Tessuto adiposo, infiammazione, insulinoresistenza e diabete
Anca D. Dobrian dell’Eastern Virginia Medical School Norfolk, VA, USA ha recentemente pubblicato una revisione con lo scopo di evidenziare i principali risultati relativi all’espressione della Twist 1, a localizzazione subcellulare nel nucleo, nei diversi depositi di grasso e delle componenti cellulari dell’AT (adipose tissue) e per discutere i potenziali meccanismi che suggeriscono il suo ruolo nel metabolismo, nell'infiammazione e nel rimodellamento dell’AT stesso (Obesity (Silver Spring). 2010 May;18(5):879-83). Le Twist-1 e Twist -2, proteine con ruoli chiave per la regolazione trascrizionale nelle linee cellulari mesenchimali, appartengono alla superfamiglia delle proteine bHLH (basic helix-loop-helix) e hanno una caratteristica bi funzionale, sia come agenti di attività sia come repressori della trascrizione genica. Le proteine Twist presentano una bassa espressione nei tessuti degli adulti, potendola ripresentare in maniera abbondante nelle cellule in via di trasformazione maligna. Peraltro, recenti studi indicano un ruolo innovativo per la Twist-1, come regolatrice potenziale del rimodellamento e dell’infiammazione nel tessuto adiposo (AT). Alcuni studi avrebbero suggerito l’importanza determinante dei geni nello sviluppo dell’obesità, nella distribuzione del grasso e nella capacità del rimodellamento dei diversi depositi adiposi. La Twist-1 è abbondantemente e selettivamente espressa nell'AT dell’adulto e la sua espressione costitutiva, sia nei topi sia negli esseri umani, è significativamente maggiore nel grasso sottocutaneo (SAT) rispetto al viscerale (VAT). Inoltre, negli esseri umani l'espressione della Twist 1 è fortemente correlata con la BMI e la resistenza all'insulina. Tuttavia, i ruoli target funzionali e trascrizionali a valle della Twist 1 nell’AT sono ancora in via di studio.
Essa, comunque, agisce come un regolatore trascrizionale, impedisce la miogenesi con il sequestro delle proteine E, inibendo la trans-attivazione dalla MEF2 e il legame DNA dalla MYOD1 attraverso l'interazione fisica. Questa interazione coinvolge probabilmente i domini di base di entrambe le proteine. Reprime anche l’espressione delle citochine proinfiammatorie, quali il TNFα e l’IL1B. Regola la modellazione e la fusione delle suture craniche. Attiva la trascrizione, come un eterodimero con le proteine E. Regola l'espressione genica differenziale, secondo la composizione del dimero. Gli omodimeri inducono l'espressione del FGFR2 e del POSTN, mentre gli eterodimeri la reprimono e, invece, la inducono a carico del THBS1.
Difetti della TWIST 1 causano la SCS (Saethre-Chotzen syndrome), nota anche come acrocefalosindattilia tipo 3 (ACS3), caratterizzata da craniosinostosi con sinostosi coronale, brachicefalia, bassa attaccatura frontale dei capelli, asimmetria facciale, ipertelorismo, alluci grandi e clinodattilia.
La RSS (Robinow-Sorauf syndrome), anch’essa legata a difetti della TWIST 1 e, peraltro, molto simile alla precedente, è un difetto autosomico dominante, caratterizzata da cranio piccolo, anomalie facciali, dentali e degli arti, come una duplicazione parziale o completa dell’alluce.
Alvehus M dell’Umeå University Hospital - Sweden e collaboratori hanno ipotizzato che l'espressione dei geni infiammatori nel SAT profondo e nel VAT fosse superiore a quella del SAT superficiale (Obesity (Silver Spring, Md.) [2010, 18(5):879-883). Hanno, così, incluso nel loro studio diciassette donne apparentemente sane con BMI 29,3 + / - 5,5 kg/m2, misurando con la DEXA (dual-energy X-ray absorptiometry) il grasso corporeo e con la tomografia computerizzata la sua distribuzione. Hanno anche determinato la sensibilità all'insulina, i lipidi nel sangue e la pressione sanguigna. Hanno, quindi, analizzato le differenze legate all’infiammazione nell'espressione genica con il PCR real-time tra le biopsie del VAT, del SAT superficiale e quello profondo, utilizzando l’analisi univariata e multivariata dei dati. Utilizzando l'analisi di discriminazione multivariata, il VAT appariva come un deposito distinto d’infiammazione del tessuto adiposo, mentre i depositi SAT seguivano, rispetto all’espressione genica, un modello simile. Un’espressione significativamente elevata (P <0,01) del CCR2 (CC chemokine receptor 2) e del MIF (macrophage migration inhibitory factor) nel VAT contribuiva fortemente alla discriminazione.
