsaturated fatty acids) con il rischio di cancro al seno e per determinare la relazione dose-risposta potenziale, hanno condotto una metanalisi con revisione sistematica degli studi prospettici di coorte (BMJ 2013;346:f3706). Gli Autori hanno, così, selezionato, fino al dicembre 2012, ventisei pubblicazioni in cui erano eleggibili 20.905 casi di cancro al seno su 883.585 partecipanti provenienti da ventuno studi prospettici di coorte indipendenti. Undici articoli con 13.323 eventi di cancro al seno su 687.770 partecipanti avevano esaminato l'assunzione di pesce. Diciassette avevano indagato gli n- 3 PUFA marini con 16.178 eventi e 527.392 partecipanti e dodici l’acido alfa linolenico con quattordici. 284 eventi e 405.592 partecipanti. Gli n- 3 PUFA marini correlavano con una riduzione del 14% del rischio di cancro al seno (rischio relativo per la massima vs la più bassa categoria equivalente a 0.86 (intervallo di confidenza 95 % = 0,78-0,94 ), I2 = 54). Il rischio relativo rimaneva simile se gli n- 3 PUFA marini erano misurati come apporto alimentare (0,85, 0,76-0,96, I2 = 67%) o come biomarcatori tissutali (0,86, 0,71-1,03, I2 = 8 %). L'analisi dei sottogruppi indicava anche che l'associazione inversa tra gli n- 3 PUFA marini e il rischio era più evidente negli studi che non avevano adeguato i valori per l'indice di massa corporea (BMI) (0,74, 0,64-0,86, I2 = 0), rispetto a quelli che l’avevano fatto (0,90, 0,80-1,01, I2 = 63,2 %). L’analisi dose-risposta indicava, infine, che il rischio del cancro al seno era ridotto del 5% per ogni 0,1 g/die (0,95, 0,90-1,00, I2 = 52 %) o per lo 0,1 % di energia / giorno (0,95, 0,90-1,00, I2 = 79 %) d’incremento di assunzione alimentare degli n-3 PUFA marini. Nessuna associazione significativa si osservava per l'assunzione di pesce o di esposizione all’acido alfa-linolenico.
In conclusione, il maggior consumo alimentare di n-3 PUFA marini si associava a un minor rischio del cancro al seno. Le associazioni di assunzione di pesce e di acido alfa linolenico con il rischio del cancro, secondo gli Autori, avrebbero richiesto ulteriori studi prospettici di coorte. Comunque, per quanto riguarda la prevenzione del tumore al seno attraverso interventi dietetici e stile di vita, questi risultati avrebbero potuto sempre avere implicazioni per la salute pubblica.
            Nel complesso, gli studi epidemiologico/clinici non hanno stabilito un definitivo legame fra assunzione del CLA di origine animale, presenza del CLA nel tessuto adiposo mammario e il rischio del cancro al seno. Non è, però, da escludere che un consumo della sostanza in concentrazioni elevate, rispetto a quelle derivate dai normali prodotti lattiero-caseari o carnei, possa avere effetti benefici. Ciò è molto importante se si considerano i risultati positivi osservati negli animali e in studi in vitro con le linee cellulari del cancro con concentrazioni relativamente più alte di questi acidi grassi. Pertanto, una conclusione univoca è ancora difficile per definire la relazione tra l’assunzione del CLA, del contenuto di CLA nel tessuto adiposo e il rischio del cancro mammario. A tale proposito gli studiosi stimolano ulteriori ricerche, anche utilizzando i supplementi di CLA con ben definiti isomeri, concentrazioni e metodologia di ricerca.


Acido linoleico coniugato e cancro al colon - retto

Su altro fronte di ricerca, Susanna C Larsson del Karolinska Institutet, Stockholm – Sweden e collaboratori hanno valuto esaminare in modo prospettico le associazioni tra il consumo alimentare a lungo termine dei prodotti lattiero-caseari ad alto contenuto di grassi e, quindi di CLA, con l'incidenza del cancro del colon-retto (Am J Clin Nutr October 2005 vol. 82 no. 4 894-900).

