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notiziario Luglio 2013 N.7 PRODOTTI LATTIERO-CASEARI E MALATTIE CRONICO-DEGENERATIVE

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Indice
notiziario Luglio 2013 N.7 PRODOTTI LATTIERO-CASEARI E MALATTIE CRONICO-DEGENERATIVE
Prodotti lattiero-caseari e malattie cronico-degenerative
Consumo di prodotti lattiero-caseari e resistenza insulinica
Latte, assunzione di calcio e metabolismo lipidico
Prodotti lattiero-caseari, peso corporeo e circonferenza vita
Consumo di latte/latticini e malattie cardiometaboliche
Prodotti lattiero-caseari e cancro
Prodotti lattiero-caseari e recidiva/mortalità del cancro al seno
Prodotti lattiero-caseari e cancro alla prostata
Consumo di latte e di prodotti lattiero-caseari e rischio di cancro alla vescica
Latticini e rischio di cancro del colon-retto
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NOTIZIARIO Luglio 2013 N°7

 

PRODOTTI LATTIERO-CASEARI E MALATTIE
CRONICO-DEGENERATIVE

 

 

 

 

 

A cura di:
Giuseppe Di Lascio §

 

Con la collaborazione di:

Doriana Bauzulli *, Alessandro Di Lascio**
Andrea Levi Della Vida §, Simonetta Melilli §
Claudio Stazzi §, Elena Zimmatore §
 
§ Medico specialista in Medicina Interna
* Coordinatrice degli Infermieri, ** Fisioterapista

Prodotti lattiero-caseari e malattie cronico-degenerative

Le malattie cronico-degenerative non infettive rappresentano già da qualche tempo nella popolazione mondiale di oggi la parte di gran lunga più importante della patologia, sia in termini di prevalenza sia di gravità. Peraltro, tutte hanno in comune un decorso protratto nel tempo.
Il loro esito è spesso letale in tempi più o meno brevi e, comunque, sempre invalidante. Riconoscono una fase iniziale preclinica con elementi predisponenti di rischio, che rimangono generalmente ignoti al paziente e allo stesso medico poiché spesso silenti sul piano clinico.
            Pur tuttavia, questa fase è quella che andrebbe tempestivamente riconosciuta per provvedere alla profilassi primaria che si pone l’obiettivo di interrompere in senso educazionale quello stile di vita individuale alla base delle stesse. Solo così si può, infatti, eliminare o modificare o ritardare l’esordio della malattia in cui intervengono anche le proprietà genetiche dell’individuo.
            Nella successiva fase di stato o clinica delle malattie cronico-degenerative gli effetti divengono evidenti con sintomi e segni più o meno caratteristici. Sul piano igienico-sanitario s’impone, quindi, la prevenzione secondaria, ossia quella strategia tesa a mantenere il loro controllo e impedire al massimo i danni consequenziali.
            Pur tuttavia, il decorso clinico, sulla base di un processo degenerativo cronico, continua a produrre i danni sino all’irreversibilità delle funzioni d’organo e degli apparati con l’evidenza dell’invalidità più o meno manifesta e progressiva. La prevenzione terziaria, per suo conto, tende a correggere o limitare questi danni e a mantenere al massimo l’autonomia individuale.
            Da diversi decenni si è avuta evidenza che molte malattie croniche, agendo adeguatamente sullo stile di vita, sono prevenibili. Tutto ciò è divenuto a tutto oggi il dato convincente che giustifica azioni sempre più forti per combatterle nel modo più efficace. La strategia deve a tal fine prevedere una lotta precoce con il riconoscimento tempestivo dei fattori di rischio alla base. Pertanto, uno stile di vita sano è di fondamentale importanza, quale pietra angolare, come dimostrato dalle ormai numerose revisioni sistematiche degli studi pubblicati, soprattutto in tema di diabete e malattie cardiovascolari. Peraltro, le ormai numerose evidenze hanno evidenziato che la nutrizione ottimale gioca un ruolo centrale nella prevenzione dell’obesità, sia primaria sia secondaria e terziaria.
Comunque, molteplici stati di malattia e dei loro effetti dannosi sulla morbilità e mortalità possono essere prevenuti o ridotti al minimo con l'intervento dietetico e uno stile di vita efficace e tempestivo, nonché con iniziative politiche volte ad affrontare le cause alla base di ambienti che favoriscono modelli poveri di attività fisica e di dieta.
            L’Academy of Nutrition and Dietetics ha di recente ribadito la sua posizione sulla prevenzione primaria come metodo più efficace e conveniente per prevenire le malattie croniche. Ha riportato, peraltro, che l'intervento dietetico influisce positivamente in tutta la durata della vita sui risultati di salute (J Acad Nutr Diet. 2013;113:972-979). La promozione della salute e le strategie di prevenzione delle malattie sono efficaci nel ridurre la morbilità e la mortalità e ottengono di migliorare la qualità della vita e di avere un impatto significativo sulle principali cause di malattia. Applicando questi principi all'interno di un quadro teorico ecologico sociale, si raggiunge anche un’influenza positiva su tutta la gamma di forze impegnate: a livello intrapersonale, interpersonale, istituzionale, di comunità e anche a livello di politica pubblica.
Comunque, la salute ottimale si ottiene attraverso stili di vita sani sin dai primi anni di vita. Essi, difatti, possono prevenire nel tempo l'insorgenza e la gravità delle malattie croniche, ridurre la mortalità prematura e migliorare la qualità della vita.  
            Le malattie cronico-degenerative sono numerose e in prima linea tra di esse bisogna considerare i tumori e le malattie cardiovascolari. Peraltro, se l’invecchiamento della popolazione ha costituito il fattore indispensabile per la loro migliore evidenziazione, tuttavia, la loro incidenza è stata in gran parte regolata da altri meccanismi attinenti la loro origine. Infatti, questo gruppo di malattie riconosce nella sua genesi fattori di tipo ambientale e comportamentale, come l’alimentazione, il fumo di tabacco, l’alcol, l’uso di droga, la sedentarietà. Pur tuttavia, soprattutto più di recente, ha assunto un importante ruolo la contaminazione ambientale, come l’inquinamento atmosferico e idrico e quello alimentare. Le malattie cronico-degenerative hanno, comunque, acquistato, di fatto, un particolare rilievo non solo da un punto di vista sanitario, ma anche economico e sociale, rappresentando al momento il problema di gran lunga più rilevante per la sanità pubblica. L’arma di lotta più efficace disponibile nei loro confronti, per il momento di difficile guarigione, resta, peraltro, la prevenzione primaria.
In particolare, le malattie cardiovascolari sono responsabili di un terzo delle morti a livello mondiale e rappresentano la principale causa di morte nei paesi sviluppati.
I tumori o cancro sono malattie che, pur avendo in comune alcune caratteristiche biologiche, sono diversissime tra loro per cause determinanti, sintomatologia e per i mezzi di diagnosi e di cura. Nella maggior parte dei casi il cancro non ha un’insorgenza improvvisa e rapida, ma si presenta in modo subdolo, con un decorso lento. Esso non compare senza cause, può guarire e ciò avviene tanto più facilmente quanto più tempestiva è la diagnosi. A volte può portare, purtroppo, alla morte. Nei paesi sviluppati i tumori rappresentano oggi: la seconda causa di morte dopo le malattie cardiovascolari; mostrano una notevole variabilità geografica sia per mortalità globale, sia per quella specifica per tipo di tumore. Negli ultimi cinquanta anni, nelle aree occidentali, hanno mostrato un andamento progressivamente in crescita e in aumento esponenziale con l’età. In ventuno anni la mortalità è aumentata oltre il 40%. La prevalenza delle neoplasie maligne è più elevata nel sesso maschile rispetto a quello femminile anche perché gli uomini sono più esposti a determinati cancerogeni, come nel caso delle forme professionali. D’altro canto, i tumori più frequenti nelle donne, come quello della cervice uterina e della mammella, sono curabili nel 50% dei casi. Tutte le moderne acquisizioni epidemiologiche ed eziologiche, come la distribuzione, il decorso, i fattori di rischio, derivano sia da studi epidemiologici sia dalla sperimentazione. Peraltro, i fattori di rischio delle neoplasie maligne son generalmente individuali, come il sesso, la razza, l’ereditarietà, gli stati morbosi pregressi. Possono, invece, essere esterni comportamentali, come il fumo di tabacco, l’alcool, i regimi dietetici (alimentazione e dieta), i comportamenti sessuali. Oppure possono essere legati all’ambiente di vita, come l’inquinamento atmosferico (radiazioni naturali), quello delle acque, del suolo, degli alimenti, i fattori iatrogeni. Oppure possono derivare dall’ambiente di lavoro, come la produzione, la manipolazione di sostanze mutagene e/o cancerogene, le radiazioni diagnostiche.


