La bassa Vit “D” può favorire l’obesità dell’adulto
Le condizioni dell’obesità e dell’insufficienza di vitamina “D” presentano singolarmente un’alta prevalenza in tutto il mondo e, tra l’altro, si riscontrano spesso in associazione. In effetti, l’evidenza relativa dell’eccesso del grasso corporeo correlato al basso stato di vitamina è stata segnalata solo in pochissimi studi epidemiologici e prospettici. La vitamina, peraltro, tendendo per le sue caratteristiche idrofobiche a depositarsi nel grasso, risulta presente a bassi livelli nel siero degli obesi, anche in condizioni di adeguato stoccaggio corporeo totale. D’altro canto, anche i bassi livelli di vitamina potrebbero aumentare il rischio dell’obesità. Difatti, negli studi sperimentali la vitamina avrebbe dimostrato di modulare l'attività catabolica e anabolica degli adipociti.
Kendra A. Young dell’University of Colorado Denver e collaboratori hanno
esaminato la relazione tra i livelli di 25 [OH] D e 1,25 [OH] 2D con le misure di adiposità in ispanici e afro-americani al basale e nel corso del tempo. L’IRAS (Insulin Resistance Atherosclerosis Family Study) riguardava lo studio di 917 ispanici e 439 afro-americani al basale e in 1.0815 al follow-up, 5.3 anni più tardi (The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism September 1, 2009 vol. 94 no. 9 3306-3313). La 25 [OH] D in nanogrammi per millilitro e la 1,25 [OH] 2D in picogrammi per millilitro, il tessuto adiposo addominale sottocutaneo (SAT), quello viscerale (VAT), entrambi determinati dalla tomografia computerizzata, e l'indice di massa corporea (BMI) erano misurati sia al basale sia al follow-up. La 25 [OH] D risultava inversamente associata in entrambe le popolazioni al basale con la BMI, il VAT e il SAT (p <0.001). Era, invece, solo marginalmente associata inversamente con il rapporto tra grasso viscerale di base e quello sottocutaneo negli afro-americani (P = 0.049), ma non negli ispanici. La 1,25 [OH] 2D risultava, inoltre, inversamente associata con la BMI (p <0,0001, p = 0.002) e il VAT (P = 0,0005, P = 0,012) rispettivamente negli ispanici e afro-americani, mentre la 1,25 [OH] 2D era inversamente associata con il SAT negli ispanici (P <0.0001) e con il rapporto tra grasso viscerale su quello sottocutaneo negli afro-americani (p = 0.02). L’aggiustamento per la 25 [OH] D attenuava queste associazioni. La 1,25 [OH] 2D rimaneva associata la BMI in entrambe le popolazioni (P <0,05) e con il SAT (P = 0.004) negli ispanici. Inoltre, non si rilevava nessuna associazione significativa a cinque anni di cambiamento dell’adiposità con la 25 [OH] D o con la 1,25 [OH] 2D. In conclusione, i livelli di vitamina “D” erano inversamente associati con la BMI al basale, il SAT e il VAT negli ispanici e negli afro-americani, ma a cinque anni non si associavano ad alcun cambiamento dell’adiposità.
Diane Gilbert-Diamond dell’Harvard University, Boston e collaboratori hanno voluto studiare l'associazione tra vitamina “D” e le variazioni dell’indice di massa corporea (BMI), del rapporto dello spessore della plica cutanea, della circonferenza vita e dell’altezza in 479 studenti dai cinque ai dodici anni d’età, classificati e randomizzati in ragione dei livelli sierici di vitamina “D”: carenti [25 (OH) D <50 nmol / L], insufficienti [25 (OH) D ≥ 50 e <75 nmol / L], o sufficienti [25 (OH) D concentrazioni ≥ 75 nmol / L]. Hanno anche quantificato la [25 (OH) D] nei campioni di base di un gruppo scelto a caso le variabili antropometriche di ogni anno per una media di trenta mesi e stimato la variazione media di ciascun indicatore in base allo stato basale della vitamina, utilizzando modelli misti multivariati di regressione lineare. I bambini carenti dimostravano una variazione della BMI maggiore di 0.1 / anno, rispetto a quelli sufficienti (P = 0.05). Allo stesso modo, avevano uno 0,03 / anno (IC 95%: 0,01, 0,05 a / a) di maggiore variazione del rapporto di spessore plicare sottoscapolare/tricipite e una variazione di 0,8 cm / anno di maggiore circonferenza vita (IC 95%: 0,1, 1,6 centimetri / a). La carenza di vitamina “D” riguardava un rallentamento della crescita lineare nelle ragazze (-0,6 cm / y, P = 0.04), ma non nei maschi (0,3 cm / anno, p = 0.34), senza che si realizzasse un’interazione statisticamente significativa con il sesso. In conclusione, la vitamina “D” risultava inversamente associata allo sviluppo di adiposità nei bambini di età scolare (Am J Clin Nutr December 2010 vol. 92 no. 6 1446-1451).
