Quali relazioni tra obesità e cancro?
Per le possibili spiegazioni sulla stretta relazione tra l’obesità e il cancro, vi sono varie ipotesi e studi. L’eccesso di estrogeni, prodotto dal tessuto adiposo, potrebbe spiegare l’aumento del rischio del cancro al seno, all’endometrio e in altre sedi. Peraltro, gli obesi hanno spesso un aumento dei livelli d’insulina e dell’IGF-1 (insulin-like growth factor-1) nel sangue, condizione nota per favorire lo sviluppo di alcuni tumori. Vi sono ormai evidenze che riconoscono nel tessuto adiposo un obiettivo importante dell’azione del GH (Growth hormone) che stimola la lipolisi negli adipociti maturi e nei preadipociti primari, ma promuove l’adipogenesi nelle linee cellulari dei preadipociti. La PRL (prolactin) e l’ormone lattogeno placentare stimolano anche loro l’adipogenesi nelle linee cellulari dei preadipociti, ma hanno effetti lipolitici variabili e lipogenici nel tessuto adiposo maturo. Il GH agisce direttamente attraverso il suo recettore oppure sovraregolando l’IGF-I (insulin-like growth factor), mediatore fondamentale della proliferazione della differenziazione e della sopravvivenza dei preadipociti. A tal proposito, sono tornati utili i risultati degli studi clinici sul trattamento con il GH nei pazienti con suo deficit o con sindrome da sua relativa insensibilità. Sono possibili, difatti, studi per l’analisi del GH e dell’IGF, come pure le azioni in vivo dell’IGFBP (IGF-binding protein). Durante la differenziazione in vitro degli adipociti si realizzano cambiamenti del sistema GH / IGF con le relative vie di segnalazione e il loro impatto sulla crescita e sulla funzione del tessuto adiposo. Considerazioni cliniche includono anche gli effetti del GH e dell’IGF-I sul tessuto adiposo durante il trattamento del deficit di GH, le differenze nel sistema dell’IGF tra i depositi di tessuto adiposo viscerale e sottocutaneo e il recente ruolo emergente per il tessuto adiposo della regolazione dell'omeostasi del glucosio.
Attner B della Lund University, Sweden e collaboratori, per studiare come l'incidenza del cancro sia correlata al diabete, all’obesità o ai lipidi nel sangue, hanno studiato 19.756 casi di cancro abbinati a 147.324 controlli nei riguardi dell'età, del sesso e del domicilio (Cancer Causes Control. 2012; 23(5):769-77). La diagnosi del diabete, dell’obesità o della dislipidemia era formalizzata a 0-10 anni prima della diagnosi del cancro. Il diabete era significativamente più comune prima della diagnosi nei pazienti con tumore del fegato, del pancreas, del colon, del tratto urinario e della vescica. Nelle pazienti con cancro della mammella il diabete era diagnosticato a 0-4 anni prima. Un minor rischio di diabete si osservava nei pazienti con carcinoma della prostata. I risultati permanevano anche dopo aggiustamento per l'obesità e i lipidi elevati nel sangue. L'obesità era, comunque, significativamente più comune nei pazienti con tumore dell'endometrio, del colon e del rene. Nel cancro al seno in età superiore ai sessanta anni l'obesità concomitava alla diagnosi del cancro. I lipidi alti nel sangue erano significativamente più comuni nei pazienti con carcinoma ovarico e meno comuni in quelli con cancro al seno.
In conclusione, lo studio, secondo gli Autori, confermava in materia di comorbidità del cancro alcuni risultati precedenti, ma anche nuovi.
Per altra parte non bisogna dimenticare che le cellule adipose producono ormoni, le adipochine, che possono stimolare o inibire la crescita delle cellule. Per esempio, la leptina, che è più elevata nelle persone obese, sembra promuovere la proliferazione cellulare, mentre l’adiponectina, che è ridotta, può promuovere effetti opposti. Le cellule adipose possono anche avere effetti diretti e indiretti su altri regolatori della crescita del tumore, tra cui il mTOR (mammalian target of rapamycin) e l’AMP-activated protein chinasi.
Paz-Filho G dell’Australian National University, Canberra – Australia e collaboratori hanno in questo contesto riesaminato il ruolo di organo endocrino giocato dal tessuto adiposo in rapporto per l’appunto alle due adipochine più particolari e più studiate, la leptina e l’adiponectina, implicate di là dai loro ruoli tradizionali nell’omeostasi energetica, ma anche come mediatori dello sviluppo del cancro (Front Biosci. 2011; 16:1634-50). Gli Autori hanno esaminato, quindi, queste sostanze a proposito delle neoplasie della prostata, della mammella, del colon-retto, della tiroide, del rene, del pancreas, dell’endometrio e dell’esofago. Hanno anche tracciato il loro ruolo nell’orchestrare l'influenza dell'obesità nello sviluppo di queste neoplasie.
Peraltro, le persone obese hanno spesso anche un basso livello di condizione d’infiammazione cronica o subacuta, associata com’è noto, con un aumentato rischio di cancro. Altri possibili meccanismi possono risiedere nelle risposte immunitarie alterate, negli effetti sul sistema NF-κB (nuclear factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cells) e nello stress ossidativo.