Consumo di prodotti lattiero-caseari e resistenza insulinica

I latticini rappresentano, invero, una componente importante della dieta umana, apprezzati principalmente per la loro composizione aminoacidica superiore, per l’alta qualità delle proteine e per essere una fonte importante di calcio. Di là dalla composizione in macronutrienti, i latticini a basso contenuto di grassi contengono anche una serie di componenti bioattivi per la promozione della salute, tra cui i peptidi del siero di latte, l’acido linoleico coniugato, gli sfingolipidi, gli oligosaccaridi e le imunoglobuline. Tuttavia, nonostante questa ricca composizione bioattiva, gli effetti dei prodotti lattiero-caseari sulla salute sono d’altra parte fortemente contestati. L’aumento del loro consumo ha anche dimostrato, comunque, di ridurre l'obesità e di modulare i disturbi metabolici e cardiovascolari, tra cui l'iperinsulinemia e la pressione arteriosa. Peraltro, studi di coorte prospettici hanno suggerito anche che il consumo dei latticini a basso contenuto di grassi si possa associare a una bassa incidenza del diabete di tipo 2, rispetto alle diete a loro basso contenuto.
            La meta-analisi di sette studi di coorte di Tong X e altri ha dimostrato, in effetti, che l'aumento del consumo dei prodotti totali e latticini a basso contenuto di grassi può ridurre il rischio di diabete di tipo 2 dal 5 e 10% rispettivamente (Eur J Clin Nutr 2011, 65(9):1027-1031). Questo potenziale di riduzione della malattia potrebbe, di fatto, essere collegato alle proprietà insulino-sensibilizzanti dei prodotti lattiero-caseari e a una minore probabilità d’insulino-resistenza. A riguardo, si è avanzata l’ipotesi che un alto consumo a lungo termine di grassi dei latticini, promuovendo l'apoptosi β-cellulare, possa essere alla base della patogenesi del diabete di tipo 2. Peraltro, contribuendo all’iperlipidemia, aumenterebbe il rischio della malattia cardiovascolare (CVD). Queste risposte negative per la salute potrebbero essere collegate con una maggiore assunzione di IGF-1 (Insulin-like growth factor 1) e di grassi saturi con i latticini.
            Todd C Rideout dell’University at Buffalo, New York – USA e collaboratori, in ragione del molto dibattuto ruolo del latte sulla modulazione dei biomarcatori della sindrome metabolica, hanno condotto in volontari sani e a vita libera senza restrizione energetica uno studio per valutare l'influenza del consumo dei prodotti lattiero-caseari a lungo termine sui parametri metabolici (Nutrition Journal 2013, 12:56). Gli Autori hanno, così, arruolato ventitré soggetti che completavano un trial randomizzato crossover di dodici mesi. L'obiettivo primario era di osservare l'effetto del consumo dei prodotti lattiero-caseari sui parametri metabolici, tra cui i lipidi nel sangue, il glucosio e l’insulina. Gli endpoint secondari erano il peso, la composizione corporea e la spesa energetica. I partecipanti consumavano la loro dieta abituale ed erano assegnati in modo casuale a uno di due gruppi di trattamento:

  • HD, o gruppo integrato ad alto tenore di latticini con istruzione a consumarne quattro porzioni il giorno,
  • LD o gruppo integrato a basso tenore di latticini con non più di due porzioni il giorno.

La composizione e il peso corporei, il dispendio energetico, la pressione arteriosa, la glicemia, i lipidi nel sangue e le risposte delle lipoproteine ​​non differivano (p> 0,05) tra i gruppi. Quello HD migliorava (p <0.05) l’insulina plasmatica (-9%) e la resistenza all'insulina (-11%, p = 0,03), stimata mediante HOMA-IR, rispetto al gruppo LD.
            In conclusione, i risultati dello studio suggerivano che in condizioni di vita libera un elevato consumo dei prodotti lattiero-caseari (4 porzioni / die) poteva migliorare la resistenza insulinica senza compromettere il peso corporeo o lo stato dei lipidi.


Latte, assunzione di calcio e metabolismo lipidico

L’alterata omeostasi glucosio-insulina dei pazienti con diabete mellito tipo 2 aumenta le probabilità degli errori nel metabolismo lipidico postprandiale, concretizzando dislipidemie con alti livelli di trigliceridi e bassi di lipoproteine ​​ad alta densità (HDL) e contribuendo, così, ad aumentare il rischio delle malattie cardiovascolari (CVD). Uno stile di vita sano che comporti un'alimentazione salutare è molto importante per prevenire il diabete tipo 2, ma anche le sue complicanze, tra cui le CVD. Il latte e i prodotti lattiero-caseari, che sono tra le migliori fonti alimentari di calcio, sono stati per questo raccomandati nella dieta dei pazienti diabetici. I latticini, il calcio e la vitamina D possono svolgere un ruolo significativo nel ridurre il rischio della sindrome da insulino-resistenza e di diabete tipo 2, regolando l'appetito, il metabolismo dei grassi e l’aumento di peso. Diversi studi hanno, in effetti, dimostrato che consumare latte e prodotti caseari può contribuire a ridurre il rischio di T2D.
            JaeHee Kim dell’Ewha Womans University, Seoul – Korea e collaboratori hanno condotto uno studio per determinare in donne coreane con diabete di tipo 2 l'associazione tra l’assunzione di latte, di latticini e di calcio con i biomarcatori correlati al metabolismo dei lipidi (Yonsei Med J. 2013 May;54(3):626-636). Gli Autori hanno, così, reclutato tra il 2005 e il 2010 una coorte di 509 donne di età media di cinquantanove anni con range dai trentacinque agli ottanta, affette da diabete mellito. La dieta è stata valutata utilizzando un questionario di frequenza alimentare convalidato. I soggetti, in base alla loro assunzione giornaliera di latte e prodotti caseari, erano divisi in tre gruppi:

  • da zero a meno di 50 g /die,
  • da 50 a 200 g /die,
  • da 200 a 1.201 g /die.

 Poi, in base al loro apporto giornaliero di calcio, si praticava un’ulteriore suddivisione in due gruppi:

  • sotto l’EAR (estimated average requirement),
  • sopra l’EAR.

Dopo aggiustamento per età, indice di massa corporea, assunzione di energia, esercizio fisico, uso d’integratori alimentari e farmaci del colesterolo, il livello delle lipoproteine ​​ad alta densità del siero (HDL) era significativamente più alto nelle donne con consumo di latte e prodotti lattiero-caseari oltre i 200 g /die, rispetto ai soggetti degli altri due gruppi. Le donne con consumi di latte e prodotti lattiero-caseari superiori ai 200 g/die avevano anche livelli significativamente più elevati di apolipoproteina A-1 e un indice significativamente inferiore aterogenico, rispetto agli altri due gruppi. Peraltro, le pazienti con un apporto di calcio sopra l’EAR esibivano nel siero un significativo maggiore livello di colesterolo HDL di quelle con un apporto di calcio sotto l’EAR.
In conclusione, secondo i dati acquisiti dallo studio, il latte e i prodotti lattiero-caseari, buone fonti di calcio, giocavano un ruolo positivo sul profilo lipidico delle pazienti di sesso femminile con diabete di tipo 2.