In conclusione, i depositi del tessuto adiposo umano dimostrano modelli unici infiammatori, con il CCR2 e il MIF differenziali tra il VAT e il SAT.
Harford KA dell’University College Dublin e collaboratori nella loro pubblicazione hanno anche cercato di definire il ruolo dell’accumulo dei macrofagi e delle cellule T nel tessuto adiposo in merito all’obesità, all'infiammazione e all'insulino-resistenza (Proc Nutr Soc. 2011 Nov; 70(4):408-17). Gli Autori hanno voluto ribadire che la dieta ricca di grassi induce, di certo, all’obesità e che, associandosi con uno stato cronico d’infiammazione di basso grado, predispone all’insulino-resistenza (IR), causa a sua volte di diabete di tipo 2. I macrofagi rappresentano una popolazione eterogenea di cellule finalizzate a dare inizio alla risposta immunitaria innata. Le evidenze anche recenti hanno, peraltro, dimostrato la loro mediazione chiave nell’IR indotta dall’obesità con una loro progressiva infiltrazione nel tessuto adiposo. Essi divengono, così, macrofagi classicamente attivati (M1) con proprietà di rilascio di citochine come l’IL-1β, l’IL-6 e il TNFα. Producono in tal modo un ambiente proinfiammatorio che blocca l’azione dell'insulina sugli adipociti e che contribuisce allo sviluppo dell’IR e, quindi, del diabete mellito tipo 2. Nei soggetti magri, invece, i macrofagi sono in uno stato alternativo di attivazione (M2). In tal caso sono coinvolti nella guarigione delle ferite giocando un ruolo importante nella riparazione dei tessuti e nell'omeostasi. Nell’immunoregolazione producono, peraltro, citochine immunoregolatore come l’IL-10, che possono proteggere contro l'infiammazione. Nel tessuto adiposo recentemente è stato anche caratterizzato il ruolo funzionale dell’accumulo delle cellule T. In effetti, le cellule T citotossiche sono effettrici delle T e sono state implicate nel differenziamento, nell’attivazione e nella migrazione dei macrofagi. La loro infiltrazione nel tessuto adiposo dell’obeso dovrebbe, quindi, precedere l'accumulo dei macrofagi. Difatti, le citochine derivate dalle cellule T, come l'interferone γ, promuovono il reclutamento e l’attivazione dei macrofagi M1 amplificando l’infiammazione del tessuto adiposo e l’IR. Variando l’attività e l’accumulo dei macrofagi / cellule T del tessuto adiposo in vivo, attraverso la correzione della dieta di grassi, si può attenuare il tenore dell'infiammazione del tessuto adiposo. Questo risultato deve, difatti, rappresentare un obiettivo terapeutico prioritario per migliorare l’IR indotta dall’obesità.