Gli Autori hanno, così, arruolato 60.708 donne di età compresa tra i quaranta e i settantasei anni che partecipavano alla Swedish Mammography Cohort. Il consumo dei prodotti lattiero-caseari ad alto contenuto di grassi era valutato al basale nel periodo 1987-1990 e di nuovo nel 1997. Si accertavano 798 casi di tumore del colon-retto nel corso di un follow-up medio di 14,8 anni. Dopo aggiustamento per l’età e gli altri fattori confondenti potenziali, le donne che consumavano quotidianamente quattro o più porzioni di latticini ad alto contenuto di grassi, compreso il latte intero pieno di grassi, formaggio, panna, panna acida e burro, presentavano un rapporto di frequenza multivariata del tumore colorettale di 0.59 (IC 95%: 0,44, 0,79, P = 0.002), rispetto a quelle che ne consumavano meno di una porzione / die. Ogni incremento di due porzioni corrispondeva, peraltro, a una riduzione del 13% del rischio del cancro del colon-retto (rate ratio multivariata: 0,87, IC 95%: 0,78, 0,96). In un confronto tra i due quartili estremi di assunzione del CLA la rate ratio multivariata del cancro del colon-retto era pari a 0,71 (IC 95%: 0.55, 0.91, P = 0,004).
In conclusione, questi dati prospettici indicavano che un elevato consumo di latticini ad alta percentuale di grassi e di CLA poteva ridurre il rischio di cancro del colon-retto.
Pierre AS dell’Université de Bourgogne, France e collaboratori, considerando che gli effetti antitumorali del CLA differiscono in ragione della sede della neoplasia e dei suoi isomeri, hanno effettuato uno studio sui meccanismi d’induzione di morte delle cellule tumorali del colon da parte dei CLA, c9, t11 e t10, c12 (Biochim Biophys Acta. 2013 Apr;1831(4):759-68). Gli Autori innanzitutto dimostravano, così, che solo il trattamento per settantadue ore con 25 and 50μM di CLA t10, c12 innescava l’apoptosi nelle cellule tumorali del colon, senza influenzare la vitalità delle cellule epiteliali normali. L'esposizione al CLA t10, c12 delle cellule del cancro del colon attivava, in effetti, l’ER stress (endoplasmic reticulum stress), caratterizzato da un’induzione della fosforilazione dell’eIF2α (eukaryotic translation initiation factor 2 alpha), in giunzione all’espressione della XBP1 (X-box binding protein 1) mRNA e della CHOP (C/EBP homologous protein). Inoltre, gli Autori evidenziavano che l'inibizione dell’espressione della CHOP e del segnale dello JNK (c-Jun N-terminal kinases) diminuiva la morte delle cellule tumorali mediata dal CLA t10, c12. Infine, dimostravano che l'induzione della CHOP da parte del CLA t10, c12 dipendeva dalla produzione dei ROS (reactive oxygen species) e che l'antiossidante N-acetil-cisteina riduceva l’induzione della morte cellulare legata alla CHOP. In conclusione, questi risultati evidenziavano che il CLA t10, c12 esercitava il suo effetto citotossico attraverso la generazione dei ROS e un’apoptosi successiva dipendente dall’ER stress nelle cellule tumorali del colon.
Mohammad Mohammadzadeh della Tabriz University of Medical Sciences, Iran e collaboratori proponendosi di determinare l'effetto della supplementazione del CLA sui fattori infiammatori e sulle MMP (matrix metalloproteinase) nei pazienti affetti da cancro del retto sottoposti a chemio radioterapia, hanno randomizzato, in doppio cieco in uno studio pilota controllato con placebo, trentaquattro pazienti volontari (Integr Cancer Ther. 2013 May 8).  Gli Autori hanno, così, assegnato per sei settimane al gruppo CLA sedici pazienti che ricevevano 3 g CLA / die e al gruppo placebo altri diciotto trattati con capsule di olio di girasole. La supplementazione è iniziata una settimana prima della RT ed è continuata per tutti i giorni del trattamento. Prima e dopo l'intervento erano misurati: il TNF-α (tumor necrosis factor α) nel siero, l’IL-1β (interleukin 1β), l’IL-6, la MMP-2, la MMP-9 e la hs-CRP (high-sensitivity C-reactive protein), rispettivamente mediante il kit ELISA (enzyme-linked immunosorbent assay) e il metodo immunoturbidimetrico. Erano, quindi, utilizzati t test indipendenti e appaiati per confrontare i parametri rispettivamente tra e all'interno dei gruppi. Nel gruppo CLA i livelli medi di TNF-α, IL-1β, hsCRP, MMP-9 e MMP-2 si riducevano in maniera non rilevante. Tuttavia, si osservavano variazioni significative delle concentrazioni del TNF-α (P = 0,04), della hsCRP (p = 0,03) e della MMP-9 (P = 0,04) nel gruppo CLA, rispetto al placebo. La media dell’IL-6 nel siero rimaneva, invece, invariata nel gruppo CLA, mentre aumentava notevolmente in quello placebo.
In conclusione, secondo gli Autori i risultati dimostravano che il CLA migliorava i fattori infiammatori, la MMP-2 e la MMP-9, come biomarker dell’angiogenesi e dell’invasione tumorale. Il CLA sembrava poter offrire al trattamento del cancro rettale una nuova indicazione complementare per ridurre l’invasione tumorale e la resistenza alle cure.