Prodotti lattiero-caseari, peso corporeo e circonferenza vita

Nei riguardi della salute diversi studi hanno prima di tutto dimostrato che i prodotti lattiero-caseari, in virtù dei loro componenti nutrizionali, offrono una vasta gamma di benefici. Il calcitriolo, in particolare, aiuta a preservare il calcio e stimola anche la produzione e lo stoccaggio del grasso. Vi sono, peraltro, evidenze che hanno dimostrato come le persone che assumono una dieta ricca di latticini, in specie a ridotto contenuto di grassi, tendono a pesare di meno e hanno meno grasso corporeo di chi evita il latte. Il calcio, in effetti, favorisce anche la termogenesi, aiutando l'organismo a bruciare più energia, quindi a bruciare i grassi e a perdere peso. In effetti, studi in vitro e sugli animali avrebbero fornito prove che una maggiore assunzione di calcio inibisce la lipogenesi e stimola la lipolisi e la termogenesi, aumentando in tal modo il dispendio energetico e l'ossidazione dei lipidi.  A tale proposito, uno dei meccanismi proposti si basa sul fatto che la bassa assunzione di calcio aumenta i livelli sierici del calcitriolo (1,25 (OH) 2 vitamina D) con consequenziale stimolo del flusso dello ione negli adipociti attraverso i recettori di membrana, identificata come 1,25 D MARRS (membrane associated, rapid response steroid- binding). Quest’aumento dei livelli di calcio intracellulare ([Ca2 +] i) potrebbe, quindi, promuovere la lipogenesi e inibire la lipolisi, aumentando l'attività dell'acido grasso sintetasi e l’espressione d’inibizione della lipasi ormone-sensibile. Il calcitriolo agisce anche sugli adipociti attraverso i classici recettori nucleari della vitamina D, inibendo l'espressione della proteina di disaccoppiamento-2 e, quindi, aumentando l'efficienza energetica. La regolamentazione del calcitriolo sul disaccoppiamento proteina-2 e [Ca2 +] i, influenzando anche l'apoptosi degli adipociti, sembrerebbe esercitare un effetto aggiuntivo sul metabolismo energetico. Al contrario, un aumento dell'apporto di calcio può diminuire i livelli sierici del calcitriolo, riducendo conseguentemente la lipogenesi e stimolando la lipolisi. È stata anche avanzata l’ipotesi che l'assunzione di calcio potrebbe interferire con la regolazione dell'appetito. Tuttavia, questo effetto non è stato confermato univocamente. Comunque, oltre il calcio, i prodotti lattiero-caseari hanno altri componenti bioattivi, come la leucina e i peptidi che inibiscono l'enzima di conversione dell'angiotensina (ACE), con possibili effetti benefici sull’adiposità e / o sui fattori di rischio cardiovascolare. In effetti, le alte concentrazioni di leucina, presenti nei latticini, possono contribuire agli effetti anti-obesità di questi alimenti, stimolando la sintesi proteica muscolare, inibendo la degradazione muscolare e sopprimendo l'accumulo di energia nel tessuto adiposo. D’altra parte, i peptidi che inibiscono l’ACE contribuirebbero agli effetti benefici non solo nei riguardi dell’adiposità, ma anche della pressione sanguigna e dello stress infiammatorio.
Pur tuttavia, l'effetto del consumo dei prodotti caseari sul peso corporeo è tuttora controverso. Difatti, mentre alcuni studi hanno suggerito relazioni inverse con la perdita di peso, altri non hanno dimostrato alcuna associazione. Peraltro, pochi trial randomizzati hanno evidenziato l’aumento della perdita di peso e la diminuzione della massa grassa e della circonferenza della vita con la maggiore assunzione dei prodotti lattiero-caseari.
            Shahar DR della Ben-Gurion University of the Negev, Beer-Sheva – Israel e collaboratori, sulla base della controversa condizione sul ruolo dell’assunzione del calcio del latte e delle concentrazioni sieriche di vitamina D nella perdita di peso, hanno voluto effettuare uno studio nei meriti. Gli Autori hanno, così, analizzato i dati di 322 partecipanti al DIRECT (2-y Dietary Intervention Randomized Controlled Trial) il cui indice di massa corporea medio (BMI) era trentuno, l’età media cinquantadue anni (Am J Clin Nutr. 2010 Nov;92(5):1017-22). Un campione rappresentativo di 126 soggetti è stato seguito per sei mesi per le variazioni della vitamina D nel siero. La 25 (OH) D basale del siero diminuiva significativamente in tutti i terzili della BMI basale (25,6 ± 8,0, 24,1 ± 8,9 e 22,9 ± 6,8 ng / ml, rispettivamente, p per trend = 0.02). Le concentrazioni basali di vitamina D e l’assunzione di calcio da latte non si associavano, però, con la conseguente perdita di peso. Tuttavia, nei modelli delle misure ripetute con aggiustamento per età, sesso, BMI al basale, assunzione totale di grassi e assegnazione del gruppo della dieta il sesto terzile più alto di assunzione di calcio da latte (mediana per terzili: 156,5, 358,0 e 582,9 mg / d, rispettivamente) e la 25 (OH) D del siero (14.5, 21.2, e 30.2 ng / ml, rispettivamente) si associavano con un aumento della perdita di peso attraverso l'intervento di due anni (-3,3, -3,5, e -5,3 kg per il calcio dei prodotti lattiero-caseari, p = 0,043 e rispettivamente -3.1, -3.8, -5,6 kg per la vitamina D, P = 0.013). In una regressione logistica multivariata, regolata simultaneamente per età, sesso, BMI al basale, assunzione totale di grassi, gruppo di dieta, concentrazione di vitamina D e calcio da latte con un incremento di uno della deviazione standard nell’assunzione del calcio da latte, aumentavano le probabilità di perdita di peso di più di 4,5 kg nei precedenti sei mesi [odds ratio (OR): 1,45, p = 0,046]. Un aumento simile si osservava per i livelli sierici della 25 (OH) D nel 6° terzile (OR: 1,7, p = 0,009).
In conclusione, secondo gli Autori lo studio suggeriva che la più alta assunzione di calcio da latte e un aumento di vitamina D nel siero fossero correlati a una maggiore perdita di peso indotta dalla dieta.
         Wang H della Tufts University, Boston, MA – USA e collaboratori hanno voluto esaminare l'associazione longitudinale in adulti tra il consumo dei latticini e i cambiamenti annuali del peso e della circonferenza vita (WC) (Int J Obes (Lond). 2013 May 20, doi: 10.1038/ijo.2013.78). Gli Autori hanno, così, incluso nel loro studio i partecipanti al Framingham Heart Study Offspring Cohort dal quinto all'ottavo esame di studio (1991-2008), corrispondenti a 3.440 soggetti con 11.683 osservazioni. In ogni esame veniva valutata la dieta con un convalidato questionario di frequenza alimentare (FFQ) e, secondo procedure standardizzate, il peso con la WC. Su tutte le misure erano valutate le varianze e le covarianze con gli aggiustamenti per il tempo. Durante il follow-up i partecipanti guadagnavano mediamente peso e aumentava la WC. L’assunzione dei latticini aumentava attraverso gli esami. Dopo aggiustamento per i fattori demografici e di stile di vita, compresa la qualità della dieta, i partecipanti che consumavano tre porzioni/die o più di latticini totali dimostravano minore incremento di 0,10 kg annui del peso (± 0,04) (ptendenza = 0.04), rispetto a quelli che ne consumavano meno di una porzione il giorno. L’assunzione di latticini totali più alta era anche marginalmente associata a un minore aumento della WC (ptendenza = 0.05). Allo stesso modo, i partecipanti che consumavano tre porzioni la settimana di yogurt o più avevano minori incrementi annui di 0,10 kg del peso (± 0,04) e di 0,13 cm della WC (± 0,05) (ptendenza = 0.03) (ptendenza = 0,008), rispetto a quelli che ne consumavano meno di una porzione a settimana. Le assunzioni di latte scremato / magro, di formaggio, di latticini a basso o ad alto contenuto di grassi o totale complessivo non erano associate a lungo termine con i cambiamenti del peso o della WC.
            In conclusione, gli Autori traevano spunto dai loro risultati per supportare la raccomandazione di aumentare i consumi di latte e l'assunzione di yogurt nell’ambito di un modello alimentare salutare ed equilibrato dal punto di vista delle calorie, centrato nel lungo termine sulla prevenzione dell’aumento di peso e della WC.
            Dal loro canto, Satija A della Public Health Foundation of India, New Delhi e collaboratori, per esaminare se il consumo di latte fosse associato con l'obesità e l'alta circonferenza della vita negli indiani adulti, hanno esaminato 3.698 uomini e 2.659 donne in quattro sedi di fabbrica in tutto il nord, centro e sud dell'India (PLoS One. 2013 Apr 8;8(4):e60739).
            In conclusione, gli Autori riscontravano un'indipendente associazione inversa tra il quotidiano consumo di latte con il rischio dell’obesità, ma con la necessità di studi di conferma per chiarire questo rapporto.


Consumo di latte/latticini e malattie cardiometaboliche

Il legame tra il consumo dei prodotti animali e il rischio di sviluppo di malattia cardiovascolare (CVD) è stato in gran parte riconosciuto nel relativo grande contributo in acidi grassi saturi (SFA). Questo elevato apporto, di fatto, contribuisce allo sviluppo delle malattie cardiometaboliche, aumentando, in particolare, i tassi del colesterolo plasmatico. In effetti, carne e latte rappresentano alimenti ad alta densità energetica, ricchi di proteine che contribuiscono anche significativamente, d’altra parte, all'assunzione necessaria di una vasta gamma di micronutrienti. Seguire, però, diete ad alta densità energetica, soprattutto in combinazione con uno stile di vita sedentario, porta all'incidenza dell’obesità in proporzioni quasi epidemiche. Nel tempo si sviluppano anche la resistenza all'insulina e la sindrome metabolica, cluster di fattori di rischio che moltiplica la possibilità delle malattie cardiovascolari e del diabete di tipo 2. Nei paesi più sviluppati, proprio in ragione di queste evidenze scaturite da numerosi studi, è iniziato un cambiamento importante nella dieta generale con riduzione della carne rossa e del latte intero e aumento corrispondente del pollame e dei latticini magri.
            Peter C. Elwood della Cardiff University, United Kingdom hanno condotto una valutazione dettagliata con meta-analisi dei risultati pubblicati sul consumo dei prodotti lattiero-caseari e l'incidenza delle malattie vascolari e del diabete (J Am Coll Nutr December 2008 vol. 27 no. 6 723S-734S). Gli Autori hanno voluto anche riassumere le evidenze sul consumo del latte e dei prodotti lattiero-caseari e il cancro, riportato dal World Cancer Research Fund e prendere, quindi, in considerazione la loro rilevanza sulla sopravvivenza nel Regno Unito con tipica comunità occidentale.

Infine, hanno esaminato le evidenze pubblicate sui rapporti tra latte intero e quello magro. Con la ricerca medline hanno, così, individuato gli studi prospettici di coorte sulle malattie vascolari e il diabete, con riferimento dei dati di base sul consumo di latte o dei prodotti lattiero-caseari e il risultato delle malattie in questione.

Hanno, poi, considerato il probabile effetto del consumo di latte e dei latticini sulla sopravvivenza, tenendo conto dei risultati delle rassegne pubblicate sulle relazioni di questi alimenti con il cancro.

Nella meta-analisi di quindici studi il rischio relativo d’ictus e / o di malattie cardiache in soggetti con alto consumo di latte o di latticini era rispettivamente 0.84 (95% IC 0,76, 0,93) e 0,79 (0,75, 0,82), rispetto a quello di chi ne manteneva un basso consumo.