Esther Titos dell’August Pi i Sunyer Biomedical Research Institute of Barcelona e collaboratori, avendo già precedentemente dimostrato il miglioramento ottenuto con gli acidi grassi ω-3-polinsaturi sull’infiammazione del tessuto adiposo e sull'insulino-resistenza indotte dall'obesità, hanno voluto segnalare (J Immunol. 2011 Nov 15;187 (10):5408-18) i recenti meccanismi alla base delle azioni degli stessi nutrienti sugli adipociti e sulle SVC (stromal vascular cells). Il tessuto adiposo infiammato dei topi obesi sottoposti a dieta ad alto contenuto di grassi, mostrava, difatti, un aumento dei macrofagi F4/80 e CD11b e livelli elevati di IL-6 e MCP-1. L’acido docosaesaenoico (DHA; 4 mg / g) non modificava, peraltro, il numero totale dei macrofagi, ma riduceva significativamente la percentuale delle cellule a espressione di alta CD11b/alta F4/80-, in parallelo con l'emergere dei macrofagi esprimenti la bassa CD11b/F4/80 nel tessuto adiposo. Questo effetto era associato con la sottoregolazione delle adipochine proinfiammatorie in parallelo con l’aumentata espressione dell’IL-10, del CD206, dell’arginasi 1, della RELM-α (resistin-like molecule α) e della proteina chitinase-3 like, indicando un commutatore verso un fenotipo dei macrofagi M2. Questo spostamento era limitato alla frazione delle SVC, in cui la secrezione delle citochine Th1 (IL-6, MCP-1 e TNF-α) era bloccata dal DHA. In particolare, il D1 resolvin attenuava marcatamente l’IFN-γ/LPS, inducente le citochine dei Th1, mentre sopraregolava l’espressione dell’arginasi 1 in un modo dipendente dalla concentrazione. Il D1 resolvin stimolava anche nei macrofagi delle SVC dell’adipe la fagocitosi non flogistica, aumentandone sia il numero con corpuscoli ingeriti sia la quantità di particelle fagocitate, ma anche riducendo la produzione delle specie reattive dell’ossigeno. D’altra parte, non si osservava nessun cambiamento nella zona degli adipociti e della fosforilazione della lipasi ormone-sensibile, un enzima limitante il tasso della lipolisi degli adipociti.
È bene ricordare che la famiglia dei resolvin, tra cui la serie D e l’E, comprende mediatori lipidici endogeni generati dagli acidi grassi polinsaturi omega-3, acido docosaesaenoico (DHA) e acido eicosapentaenoico (EPA). Durante la fase di risoluzione dell’infiammazione acuta i resolvin esercitano potenti azioni anti-infiammatorie e di prorisoluzione in diversi modelli animali. Dati recenti dimostrano, inoltre, che il resolvin E1 e D1 possono attenuare potentemente ogni dolore infiammatorio e postoperatorio.
Questi risultati, in effetti, dimostrerebbero, a giudizio degli Autori, nuovi meccanismi attraverso i quali il D1 resolvin e il suo precursore DHA siano in grado di conferire azioni antiinfiammatorie e proresolving nel tessuto adiposo infiammato.
Serhan CN dell’Harvard Institutes of Medicine, Boston – USA e collaboratori hanno tratto spunto per il loro lavoro (FASEB J. 2012 Apr;26(4):1755-65) dalla scoperta abbastanza recente della nuova famiglia dei potenti mediatori antinfiammatori e di risoluzione spontanea degli essudati e anche dei mediatori lipidici della metabolomica biosintetizzati dai MΦs (macrophages). Gli Autori hanno, così, stabilito che la MAR1 (maresin 1), prodotta dai MΦs umani dal DHA endogeno (docosahexaenoic acid), si potesse abbinare con il sintetico 7R, il 14S-dihydroxydocosa-4Z, l’8E, il 10E, il 12Z, il 16Z, l’acido 19Z-hexaenoic. Il gruppo alcolico della MAR1 e la geometria Z / e di doppi legami coniugati sono stati abbinati utilizzando isomeri preparati per la totale sintesi organica. L’indicazione di potenza delle azioni della MAR1 era confermata con il MAR1 sintetico, cioè, limitando l’infiltrazione dei PMN (polymorphonuclear neutrophil) nella peritonite murina (ng/mouse range), nonché migliorando la captazione dei macrofagi umani dei PMN apoptotici. Al valore di un nM la MAR1 era leggermente più potente del D1 resolvin nella stimolazione dell’efferocitosi dei MΦ umani, azione non condivisa dal leucotriene B (4). La MAR1 accelerava anche la rigenerazione chirurgica nella planaria, aumentando il tasso di ricomparsa del capo. Sulla lesione della planaria si poteva biosintetizzare la MAR1 dal deuterium-labeled (d(5))-DHA, bloccata con l’inibitore della lipossigenasi (LOX). La MAR1 inibiva, in modo dose-dipendente, il TRPV1 (transient receptor potential vanilloid 1) nei neuroni, bloccava le correnti indotte dalla capsaicina (100 nM) verso l'interno (IC (50) 0,49 ± 0,02 nM) e riduceva nei topi sia l'infiammazione sia il dolore neuropatico indotto dalla chemioterapia.