CLA ed epatoma umano

Il carcinoma epatocellulare (HCC) è una delle principali cause di morte per cancro in tutto il mondo e il suo carico è destinato ad aumentare ulteriormente nei prossimi anni. Sulla base di tale premessa, la raccolta e l'analisi dei dati epidemiologici di questa devastante malattia assumeranno un ruolo fondamentale nella guida delle future strategie di prevenzione e di ottimizzazione di gestione delle cure del paziente. Gli studi epidemiologici hanno, in verità, evidenziato notevoli variazioni globali nell’incidenza dello HCC con particolare presenza in gran parte dell'Asia orientale e dell'Africa sub-sahariana e più bassa, ma crescente, in Nord America e in gran parte dell'Europa. Queste variazioni sembrano essere correlate alla complessa eziologia della malattia che annovera diversi fattori di rischio. Primo fra tutti l'infezione da virus dell'epatite B o C, responsabile per la guida dei tassi d’incidenza dello HCC in diverse regioni. Anche se gli studi sino a oggi hanno contribuito notevolmente alla conoscenza dell’epidemiologia dello HCC, ci sono delle limitazioni associate ai dati attualmente disponibili, derivanti dagli studi eseguiti in tempi diversi. In passato, in effetti, si utilizzavano metodologie differenti e con diverse popolazioni di pazienti. Si rende, pertanto, necessario un nuovo approccio globale per lo studio epidemiologico dello HCC se si vogliono attuare strategie di prevenzione e di trattamento realmente efficaci nei prossimi anni. In effetti, nella medicina moderna la crescente importanza dell’epidemiologia si è resa evidente sin dalla metà del 1900. Peraltro, gli studi epidemiologici in campo oncologico hanno fornito la prova definitiva del legame tra i fattori di rischio e le neoplasie, come tra il fumo di sigaretta e il cancro ai polmoni, documentando anche per altro esempio l'alta incidenza del sarcoma di Kaposi nei soggetti con infezione da HIV. Si è chiarita pure la relazione tra l’uso dei contraccettivi orali e il rischio del cancro al seno. L’epidemiologia, in effetti, continuerà a svolgere un ruolo fondamentale nell'informare le strategie di prevenzione del cancro e, eventualmente in futuro, nel guidare la gestione delle malattie. Il carcinoma epatocellulare (HCC) è stato uno dei primi tumori a essere collegato epidemiologicamente in Taiwan a un fattore di rischio definito, il virus dell'epatite B [HBV]. Peraltro, anche se il cancro del fegato è iscritto come sesta neoplasia più comune in tutto il mondo, la sua prognosi molto sfavorevole la rende la terza causa di mortalità cancro-correlata, responsabile di circa 600.000 morti ogni anno.
            Alan P. Venook dell’University of California, San Francisco, USA e collaboratori hanno riassunto efficacemente, secondo una prospettiva globale e regionale, l'incidenza e l’epidemiologia del carcinoma epatocellulare (The Oncologist November 2010 vol. 15 Supplement 4 5-13). Gli Autori hanno passato in rassegna gli aspetti chiave dell’epidemiologia dello HCC, evidenziando i limiti dei dati attuali e identificando le aree importanti per la ricerca futura.