Quattro studi riportavano come risultato il diabete. Di poi, il rischio relativo nei soggetti con la più alta assunzione di latte o di prodotti caseari era 0.92 (0.86, 0.97).


           
In conclusione, i risultati della meta-analisi fornivano evidenza nel Regno Unito di un vantaggio di sopravvivenza globale con il consumo di latte e latticini.

Sulla base dei loro dati, gli Autori commentavano che, se il consumo di latte da parte dell'uomo primitivo era stato di rilevanza per la sopravvivenza e forse per il successo riproduttivo, nei riguardi dell'uomo moderno riscuoteva un limitato peso diretto. In effetti, la maggior parte delle popolazioni occidentali ha assunto una dieta totalmente diversa vivendo, peraltro, in un ambiente completamente diverso. Di certo, nell'uomo primitivo i benefici nutrizionali e i vantaggi del consumo di latte con i suoi effetti sulla crescita e sulla salute delle ossa erano di notevole importanza. Oggi, invece, rivestono maggiore rilevanza gli effetti del consumo di latte e latticini sull'incidenza delle malattie croniche, che, di fatto, limitano il periodo di sopravvivenza.
            Pertanto, i risultati ottenuti da questo studio permettevano agli Autori di concludere che non costituivano un punto di arrivo, ma uno stimolo per proseguire le ricerche in tale campo in modo da chiarire meglio il ruolo del latte e dei latticini sulla salute dell’uomo. Pur tuttavia, le evidenze in loro possesso facevano rilevare che negli ultimi 20-25 anni in molti paesi si era determinata una notevole diminuzione del consumo di latte.
            Frédéric Fumeron della Paris Diderot University – France e collaboratori hanno voluto analizzare l'influenza nel DESIR (Data from an Epidemiological Study on the Insulin Resistance Syndrome), studio prospettico francese epidemiologico di coorte con un follow-up di nove anni del consumo dei prodotti lattiero-caseari e di calcio, sull'incidenza cumulativa di nove anni della sindrome metabolica e dei suoi tratti associati (J Am Coll Nutr October 2011 vol. 30 no. 5 Supplement 1 454S-463S). In una precedente analisi cross-section nello stesso studio gli Autori avevano già dimostrato un’associazione inversa tra il consumo dei latticini e i tratti della sindrome metabolica (SM).
Dopo aver escluso i diabetici e quelli che seguivano una dieta regolamentata, gli Autori hanno arruolato 3.417 soggetti. Hanno, quindi, usato modelli di regressione logistica per studiare le associazioni tra i prodotti lattiero-caseari e la consistenza del calcio nella dieta al basale da una parte e dall’altra la sindrome metabolica e il diabete (IFG/T2D) dopo aggiustamento per sesso, età, parametri di stile di vita (alcol, fumo, attività fisica, assunzione di grassi). Hanno anche utilizzato un successivo modello di regolazione per le stesse covariate e per l'indice di massa corporea (BMI). Le associazioni tra i prodotti lattiero-caseari e le variabili continue erano studiate con ripetute analisi di misure di covarianza, utilizzando le stesse covariate.
Il consumo totale dei latticini, dei prodotti lattiero-caseari, tranne il formaggio, e la quantità di calcio nella dieta erano inversamente associati con gli incidenti di SM e di IFG/T2D. Il consumo di formaggio correlava negativamente con l’incidente della sindrome metabolica, ma non con i disturbi glicemici. Tutti i parametri erano associati a una più bassa pressione sanguigna diastolica e a più bassi trigliceridi, in media sul periodo di nove anni, e a un aumento inferiore della BMI nello stesso periodo. L'assunzione maggiore del latte totale, del formaggio e della quantità di calcio si associava durante i nove anni di follow-up con un minore aumento della circonferenza della vita e dei trigliceridi.
            In conclusione, nella popolazione generale francese questi risultati dimostravano gli effetti benefici del consumo dei latticini nei riguardi della sindrome metabolica e dei disturbi glicemici, avvalorando, così, il loro ruolo protettivo contro il rischio cardiovascolare.
            Kate Birnie1 dell’University of Bristol – UK e collaboratori per loro parte, rilevando che diversi studi avevano dimostrato in età adulta effetti benefici sulla salute con il consumo di latte e dei prodotti lattiero-caseari, hanno voluto esaminare l'impatto della dieta dell’infanzia e dell’adulto sulle prestazioni fisiche di anziani in età dai sessantatré agli ottantasei anni (Age Ageing (2012) 41 (6): 776-784). Gli studiosi si sono avvalsi dello studio prospettico di sessantacinque anni in bambini che avevano preso parte al sondaggio del 1930, il Boyd Orr cohort di 405 soggetti, e il CAPS (Caerphilly Prospective Study) di 1.195 persone che forniva i dati da metà vita alla vecchiaia. Gli Autori hanno ipotizzato che gli elevati introiti di latte, di calcio, di proteine​​, di grassi e di energia nell’infanzia e nella vita di adulti si sarebbero potuti associare con una migliore performance nell’anziano.
In modelli completamente adattati un aumento medio dell’assunzione di latte nell’infanzia si associava con un cammino più veloce del 5% al test di Boyd Orr del get-up and go (IC 95%: da 1 a 9) con minori probabilità del 25% dello scarso equilibrio (OR: 0,75; 0,55-1,02). L'assunzione di calcio nell'infanzia era, quindi, positivamente associato con i tempi di percorrenza (4% più veloce per SD 0-8). Un apporto proteico superiore correlava, invece, con una minore probabilità dello scarso equilibrio (OR: 0,71; 0,54-0,92). In età adulta l'assunzione delle proteine ​​si associava positivamente con i tempi di percorrenza (2% più veloce per SD 1-3; Boyd Orr e dati aggregati CAPS).
            In conclusione, questo studio, primo nel suo genere, mostrava le associazioni positive tra l’assunzione del latte nell’infanzia con le prestazioni future nell’anziano.
            Per altro canto, Peter J. Huth e Keigan M. Park della PJH Nutritional Science, LLC, Menomonie WI, in merito al rapporto tra i grassi contenuti nel latte e latticini e la salute cardiovascolare, hanno condotto una revisione di esame sulle ricerche pubblicate (Adv Nutr May 2012 Adv Nutr vol. 3: 266-285, 2012). Difatti, anche se le evidenze avevano collegato il consumo dei grassi saturi (SF) all’aumento dei livelli di LDL e a quello del rischio di sviluppo delle malattie cardiovascolari (CVD), più recenti scoperte avevano indicato che il legame poteva essere meno semplice di quanto originariamente pensato. Tutto ciò in rapporto al fatto che alcune fonti di cibo ad alto contenuto di SF contengono una matrice di acidi grassi saturi e insaturi, ognuno capace d’influire differenzialmente sul metabolismo delle lipoproteine​​ e di contribuire a determinare quantità significative di altri nutrienti in grado di alterare il rischio CVD.
            Georgina E Crichton dell’University of South Australia e collaboratori, considerando il numero crescente di ricerche a suggerimento che il consumo regolare dei latticini poteva contrastare, ma non in maniera decisa, l'obesità e le altre componenti della sindrome metabolica, hanno cercato di determinare gli effetti sulla salute cardiometabolica con l’aumento dietetico di latticini a basso tenore di grassi in adulti, senza restrizione energetica ma con loro abituale scarsa assunzione (Nutr Metab (Lond). 2012; 9: 19). Gli Autori hanno, così, condotto un trial d’intervento in sessantuno adulti in sovrappeso o obesi, assegnati in modo casuale a una dieta ad alto contenuto di latticini (HD con quattro porzioni di essi a ridotto tenore di grassi / die) o di controllo a bassa quota di latticini (LD, ≤ 1 porzione / die) per sei mesi per poi alternare la dieta per ulteriori sei mesi. Una serie di parametri antropometrici e cardiometabolici, tra cui la composizione corporea, il ritmo metabolico, i lipidi nel sangue, la pressione sanguigna e la compliance arteriosa, è stata valutata al termine di ogni fase di dieta. Durante la fase di HD l’apporto energetico totale era più alto di 1.120 kJ / die con conseguente leggero aumento di peso. Tuttavia, tra la dieta HD e la LD non vi erano differenze significative nelle misure assolute della circonferenza vita, del peso corporeo, della massa grassa o di qualsiasi altro parametro cardiometabolico.
            In conclusione, secondo gli Autori, l’assunzione dei latticini con riduzione dei grassi poteva essere raccomandata nella dieta degli adulti in sovrappeso senza alterare i marcatori cardiometabolici della salute.
            Jimmy Chun Yu Louie dell’University of Wollongong – Australia e collaboratori hanno studiato, in una coorte di 2.900 anziani australiani che avevano completato un convalidato questionario di frequenza alimentare, gli effetti del consumo abituale dei latticini sul rischio a quindici anni di malattia (CVD) e mortalità cardiovascolare (Nutrients. 2013 February; 5(2): 441–454). Gli Autori hanno usato modelli di regressione proporzionale di Cox per studiare le associazioni tra i terzili del consumo dei prodotti lattiero-caseari, comprendenti quelli a bassa / ridotta proporzione dei grassi e il latte intero di grassi, e il loro rapporto (LF / WF) e il rischio di mortalità per malattia coronarica (CHD), stroke o CVD combinata. Si registravano 548 casi di mortalità cardiovascolare con una riduzione del rischio di CVD con l'assunzione di tutti i latticini solo nel terzile due (hazard ratio aggiustato, AHR: 0,71, IC 95%: 0,55-0,93). Sia per il terzile due sia per il tre si riscontrava un rischio ridotto per la CHD (entrambi con AHR: 0.71). Tuttavia, non vi erano tendenze lineari tra il consumo dei latticini totali e uno qualsiasi dei tre risultati. Peraltro, non vi erano, nel modello integralmente corretto, associazioni o tendenze tra il consumo dei latticini a basso / ridotto contenuto di grassi o interi, o tra il rapporto LF / WF e nessuno dei tre risultati (tutti p> 0,05).
            In conclusione, i dati di questo studio non definivano, quindi, alcuna associazione coerente tra il consumo dei latticini e il rischio di malattia coronarica, ictus e mortalità cardiovascolare combinata.
            Anastasia Samara dell’Université de Lorraine, Nancy – France e collaboratori hanno voluto valutare le associazioni dei prodotti lattiero-caseari (latte, yogurt, ricotta, formaggi e calcio) con i cambiamenti a cinque anni delle componenti della sindrome metabolica (Nutrition Volume 29, Issue 3, Pages 519-524, March 2013). Gli Autori hanno, così, arruolato dallo studio di coorte STANISLAS (suivi temporaire annuel non invasif de la santé des lorrains assurés sociaux) duecentottantotto uomini e 300 donne di età dai ventotto ai sessanta anni. Per le statistiche hanno utilizzato l'analisi di regressione multivariata. Negli uomini non si trovata alcuna relazione tra i quattro indici dietetici e le componenti della sindrome metabolica misurata al basale. Al contrario, il consumo di latte, di yogurt e di ricotta in entrata risultava inversamente associato con i cambiamenti a cinque anni dei livelli del glucosio (P ≤ 0.05, P ≤ 0,01 per l'interazione sesso) e positivamente con le modifiche a cinque anni dell’alta LDL (p ≤ 0,05). A cinque anni negli uomini, le maggiori assunzioni di calcio erano significativamente correlate con un minore aumento dell'indice di massa corporea (BMI) e della circonferenza della vita (p ≤ 0.01, P ≤ 0,05 per l'interazione sessuale). Inoltre, solo negli uomini i cambiamenti della pressione sanguigna diastolica risultavano inversamente associati con il consumo di latte, yogurt e ricotta con una BMI normale (P ≤ 0,05 per l'interazione BMI). Nelle donne, a differenza degli uomini, le associazioni si dimostravano per alcune componenti misurate al basale. Il latte totale correlava positivamente con la BMI e la circonferenza vita. Il latte totale, il latte, lo yogurt, la ricotta e il calcio risultavano positivamente associati con i triacilgliceroli e negativamente con le HDL​​. Tuttavia, ai cinque anni non si riscontrava nessuna associazione significativa nelle modifiche.
            In conclusione, in un periodo di cinque anni solo negli uomini si era registrata un’associazione tra un maggior consumo dei prodotti lattiero-caseari con i cambiamenti positivi del profilo metabolico, mentre un più alto consumo di calcio si era associato con un aumento inferiore della BMI e della circonferenza vita, sempre ai cinque anni.
            Beth H Rice della Dairy Research Institute, Rosemont, Illinois, USA e collaboratori hanno esaminato, sulla base del rapporto 2010 delle Dietary Guidelines for Americans, i dati della letteratura scientifica dal giugno 2010 sino al settembre 2011, relativi al consumo dei prodotti lattiero-caseari e i loro effetti sugli apporti nutrizionali e il rischio di malattie croniche (Nutr Rev. 2013 April; 71(4): 209–223).
            In conclusione, secondo gli Autori, dal rilascio del rapporto 2010 DGAC (Dietary Guidelines Advisory Committee) sui DGA (Dietary Guidelines for Americans) 2010, i numerosi studi pubblicati avevano reso un importante contributo sulla relazione tra il consumo dei latticini e dei nutrienti con la riduzione del rischio delle malattie croniche. Pur tuttavia, mentre la popolazione degli Stati Uniti aveva continuato a seguire un basso consumo di nutrienti, come la vitamina D, il calcio, il magnesio e il potassio, si era anche comportata allo stesso modo riguardo alle porzioni giornaliere raccomandate dei latticini.
 