In conclusione, secondo gli Autori, i loro risultati dimostravano le potenti azioni della MAR1 nella regolazione della risoluzione dell’infiammazione, della rigenerazione dei tessuti e della risoluzione del dolore. Si poteva, pertanto, suggerire che i segnali chimici erano condivisi nei percorsi di risoluzione cellulare, per un processo chiave della rigenerazione tissutale. Inoltre, i decisivi fattori della risposta immunitaria innata, come la MAR1, offrirebbero nuove opportunità per la valutazione dei MΦs e della metabolomica del DHA locale per il ritorno all’omeostasi tissutale.
Morris DL dell’University of Michigan Medical School e collaboratori hanno di recente fornito un aggiornamento dello stato attuale delle conoscenze in materia della diversità fenotipica e funzionale degli ATM (adipose tissue macrophages) nei topi magri e obesi e negli esseri umani, proprio in considerazione delle loro proprietà proinfiammatorie che contribuiscono nel determinismo delle comorbilità associate all'obesità (PLoS One. 2012;7(10):e48155). La diversità fenotipica degli ATM è, peraltro, ormai nota e più ampia di quella che riguarda il semplice processo di conversione per effetto dell’obesità da M2 a M1. Le funzioni potenziali degli ATM includono la regolazione della fibrosi e la risposta alla lipolisi acuta negli stati di restrizione calorica. Peraltro, sono stati identificati nuovi percorsi di possibile potenziamento della loro azione, che includono l'attivazione dell’inflammasoma e la risposta al tessuto adiposo lipodistrofico. Ulteriori studi stanno fornendo una nuova valutazione sulla capacità degli ATM di rispondere dinamicamente al microambiente del tessuto adiposo.
In conclusione, secondo gli Autori, gli ATM svolgerebbero un ruolo fondamentale nel plasmare l'ambiente infiammatorio all'interno del tessuto adiposo ed è ormai evidente la loro eterogeneità nello stesso microambiente tanto da doversi aspettare a breve una loro nuova nomenclatura in sottotipi che tenga conto della loro diversità.
Di seguito, lo stesso Alvehus M dell’Umeå University Hospital - Sweden e collaboratori, sulla base dell’accumulo di grasso che caratterizza la transizione della menopausa, tra cui la ridistribuzione dalla periferica ai depositi centrali, in virtù del consequenziale aumento del rischio di diabete di tipo 2 e delle malattie cardiovascolari dovute al basso grado d’infiammazione, hanno voluto verificare la presenza dei più elevati livelli dei marcatori infiammatori nelle donne in questo loro periodo di vita. Hanno anche voluto appurare se questi indicatori si riducessero con la perdita stabile del peso corporeo nelle donne obese (Clinical Endocrinology nov. 2012, 77(5):684-690). Gli Autori hanno, così, raccolto i dati antropometrici, i campioni di sangue e le biopsie del tessuto adiposo sottocutaneo dalle donne di peso normale in premenopausa, in postmenopausa e con obesità prima e dopo i due anni dal bypass gastrico (GBP), analizzando i livelli delle proteine nel siero e l’espressione genica dei marcatori infiammatori nel tessuto adiposo. L’espressione dell’IL-8 nel tessuto adiposo e i suoi livelli circolanti erano più alti nelle donne in postmenopausa vs quelle in premenopausa. Lo stesso dato si associava con la circonferenza della vita, indipendentemente dallo stato menopausale. L’espressione dell’IL-6 e i livelli sierici della MCP-1 (monocyte chemoattractant protein-1) erano più alti nelle donne in postmenopausa vs quelle in premenopausa. Due anni dopo l'intervento di GBP, l’espressione adiposa dell’IL-8, del TNF-α e del MCP-1 era diminuita significativamente. Peraltro, i livelli d’insulina nel siero mostravano un’associazione con l’espressione genica legata all'infiammazione prima del GBP, non più presente dopo l'intervento chirurgico.