            Come si nota dalla figura che mostra l’incidenza dell’epatocarcinoma standardizzata per età nelle diverse aree del mondo per 100.000 persone, le prime quattro aree sono considerate a incidenza molto alta, a moderata alta le successive cinque, a intermedia le altre cinque, a bassa le ultime sette.
            Gli Autori concludevano che nella loro revisione della letteratura si rilevava una marcata variazione globale dei tassi d’incidenza e dei profili dei fattori di rischio per la malattia. Comunque, ritenevano di prevedere che lo HCC, pur in salita epidemiologica, con i programmi d’igiene sanitaria dovrebbe poter vedere nei prossimi anni la riduzione del suo tasso di crescita, almeno per le forme HBV e HCV correlate. In parallelo, i programmi di educazione sanitaria potrebbero avere il potenziale per frenare l'ascesa e l'impatto del diabete, dell'obesità, e della NASH, che stanno diventando sempre più importanti fattori di rischio dello HCC. In effetti, gli attuali dati epidemiologici sullo HCC sono frammentati e derivano, come prima accennato, da studi eseguiti in tempi differenti, utilizzando metodologie dissimili e con diverse popolazioni di pazienti.
            Achenef Melaku dell’University of Gondar Ethiopia e collaboratori sulla base degli effetti inibitori del CLA descritti sulle cellule HepG2, linea cellulare derivata dal carcinoma epatico umano e ampiamente usato negli studi in vitro, in considerazione che della ancora non precisa determinazione del meccanismo di azione degli isomeri della sostanza, hanno ritenuto a tale ultimo proposito suggestiva l’ipotesi dell'induzione dell’apoptosi. In effetti, la possibilità di sfuggire alla morte cellulare programmata (apoptosi) è una caratteristica della maggior parte delle cellule tumorali e spesso correla con l’aggressività del tumore e la resistenza ai farmaci antitumorali. Difatti, la modulazione dell'apoptosi è diventata un bersaglio interessante, sia per gli approcci preventivi sia per quelli terapeutici del cancro. La perdita di regolazione del ciclo cellulare è, in verità, un carattere importante delle cellule tumorali. Il ciclo cellulare è controllato dalla concentrazione intracellulare della proteina chinasi che consiste di una ciclina e di una chinasi ciclina-dipendente. Queste proteine sono ​​coinvolte nella sintesi del DNA e nella mitosi, agendo su diversi punti di controllo del ciclo cellulare. Così che, i componenti, coinvolti nella progressione da una fase all'altra del ciclo cellulare, potrebbero anche essere i destinatari degli agenti anticancro. Sulla base di tali premesse, gli Autori si sono posti l’obiettivo di valutare dopo il trattamento con una miscela d’isomeri del CLA la fattibilità, l'apoptosi e lo stato del ciclo delle cellule tumorali HepG2 (Journal of Molecular Pathophysiology 2012; 1(1): 43-48). Le cellule erano coltivate ordinariamente in un mezzo RPMI 1640 e trattate per settantadue ore con differenti concentrazioni d’isomeri del CLA. La vitalità delle cellule HepG2 era ridotta significativamente (P <0.05) in modo dose-dipendente da tutti gli isomeri CLA testati. La concentrazione inibitoria mediana (IC50) variava con il tipo d’isomero CLA. Gli isomeri misti erano significativamente (P <0.05) più potenti del c9, t11 CLA. Tutti gli isomeri testati erano in grado di indurre cambiamenti caratteristici apoptotici e una significativa proporzione (P <0.05) di apoptosi. Inoltre, si osservava una significativa (p <0,05) più elevata proporzione delle cellule trattate in fase G0 / 1 e in proporzione inferiore in quella G2 / M del ciclo cellulare.
            Pertanto, i risultati suggerivano che gli isomeri del CLA riducevano la vitalità e la proliferazione delle cellule tumorali HepG2 riguardo all’arresto del ciclo cellulare e all’induzione dell’apoptosi.

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Sei qui: Notiziario AMEC Anno 2013 notiziario Settembre 2013 N.8 ALIMENTAZIONE E SALUTE: L’ACIDO LINOLEICO CONIUGATO