Dal momento che il latte e i prodotti lattiero-caseari contengono questi principali nutrienti, scaturiva la necessità, quindi, di raccomandare un minimo di tre, ma anche quattro porzioni di latticini ogni giorno per gli effetti benefici sul tessuto osseo degli adulti. Questo sulla base dei risultati degli studi di:

  • Josse AR e altri (Med Sci Sports Exerc. 2010;42:1122–1130),
  • Habibzadeh N. (Biomed Hum Kinet. 2010;2:81–84),
  • Thomas DT e altri (J Am Coll Nutr. 2010;29:604–611),
  • Hinton PS e altri (Eur J Clin Nutr. 2010;64:392–399),
  • Palacios C e altri (Nutrition. 2011;27:520–525),
  • Moschonis G e altri (Br J Nutr. 2010;104:100–107),
  • Tenta R e altri (Eur J Nutr. 2011;50:341–349),
  • Campbell WW e Tang M. (J Gerontol A Biol Sci Med Sci. 2010;65:1115–1122).

D’altro canto, gli Autori commentavano anche che gli studi avevano continuato a fornire evidenze che il consumo dei prodotti lattiero-caseari era stato inversamente associato con lo sviluppo delle malattie cardiovascolari sulla base degli studi di:

  • Soedamah-Muthu SS (Am J Clin Nutr. 2011;93:158–171),
  • Bernstein AM e altri (Circulation. 2010;122:876–883),
  • Panagiotakos DB e altri (J Am Coll Nutr. 2010;29:357–364),
  • Goldbohm RA e altri (Am J Clin Nutr. 2011;93:615–627),
  • Aslibekyan S e altri (Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2012;22:1039–1045),
  • Bonthuis M e altri (Eur J Clin Nutr. 2010;64:569–577),
  • Warensjö E e altri (Am J Clin Nutr. 2010;92:194–202),
  • Esmaillzadeh A e Azadbakht L. (Public Health Nutr. 2010;13:1395–1402)
  • Ivey KL e altri (Am J Clin Nutr. 2011;94:234–239),
  • Zemel MB e altri (Am J Clin Nutr. 2010;91:16–22),
  • Nestel PJ e altri (Eur J Clin Nutr. 2012;66:25–31),
  • van Meijl LE e Mensink RP (Br J Nutr. 2010;104:1523–1527),
  • Beavers KM e altri (J Med Food. 2010;13:650–656).

Inoltre, nell’ambito di un modello alimentare salutare per il migliore stato nutrizionale le raccomandazioni per il consumo giornaliero dei prodotti lattiero-caseari erano, sempre per gli Autori, importanti non solo per la salute delle ossa e un ridotto rischio di malattie cardiovascolari, ma anche per il mantenimento di una pressione sanguigna bassa sulla base degli studi di:

  • van Meijl LE e Mensink RP (Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2011;21:355–361),
  • Stancliffe RA e altri (Am J Clin Nutr. 2011;94:422–430),
  • Usinger L e altri (Clin Physiol Funct Imaging. 2010;30:162–168),
  • Usinger L e altri (J Hum Hypertens. 2010;24:678–683).

Infine, i prodotti lattiero-caseari dovevano riscuotere un consenso di uso anche per una prevenzione del diabete di tipo 2 sulla base degli studi di:

  • Malik VS e altri (Am J Clin Nutr. 2011;94:854–861),
  • Tong X e altri (Eur J Clin Nutr. 2011;65:1027–1031),
  • Fumeron F e altri (Diabetes Care. 2011;34:813–817),
  • Mozaffarian D e altri (Ann Intern Med. 2010;153:790–799),
  • Nikooyeh B e altri (Am J Clin Nutr. 2011;93:764–771),
  • Stancliffe RA e altri (Am J Clin Nutr. 2011;94:422–430).

I risultati indicavano che la maggior parte degli studi osservazionali non era riuscita a trovare un’associazione tra l'assunzione dei prodotti caseari e l’aumento del rischio di malattia cardiovascolare, coronaropatia e ictus, indipendentemente dai livelli dei grassi del latte. I dati degli studi d’intervento a breve termine sui biomarcatori cardiovascolari avevano, peraltro, indicato che una dieta più ricca di SF da latte intero e burro aumentava il colesterolo LDL, quando sostituita con i carboidrati e gli acidi grassi insaturi. Tuttavia, sarebbero potute aumentare anche le HDL e, pertanto, si sarebbe potuto non influenzare o addirittura abbassare il rapporto colesterolo totale/colesterolo HDL. I risultati della revisione indicavano anche che l'assunzione del formaggio abbassava il colesterolo LDL, rispetto al burro con parità di contenuto dei grassi del latte. Inoltre, la rassegna metteva in evidenza alcune lacune significative della ricerca circa gli effetti del latte intero di grasso sugli esiti cardiovascolari, indicando la necessità di studi d’intervento a lungo termine.