Peraltro, ormai da più parti si ritiene che il tessuto adiposo in eccesso comporti cambiamenti metabolici, come la riduzione delle HDL, l’aumento dei trigliceridi, l’ipertensione e l’insulino-resistenza. D’altro canto, il reflusso esofageo, la stessa ipertensione, l’insulino-resistenza e le alterazioni endocrine, tutte condizioni indotte dall’obesità, potrebbero contribuire all’aumento del rischio del cancro dell’esofageo, del rene, del colon-retto e della mammella. Inoltre, anche l’infiammazione associata all'obesità contribuisce, di certo, alla progressione del cancro in diversi organi. Pur tuttavia, non sono stati ancora delucidati compiutamente i meccanismi alla base dell’associazione tra obesità e cancro, pur essendone stati proposti diversi e specifici per sede. L'evidenza che l'espressione e / o l’attività della FASN (Fatty acid synthase), che catalizza la sintesi degli acidi grassi, sono elevate nel cancro del seno, del colon-retto, della prostata, dell'endometrio, dell'ovaio e della tiroide è a favore dell’ipotesi che questo enzima risponderebbe all’esaltata biosintesi degli acidi grassi nelle cellule tumorali e che svolgerebbe un ruolo essenziale per generare le membrane cellulari durante la loro proliferazione. Peraltro, l'elevazione dell’espressione neoplastica della FASN si ricongiunge all’evidenza dell’importante ruolo del metabolismo dell’acido grasso arachidonico polinsaturo sull’infiammazione e sulla progressione del cancro, attraverso la via della COX (cicloossigenasi). In effetti, in diversi tumori solidi i livelli della COX-2 risultano elevati e la sua espressione si associa, in genere, a una ridotta sopravvivenza dei pazienti. A tale proposito, una gran mole di studi ha finora indicato che l'uso regolare dei FANS, tra cui l'aspirina per un periodo dai dieci ai quindici anni, ridurrebbe nel 40 -50% dei casi il rischio relativo di sviluppo del cancro del colon-retto.
Peter M Rothwell dell’University of Oxford, UK e collaboratori, proprio in base alla riduzione a lungo termine dell'incidenza di alcuni adenocarcinomi per merito dell'aspirina assunta quotidianamente con effetti sulla mortalità anche dopo pochi anni, hanno considerato tale dato suggestivo per un’inibizione alla crescita o alle metastasi (The Lancet, Volume 379, Issue 9826, Pages 1591 - 1601, 28 April 2012). Gli Autori hanno, così, stabilito la frequenza delle metastasi a distanza nei pazienti che avevano sviluppato il cancro durante gli studi di aspirina giornaliera rispetto ai controlli. L’analisi ha incluso tutti e cinque i grandi studi per la prevenzione di eventi vascolari nel Regno Unito, randomizzati con aspirina ≥ 75 mg/die verso i controlli. Dei 17.285 partecipanti alla sperimentazione, 987 presentavano la diagnosi di un nuovo cancro solido durante i 6,5 anni (SD 2.0) di follow-up medio. Il gruppo con aspirina mostrava una riduzione del cancro con metastasi a distanza (tutti i tumori, hazard ratio [HR] 0,64, 95% IC 0,48 -0 · 84, p = 0.001; adenocarcinoma, HR 0.54, 95% IC 0,38 -0 · 77, p = 0,0007; altri tumori solidi, HR 0,82, 95% IC 0,53 -1 · 28, p = 0.39), dovuta principalmente a una diminuzione proporzionale degli adenocarcinomi con malattia metastatica rispetto a quella locale (odds ratio 0,52, 95% IC 0,35 -0 · 75, p = 0,0006). L'aspirina riduceva nei pazienti senza metastasi iniziali il rischio degli adenocarcinomi con questa complicazione al momento della diagnosi iniziale (HR 0,69, 95% IC 0,50 -0 · 95, p = 0.02) e il rischio di metastasi al successivo follow-up (HR 0 · 45, 95% IC 0,28 -0 · 72, p = 0.0009). Tutto ciò particolarmente nei pazienti con tumore del colon-retto (HR 0,26, 95% IC 0,11 -0 · 57, p = 0,0008) e che erano rimasti in studio di trattamento fino o anche dopo la diagnosi (HR 0,31, 95% IC 0,15 -0 · 62, p = 0.0009). L’assunzione di aspirina riduceva anche la morte per il cancro in quei pazienti che avevano sviluppato l’adenocarcinoma, in particolare in quelli senza metastasi alla diagnosi (HR 0.50, 95% IC 0,34 -0 · 74, p = 0,0006). Di conseguenza, l'aspirina riduceva il rischio complessivo dell’adenocarcinoma fatale nei soggetti in studio (HR 0.65, 95% IC 0,53 -0 · 82, p = 0,0002), ma non il rischio di altri tumori letali (HR 1 · 06, 95% IC 0,84 -1 · 32, p = 0.64, differenza, p = 0.003). Gli effetti erano indipendenti dall'età e dal sesso, ma il beneficio assoluto si riscontrava nei fumatori. In effetti, la formulazione a lento rilascio dell’aspirina a basso dosaggio, progettata per inibire le piastrine, ma con poca biodisponibilità sistemica, si rendeva efficace quanto le dosi più alte. Il fatto, quindi, che l'aspirina previene le metastasi a distanza potrebbe spiegare la riduzione precoce dei decessi per cancro negli studi con aspirina giornaliera, rispetto ai controlli. Tale rilievo suggerirebbe, secondo gli Autori, che l'aspirina potrebbe essere di aiuto nel trattamento di alcuni tipi di cancro anche per l'intervento farmacologico specifico nel prevenire le metastasi a distanza.