In conclusione, le donne in post-menopausa, secondo lo studio degli Autori, avevano una maggiore risposta infiammatoria nel grasso sottocutaneo e nel sangue. I marker infiammatori nel tessuto adiposo erano, peraltro, diminuiti in modo significativo dopo la perdita di peso indotta dall'intervento chirurgico.
Finucane OM del St. James Hospital, Dublin Ireland e collaboratori hanno pubblicato una revisione sul ruolo funzionale dei macrofagi nei riguardi dell’IR (insulin resistance), indotta dall’obesità, sottolineando l'importanza della MIF (migration inhibitory factor) come unica citochina infiammatoria nella diffusione dell’infiammazione e dell’IR, indotte dall'obesità (Proc Nutr Soc. 2012 Nov;71(4):622-33). In effetti, nell’obesità si stabilisce uno stato d’infiammazione cronica di basso grado, di progressiva infiltrazione delle cellule del sistema immunitario, in particolare ATM (macrofagi del tessuto adiposo), caratterizzati da ampia plasticità e nelle fasi iniziali della malattia da una tendenza dei macrofagi M2 anti-infiammatori ad acquisire il fenotipo pro-infiammatorio degli M1. Le citochine proinfiammatorie, tra cui il TNF-α, l’IL-6 e l’IL-1β. prodotte dagli ATM M1, intensificano l'infiammazione locale promuovendo l’IR, che, a sua volta, può portare al diabete di tipo 2 (T2DM). Tuttavia, i trigger responsabili del reclutamento e dell'attivazione degli ATM non sono ancora del tutto compresi. Le chemochine derivate dal tessuto adiposo rivestono, peraltro, il ruolo di attori importanti nel guidare il reclutamento nell’obesità degli ATM. Il MIF, chemochina regolatrice dell’infiammazione, aumenta durante l'obesità ed è direttamente associata al grado dell’IR periferica. Date le sue proprietà chemiotattiche, il MIF può essere un candidato primario durante l'obesità per la promozione del reclutamento degli ATM. Difatti, manipolando opportunamente l’attività del MIF nell'obesità, utilizzando agenti farmacologici o alimenti funzionali, si potrebbero ottenere benefici terapeutici nella prevenzione e nel trattamento delle malattie metaboliche correlate.
Barbarroja N della Fundación IMABIS, Málaga – Spain e collaboratori hanno studiato le differenze di segnalazione insulinica e dei percorsi dell’infiammazione nel sangue e nel tessuto adiposo viscerale (VAT) di venti donatori sani magri e di quaranta obesi patologici (MO), classificati per grado d’insulino-resistenza elevata (alta IR) e stato del diabete (PLoS One. 2012;7(10):e48155). Gli Autori hanno, così, esaminato i cambiamenti dei marcatori proinfiammatori e del contenuto lipidico del siero, dell’infiltrazione dei macrofagi, dell’espressione del mRNA delle citochine infiammatorie e dei fattori di trascrizione, dell’attivazione delle chinasi coinvolte nel processo infiammatorio e dell'espressione delle molecole d’insulina di segnalazione a livello del VAT. Il confronto del VAT di questi gruppi sperimentali rivelava che i soggetti MO diabetici di tipo 2 presentavano lo stesso profilo proinfiammatorio dei pazienti MO ad alta IR. Si documentavano, difatti, elevati livelli di IL-1β, IL-6, TNF, JNK1 / 2, ERK1 / 2, STAT3 e NFκB.
Gli Autori affermavano, così, che il loro lavoro avrebbe escluso l'ipotesi di un aumento dell'infiammazione nei soggetti obesi con diabete di tipo 2, rispetto a quelli con alta IR. Questi risultati indicavano, in effetti, come alcuni meccanismi differenti da quelli dell’infiammazione sistemica e del VAT dovessero essere coinvolti nell’obesità per lo sviluppo del diabete di tipo 2.