Prodotti lattiero-caseari e cancro

Nel diciannovesimo e ventesimo secolo è emersa in chiave moderna la nozione dell’evitabilità del cancro e che l’alimentazione, l’attività fisica e la composizione corporea possano certamente influenzarne il rischio. In tutto quanto si è succeduto in questo periodo gli studiosi hanno focalizzato la loro attenzione sulle scelte più salutari dei cibi, delle bevande e dei comportamenti abituali che potessero meglio proteggere contro il cancro e migliorare in senso generale il benessere. Oggi si può affermare che il cancro è una malattia prevenibile, a patto che siano presi in considerazione e combattuti in tempo tutti i fattori che lo possono determinare. E in tal caso il termine prevenzione va considerato non nel senso di eliminazione, ma di riduzione del verificarsi del cancro, in modo tale che a qualsiasi età minori persone si ammalino di quanti altrimenti dovrebbero. È ormai noto che l’alimentazione e la nutrizione possono modificare il rischio dei tumori, soprattutto nel caso delle bevande e dei cibi trasformati o conservati. Così pure, sulla base che la bioenergetica può rappresentare un altro fattore di rischio per il cancro, ci sono ormai evidenze sugli effetti dell’attività fisica e sulla composizione corporea. Dalla metà degli anni 1990, invero, sono stati compiuti grandi progressi sulla comprensione della cancerogenesi, riconoscendo i fattori interni e quelli esterni che possono modificare il rischio della malattia. In particolare, la mappatura del genoma umano ha permesso la formazione e lo sviluppo di nuove discipline dedicate alla chiarificazione dei processi biologici a livello di base, compresi quelli che ostacolano la formazione del cancro, quelli che la causano e quelli che la modificano. In effetti, l’evoluzione degli organismi viventi dipende dalla loro progressione adattativa con accumulo delle variazioni dell'informazione e dell’espressione genetica sul DNA che controllano le caratteristiche del fenotipo di un individuo. Così che, qualsiasi condizione durante il corso della vita, che possa colpire il genotipo o la sua espressione, può anche avere un effetto sul fenotipo. Su tale base una serie di fattori ambientali, tra cui le esposizioni nutrizionali, in qualsiasi momento possono condizionare il fenotipo, soprattutto come esperienza metabolica accumulata che può iniziare durante la vita intrauterina e proseguire per tutta la vita di una persona.
            Jolieke C van der Pols dell’University of Queensland, Brisbane – Australia e collaboratori, rilevando una possibile influenza del consumo dei latticini sulle vie biologiche della carcinogenesi, hanno voluto esaminare se il consumo dei prodotti lattiero-caseari durante l'infanzia potesse aumentare l'incidenza e la mortalità del cancro in età adulta (Am J Clin Nutr 2007;86:1722–9). Gli Autori hanno, così, utilizzato i dati di circa 4.999 bambini di uno studio sui consumi alimentari di famiglia dal 1937 al 1939, che vivevano in Inghilterra e Scozia.  L'accertamento del cancro è stato ricavato dal registro centrale della mortalità nazionale tra il 1948 e il 2005. Durante il periodo di follow-up, si registravano 770 casi di cancro o di morti per la malattia. L’alta assunzione totale dei latticini nell’infanzia, rispetto alla bassa, si associava con una probabilità di cancro del colon-retto quasi triplicata [odds ratio multivariata: 2,90 (IC 95%: 1,26, 6,65), p = 0,005], indipendentemente dal consumo della carne, della frutta, delle verdure e degli indicatori socio-economici. Inoltre, l’assunzione del latte mostrava una simile associazione con il rischio del cancro del colon-retto. D’altra parte, l’alta assunzione di latte era inversamente, ma debolmente, associata con il rischio di cancro alla prostata (P = 0.11). Invece, l’assunzione dei latticini nell’infanzia non si associava con il rischio di cancro al seno e allo stomaco, mentre una correlazione positiva con il rischio di cancro al polmone era inquinata dal comportamento di fumare durante l'età adulta.
            In conclusione, i dati dello studio suggerivano agli Autori che una dieta familiare durante l'infanzia ricca di prodotti lattiero-caseari si associava a un maggior rischio di cancro del colon-retto in età adulta indicando, però, la necessità di ulteriori studi.
            In effetti, il latte e i latticini contengono micronutrienti e diversi elementi bioattivi che possono influenzare il rischio e la progressione del cancro. Il rapporto del 2007 del World Cancer Research Fund e American Institute for Cancer Research, sulla base di una revisione sistematica della letteratura epidemiologica, ha concluso che c'era una probabile associazione tra l'assunzione del latte e un minor rischio di cancro del colon-retto, una probabile associazione tra le diete ricche di calcio e l’aumento del rischio del cancro alla prostata e una limitata evidenza di un'associazione tra l'assunzione del latte e un minor rischio del cancro alla vescica. Per altri tipi di cancro la prova non era univoca o era carente. Dopo questo rapporto sono stati pubblicati su vasta coorte parecchi altri studi tra l'associazione dell’assunzione dei prodotti derivati ​​dal latte e il cancro. Sono, difatti, propositivi d’indagine gli effetti potenziali sul rischio del cancro dei vari prodotti bioattivi microbici che si producono durante il metabolismo ruminale. Di certo, i microbi vivi presenti in alcuni prodotti caseari devono giocare un ruolo particolare nella modulazione della microflora e del metabolismo intestinale dell’uomo. A tale proposito, è bene ricordare il crescente interesse sulla comunità microbica intestinale per la salute, a proposito della funzione immunitaria e della malattia, compreso il cancro. In tale ordine di fatti, per i prodotti lattiero-caseari, costituiti da un gruppo complesso di alimenti la cui composizione varia da regione a regione, la valutazione della loro associazione con il rischio di malattia risulta, però, difficile, anche se molto interessante e in via di sviluppo continuo.
In tale contesto, il fattore di crescita insulinosimile (IGF-I) è stato chiamato in causa per quanto riguarda il cancro della prostata e della mammella. Esso si trova nel latte di mucca ed è stato dimostrato che si verifichi un aumento dei suoi livelli nel sangue degli individui che consumano normalmente i prodotti lattiero-caseari. In effetti, studi caso-controllo su diverse popolazioni hanno dimostrato una forte e coerente associazione tra le concentrazioni sieriche di IGF-I e il rischio di cancro alla prostata. Peraltro, è da ribadire che i prodotti lattiero-caseari forniscono circa il 65% degli estrogeni assunti con l’alimentazione. Questi ormoni e i loro metaboliti, per la loro capacità di influenzare la proliferazione cellulare, sono, com’è noto, un fattore di rischio per il cancro al seno, alle ovaie e alla prostata. Inoltre, il galattosio presente nel lattosio, potrebbe essere tossico per le cellule ovariche. Da non trascurare la possibilità di contaminanti cancerogeni tossici nel latte, derivati da sofisticazioni contro legge o da preparazioni e conservazioni inadeguate. A tale riguardo, viene da ricordare le aflatossine come gruppo di micotossine estremamente tossiche, mutagene e cancerogene che si trovano prevalentemente sui vegetali e sono prodotte da funghi. Il più frequente è l’aspergillus flavus, che si ritrova nelle aree con clima caldo umido, in grado di produrre aflatossine di tipo B. L’Aspergillus parasiticus, con estensione più limitata, produce, invece, le aflatossine di tipo B e G. Gli epossiderivati elettrofili sono responsabili dell’azione dannosa delle aflatossine, perché, essendo molto reattivi, tendono a legarsi covalentemente con il DNA epatico e polmonare. È generalmente il consumo di mais, arachidi, pistacchi, mandole, fichi secchi e alcune spezie, come il peperoncino, a determinare l’intossicazione alimentare. Pur tuttavia, l’esposizione umana all’AFB1 si realizza soprattutto con le carni animali e il consumo di latte e latticini.
La quantità di metabolita AFM1 presente nel latte dipende ovviamente dalla quantità di AFB1 presente nei foraggi destinati agli animali. I foraggi più comunemente contaminati sono il mais, i semi di cotone, le farine di soia, di girasole e di lino. Di certo, il clima caldo e umido favoriscono lo sviluppo delle aflatossine sui vegetali nei campi, mentre, per quanto riguarda lo stoccaggio nei magazzini, tali micotossine proliferano in condizioni di grande umidità delle materie prime e in assenza di adeguata ventilazione. A tale proposito si rammenta quanto pubblicato il 20 giugno 2013 nei riguardi di una produzione di latticini friulana contenente muffa con aflatossina.
            H. Davoodi della Shahid Beheshti Univ. of Medical Sciences, Tehran – Iran e collaboratori, considerando non conclusiva l’evidenza che i latticini potessero proteggere o aumentare il rischio del cancro, hanno condotto una revisione sull’argomento (Comprehensive Reviews in Food Science and Food Safety Vol.12, Issue 3, pages 249–264, May 2013).

Nel complesso, i benefici dei latticini sulla salute superavano notevolmente il danno, peraltro tutto ancora da provare. Il loro consumo, quindi, come parte di una dieta variata e nutriente, secondo gli Autori sarebbe da incoraggiare poiché indispensabile per la buona salute delle ossa e dei denti, per prevenire l'osteoporosi, per combattere i principali fattori di rischio cardiovascolare, per moderare la pressione arteriosa, per allontanare la minaccia di diabete di tipo 2 e la sindrome metabolica e così pure per aiutare a prevenire alcuni tipi di cancro. Il Cancer Council e l’USDA (United States Department of Agriculture) consigliano, in effetti, tre porzioni di latte e di prodotti lattiero-caseari il giorno. Gli Autori nella loro revisione hanno esaminato il potenziale del latte e dei prodotti lattiero-caseari nell’inibire i rischi di diversi cancri. Inoltre, hanno rivisitato i rapporti nel corso degli anni che hanno indicato il latte e l'industria casearia come agenti responsabili di causare il cancro.


Prodotti lattiero-caseari e recidiva/mortalità del cancro al seno

Kroenke CH della Division of Research, Kaiser Permanente, Oakland - USA e collaboratori, sulla base che i grassi del latte rappresentano una fonte di ormoni estrogeni che può essere correlata al peggioramento e alla sopravvivenza del cancro al seno, hanno voluto eseguire uno studio nei meriti. Gli Autori hanno, così, arruolato 1.893 donne dal Life After Cancer Epidemiology study con diagnosi dal 1997 al 2000 di cancro al seno invasivo in stadio precoce, che avevano completato il questionario di frequenza alimentare dopo la diagnosi del Fred Hutchinson Cancer Research Food Center (J Natl Cancer Inst. 2013 May 1;105(9):616-23). Durante il follow-up mediano di 11,8 anni, 349 donne presentavano una recidiva e 372 morivano, di cui 189 per cancro al seno. All'analisi multivariata aggiustata l'assunzione complessiva dei prodotti caseari non correlava con gli esiti specifici per il cancro al seno, anche alla presenza di una positiva associazione con la mortalità generale. L’assunzione dei latticini a basso contenuto di grassi non correlava con la recidiva o la sopravvivenza, mentre quella ad alto contenuto di grassi si dimostrava associata positivamente con i risultati. Rispetto al riferimento, relativo a porzioni/die da zero a meno di 0,5, le donne che consumavano grandi quantità dei prodotti lattiero-caseari ad alto contenuto di grassi dimostravano la più alta mortalità per cancro al seno (da 0,5 a <1,0 porzioni / giorno: hazard ratio = 1,20, intervallo di confidenza [HR] IC 95% = 0,82-1,77, e ≥ 1,0 porzioni / giorno: HR = 1.49, IC 95% = 1,00-2,24, p trend = .05). Si rilevava in esse anche la maggiore mortalità per qualsiasi causa (p trend <0,001) e per cancro di altra sede (p trend = 0,007). Il rapporto con la ricorrenza del cancro al seno era positivo, ma non statisticamente significativo. Peraltro, il rischio maggiore appariva costante tra i diversi tipi dei prodotti lattiero-caseari ad alto contenuto di grassi.
            In conclusione, l'assunzione dei prodotti lattiero-caseari ad alto, ma non di quelli a basso contenuto, di grassi, era legata dopo la diagnosi del cancro al seno a un più elevato rischio di mortalità. In particolare, durante il periodo del follow-up le donne che consumavano una o più porzioni il giorno di latticini ad alta percentuale di grassi avevano un rischio del 64% più alto di morire di qualsiasi causa e un aumento del 49% del rischio di morire di tumore al seno. Questo verosimilmente in rapporto al fatto che le donne con cancro al seno erano seriamente suscettibili alla recidiva in proporzione alla quantità degli estrogeni nell’organismo.


Prodotti lattiero-caseari e cancro alla prostata

La maggiore assunzione di acidi grassi (n-6) rispetto agli (n-3) è stata collegata a un’elevata produzione dei leucotrieni, dei trombossani e di altri fattori infiammatori e cancerogeni. Considerando che tutte le membrane cellulari contengono PUFA (polyunsaturated fatty acids), la loro abbondanza comporta una suscettibilità alla perossidazione e al danno da parte dei ROS (reactive oxygen species), che in ultima analisi danneggia il DNA con successiva mutagenesi. Tutto ciò supporta il razionale biologico dell’'associazione positiva del consumo dei grassi, specialmente dei sottotipi quali gli (n-6), con il rischio delle malattie croniche, compreso il cancro. Le ricerche epidemiologiche degli ultimi venti anni si sono per questo concentrate sul rischio del cancro determinato dagli eccessi alimentari dei grassi. In quest’ambito di ricerca, sulla base delle osservazioni sulle differenze geografiche globali del rischio in forte correlazione positiva con l'assunzione dei grassi, è stata posta particolare attenzione al cancro della prostata. Tuttavia, i risultati degli studi sono ancora non definitivi anche perché è in aumento l'evidenza che i tumori aggressivi e non differiscono nella loro eziologia.
            Marian L. Neuhouser della Public Health Sciences Division Seattle, WA e collaboratori hanno voluto studiare l’associazione tra i grassi alimentari, la carne e i latticini con il rischio di cancro alla prostata tra i 12.025 uomini del CARET (Carotene and Retinol Efficacy Trial). Dopo undici anni di follow-up si registravano 890 tumori della prostata. Gli Autori valutavano la dieta con un FFQ (Food Frequency Questionnaire) biennale e utilizzavano i modelli proporzionali di Cox per stimare lo HR (hazard ratio) aggiustato multivariato del consumo dei cibi grassi, come carne e latticini, con l'incidenza del cancro della prostata. I termini d’interazione moltiplicativi erano testati se le associazioni differivano dalla storia familiare, dalla razza, o dal fumo. Nel complesso il grasso non si associava al cancro totale, né a quello aggressivo o non della prostata.

Nelle analisi dei sottogruppi degli uomini con una storia di cancro alla prostata familiare gli HR erano 2,47 (IC 95% ¼ 0,96-6,37) e 2,61 (IC 95% 1,01-6,72 ¼) per il totale dei grassi polinsaturi (PUFA) e (n-6) PUFA per il 4 ° vs 1 ° quartile di assunzione rispettivamente. La carne rossa si associava con il cancro alla prostata totale o con quello aggressivo. D’altro canto, la maggiore assunzione di latticini produceva una significativa riduzione del rischio di cancro aggressivo rispetto a quella minore (HR ¼ 0.59, IC 95% ¼,40-0,85). I latticini proteggevano anche i fumatori abituali, ma non iniziali, contro il cancro aggressivo (HR ¼ 0,42, IC 95% ¼,25-,70).
            I risultati suggerivano agli Autori che l’associazione tra i grassi alimentari e il rischio di cancro alla prostata poteva variare in base al tipo degli alimenti grassi o contenenti grassi, ma anche in rapporto a fattori dell'ospite, tra cui la storia familiare e il fumo (J. Nutr. 137: 1821–1827, 2007).
            Song Y dell’University of California-Los Angeles – USA e collaboratori, sulla base dell’associazione già dimostrata da precedenti studi tra la maggiore assunzione di latte con l’incidenza del cancro alla prostata (PCa), hanno voluto eseguire uno studio di coorte più dettagliato nei meriti nel Physicians 'Health Study di 21.660 soggetti (J Nutr. 2013 Feb;143(2):189-96). Gli Autori hanno, così, verificato in un'analisi di sopravvivenza di ventotto anni 2.806 incidenti di PCa. Le informazioni sul consumo dei latticini erano raccolte al basale con i casi di PCa e i 305 decessi durante il follow-up. L'assunzione totale dei latticini si associava a un'aumentata incidenza di PCa [HR = 1.12 (IC 95%: 0.93, 1.35);> 2,5 porzioni / d vs ≤ 0,5 porzioni / d]. L’uso di latte  scremato o a basso contenuto di grassi correlava positivamente con il rischio di basso grado, stadio precoce e screening dei tumori rilevati, mentre il consumo di latte intero era associato solo con il PCa fatale [HR = 1.49 (IC 95%: 0.97, 2.28); ≥ 237 ml / die (1 porzione / die) vs il raro consumo]. Nell’analisi di sopravvivenza, l'assunzione di latte intero rimaneva associata al rischio di progressione mortale della malattia dopo la diagnosi [HR = 2.17 (IC 95%: 1.34, 3.51)].
            In questa coorte prospettica, la maggiore assunzione di latte scremato o a basso contenuto di grassi correlava con un minore rischio di aggressività del PCa. Peraltro, in via ancora più importante, solo il latte intero era costantemente associato con una maggiore incidenza di PCa fatale in tutta la coorte e con una maggiore mortalità della malattia specifica tra i casi.


Consumo di latte e di prodotti lattiero-caseari e rischio di cancro alla vescica

Il cancro della vescica è il nono tumore maligno più comune nel mondo intero e il fumo di sigaretta rappresenta la sua principale causa. Altre condizioni predisponenti o potenziali fattori di rischio sono l'infezione da schistosoma, l'esposizione professionale ad ammine aromatiche, l’arsenico nell’acqua potabile e l’uso di alcuni farmaci come la ciclofosfamide. L'assunzione di vari alimenti e nutrienti potrebbe anche influenzare il rischio del cancro della vescica per l’escrezione urinaria della maggior parte dei metaboliti. In quest’ultimo ordine di fattori il consumo di latte e di altri prodotti lattiero-caseari può, d’altro canto, potenzialmente ridurne il rischio. I dati derivati dagli studi sperimentali sugli animali e su quelli randomizzati della recidiva del tumore, in verità, hanno suggerito che l'assunzione dei latticini contenenti batteri lattici può giocare un ruolo di riduzione sulla carcinogenesi vescicale.
            Susanna C Larsson del Karolinska Institute, Stockholm – Sweden e collaboratori, visti i risultati incoerenti e scarsi tra il consumo di latte e il rischio di cancro alla vescica, ne hanno studiata l'associazione sulla popolazione di donne e uomini svedesi (AmJ Clin Nutr 2008;88:1083–7). Gli Autori hanno, così, seguito prospetticamente 82.002 svedesi esenti da tumore che avevano completato un questionario di frequenza alimentare nel 1997. I casi di cancro alla vescica erano identificati dai registri svedesi sui tumori. Nel corso di un follow-up medio di 9,4 anni, 485 partecipanti, di cui settantasei donne e 409 uomini, ottenevano la diagnosi di cancro alla vescica. Il totale di assunzione dei latticini non era significativamente associato al rischio della neoplasia. Difatti, la rate ratio multivariata (RR) delle 7,0 porzioni / die o più rispetto alle 3,5 / die era 0.87, la I C 95% era 0.66, 1.15, il P 0.33. Tuttavia, si osservava una significativa correlazione statisticamente inversa per l'assunzione di latte fermentato, come quello acido e lo yogurt. Il RR multivariato per la più alta categoria di due o più porzioni / die di questi prodotti, rispetto alla categoria di più bassa corrispondente a nessuna assunzione, era 0.62 (IC 95%: 0.46, 0.85, P 0,006) in ambedue i sessi, 0.55 (IC 95%: 0.25, 1.22, P 0,06) nelle sole donne e 0.64 (IC 95%: 0.46, 0.89, P per il trend 0.03) negli uomini. L'assunzione di latte o formaggio non era, peraltro, associata con il rischio di cancro alla vescica.
            In conclusione, questi risultati suggerivano agli Autori che un elevato apporto di latte fermentato poteva ridurre il rischio di sviluppare il cancro della vescica.
            Li F della Southern Medical University, Guangzhou, Guangdong – China e collaboratori hanno svolto una revisione sulle potenziali relazioni tra l'assunzione di latte o latticini e il rischio del cancro della vescica recuperando gli studi eleggibili pubblicati fino al maggio 2011 (Urology. 2011 Dec;78(6):1298-305). Gli Autori hanno anche condotto un’analisi di sensitività, d’influenza e di eterogeneità tra i risultati, esaminati mediante valutazioni stratificate per disegno di studio, sesso, regione geografica, anno di pubblicazione, o anche se non aggiustati per i vari fattori di confondimento. Si estraevano, così, i dati di quattordici studi sul latte con 4.879 casi e sei studi sui prodotti lattiero-caseari con 3087 casi. La popolazione totale dello studio arrivava fino a 324.241 individui. Nel complesso non vi era alcuna associazione significativa tra l'assunzione di latte e il cancro della vescica [ (SRRE 0.89, IC 95% 0,77-1,02) ]. Tuttavia, l'associazione inversa si rilevava negli Stati Uniti (SRRE 0.88, IC 95% 0,79-0,99). Inoltre, non si osservava alcuna significativa associazione tra il consumo dei latticini e il rischio di cancro alla vescica (SRRE 0,95, IC 95% 0,71-1,27), anche se una correlazione inversa si dimostrava nella popolazione giapponese (SRRE 0.56, IC 95% 0,40 - .80).
            In conclusione, il risultato complessivo dello studio non era statisticamente significativo. I risultati di questa meta-analisi non davano alcun supporto a una relazione indipendente tra l'assunzione del latte o dei prodotti lattiero-caseari e il rischio del cancro alla vescica. Tuttavia, essi erano basati su una ricerca limitata.


Latticini e rischio di cancro del colon-retto

Il cancro colorettale secondo le stime globali per il 2008 è in tutto il mondo il terzo tipo più comune di neoplasia maligna con circa 1,2 milioni di nuovi casi diagnosticati, pari al 9,7% di tutti i tumori. Peraltro, i rapporti di molti paesi hanno descritto divergenti tassi di incidenza anche in rapporto alla sede. Pur tuttavia, si è descritto da più parti  un aumento percentuale di tumori prossimali con un cambiamento d’incidenza assoluto da sinistra a destra. Le ragioni di questa tendenza non sono ben comprese, ma sembrano essere in relazione alla funzione fisica, alla vascolarizzazione, alle caratteristiche istologiche, all’innervazione e anche alla derivazione segmentaria del tratto primitivo intestinale nell'embrione.
I confronti hanno anche dimostrato che i tumori del colon prossimale tendono ad avere differenti caratteristiche molecolari con una più alta percentuale di instabilità micro satellitare.  Hanno anche maggiori probabilità di avere il CIMP (CpG Island Methylator Phenotype) e il Ki-rasmutations dei tumori del colon e del retto distale. Diverse condizioni ecologiche, comportamentali e anche di tipo migratorio hanno fornito una forte evidenza che i fattori ambientali, tra cui lo stile di vita, sono probabilmente i principali determinanti del rischio del cancro del colon-retto. È stato stimato che il 45% di tutti i  casi di cancro del colon-retto possono essere prevenuti nelle popolazioni ad alto rischio attraverso modificazioni della dieta, delle abitudini dell’attività fisica e del controllo del peso. Secondo secondo rapporto del WCRF / AICR  (World Cancer Research Fund / American Institute for Cancer Research), pubblicato nel 2007, vi sono prove convincenti che le fibre alimentari proteggano contro il cancro del colon-retto e che, di converso, la carne rossa trasformata e l’alcool, soprattutto negli uomini, aumentino il rischio della malattia. Si affermava anche che l'assunzione del latte probabilmente proteggerebbe contro il cancro del colon-retto, ma non vi era prova indicativa che l'assunzione del formaggio potesse aumentarne il rischio.
D’altro canto, si afferma che l'aglio, il latte e il calcio probabilmente proteggano contro il cancro colorettale. Pur tuttavia non sono state evidenziate distinzioni di sede del cancro. I prodotti caseari, in particolare, sono stati, invece, segnalati come fattori protettivi contro il rischio del cancro colorettale, soprattutto in virtù del loro elevato contenuto di calcio. Questo ione può, infatti, legare gli acidi biliari secondari proinfiammatori e gli acidi grassi ionizzati, riducendo, così, la proliferazione cellulare e promuovendo la differenziazione cellulare. Tuttavia, alcuni prodotti lattiero-caseari, come ad esempio alcuni formaggi e creme, hanno anche un alto contenuto di grassi che, aumentando i livelli di acidi biliari nel colon, potenzialmente potrebbero potenziare il rischio della neoplasia. Peraltro, gli studi epidemiologici sui latticini e sul rischio di cancro del colon-retto hanno fornito risultati contrastanti.
            Aune D dell’Imperial College London – UK e collaboratori, sulla base di precedenti studi che avevano indicato un'associazione tra l'assunzione dei latticini e il rischio del cancro del colon-retto, hanno condotto una revisione sistematica e una meta-analisi per chiarire la forma della relazione dose-risposta (Ann Oncol. 2012 Jan;23(1):37-45). Gli Autori hanno, così, condotto una ricerca bibliografica sino al maggio 2010, utilizzando un modello a effetti casuali per la sintesi dei rischi relativi (RR). S’includevano, quindi, diciannove studi di coorte.

La sintesi RR per 400 g / die del totale dei prodotti lattiero-caseari era 0.83 (IC 95% [intervallo di confidenza]: 0,78-0,88, I2 = 25%), per 200 g / die di assunzione di latte 0.91 (IC 95%: 0,85-0,94, I2 = 0%) e di 0,96 (IC 95%: 0,83-1,12, I2 = 28%) per 50 g / die di formaggio. Le associazioni inverse si osservavano in entrambi uomini e donne, ma erano limitate al cancro del colon. Non c'era evidenza di un'associazione non lineare tra il latte e il totale dei prodotti lattiero-caseari e il rischio di cancro del colon-retto (P <0.001). Peraltro, le associazioni inverse sembravano essere più forti alla più alta gamma di assunzione.

            In conclusione, la meta-analisi mostrava che il latte e i prodotti lattiero-caseari totali, ma non il formaggio o altri prodotti, erano associati a una riduzione del rischio di cancro del colon-retto.
            Anette Hjartåker dell’University of Oslo - Norway e collaboratori hanno voluto verificare nella letteratura sino all’8 ottobre 2012 la responsabilità dei fattori di rischio di stile di vita sullo spostamento dell'incidenza da destra a sinistra del cancro del colon (Journal of OncologyVolume 2013 (2013), Article ID 703854, 14 pages). Gli Autori hanno, così, incluso nella loro revisione trentadue studi prospettici di coorte con le stime in rapporto al sesso per ogni fattore di rischio. Per l'alcol, si evidenziava una più forte associazione con il cancro del retto rispetto a quello del colon e per la carne una correlazione alquanto più forte con il colon distale e del retto, rispetto a quello del colon prossimale. Per le fibre, il latte e il calcio vi erano solo piccole differenze di rischio relativo in tutti siti. Per l'aglio non era possibile alcuna affermazione.
            In conclusione, per alcune componenti della dieta le associazioni con il rischio di cancro del retto e del colon distale apparivano più forti rispetto a quello prossimale.

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