Xiao-Mei Mai della Norwegian University of Science e collaboratori hanno esaminato i livelli sierici basali di 25 (OH) D) sulla prevalenza dell’obesità in Norvegia (Am J Epidemiol. 2012;175(10):1029-1036). Hanno, così, arruolato una coorte di 25.616 adulti di età dai diciannove ai cinquantacinque anni nel secondo (1995-1997) e terzo (2006-2008) studio HUNT (Nord-Trøndelag Health Study).
Hanno, quindi, determinato i livelli sierici di 25 (OH) D e le misure antropometriche a livello basale e durante il follow-up in un campione casuale di 2.460 soggetti. Nel complesso il 40% di questi ultimi soggetti dimostrava una 25 (OH) D inferiore ai 50,0 nmol / L e il 37% dai 50,0 ai 74,9 nmol / L. L'incidenza cumulativa di prevalenza dell'obesità, definita come indice di massa corporea ≥ 30, era 12 e 15% rispettivamente. I bassi livelli sierici di 25 (OH) D si associavano a una più alta prevalenza dell’obesità. Nei 2.165 soggetti con BMI basale inferiore a trenta, una 25 (OH) D inferiore ai 50,0 nmol / L si associava a un aumento significativo del rapporto di probabilità per l'obesità durante il follow-up (odds ratio aggiustato = 1.73, di confidenza al 95% intervallo: 1.24, 2.41). L’adozione della misura della circonferenza della vita (≥ 88 cm per le donne, ≥ 102 cm per gli uomini) per la classificazione dell’obesità riportava risultati simili. Peraltro, una 25 (OH) D sierica inferiore ai 50,0 nmol / L si associava significativamente anche con una nuova insorgenza di obesità negli adulti.
Tenuto conto di questi risultati, gli Autori hanno voluto anche considerare che la supplementazione di vitamina “D” per il controllo del peso aveva dimostrato aspetti contrastanti.
A tal proposito, infatti, Hsia J della George Washington University e collaboratori nell’ampio studio Women’s Health Initiative Investigators avevano esaminato i dati di quaranta centri clinici relativi a 36.282 donne in postmenopausa dai cinquanta ai settantanove anni di età trattate con 500 mg di carbonato di calcio e 200 UI di vitamina “D” due volte il giorno, verso il placebo (Circulation. 2007;115(7):846–854). Durante i sette anni di follow-up gli Autori avevano confermato per 499 donne del gruppo del calcio / vitamina D e per 475 del placebo l’infarto miocardico o la morte per malattia coronarica (hazard ratio, 1,04; intervallo di confidenza 95%, 0,92-1,18). L’ictus era stato confermato in 362 donne del gruppo del calcio / vitamina D e in 377 assegnate del placebo (hazard ratio, 0,95; intervallo di confidenza 95%, 0,82-1,10). Nelle analisi dei sottogruppi le donne con più alta assunzione di calcio totale (dieta più supplementi) al basale non erano state a più alto rischio di eventi coronarici (p = 0.91 per interazione) o ictus (p = 0.14 per interazione) se assegnate al gruppo di calcio attivo / vitamina D. Peraltro, gli Autori avevano registrato anche un aumento di peso in entrambi i gruppi di trattamento durante i due anni dopo la randomizzazione (1,4 ± 10,5% vs 1,7 ± 12,0%), così pure della circonferenza della vita (1,5 ± 7,6% vs 1,8 ± 8,4%). Pur tuttavia, queste variazioni erano state più modeste nel gruppo attivo di calcio / vitamina D (p = 0.03 per entrambi). In conclusione, il supplemento calcio / vitamina D né aumentava o diminuiva il rischio coronarico o cerebrovascolare nelle donne in postmenopausa sane nel periodo di sette anni e aveva un piccolo effetto sull’aumento di peso e sulla misura della circonferenza vita.
Invece, lo studio clinico randomizzato di Sneve M dell’University Hospital of North Norway non aveva mostrato un significativo effetto sulla perdita di peso in 334 persone sane in sovrappeso o obese dopo dodici mesi di supplementazione di vitamina “D” con 20.000 UI o 40.000 UI di colecalciferolo per settimana, verso il placebo (Eur J Endocrinol December 1, 2008 159 675-6849.
Anche nel loro studio Holecki M della Medical University of Silesia Katowice, Poland e collaboratori dimostravano di non essere riusciti a ridurre il peso in donne obese con la supplementazione di vitamina “D” e calcio, rispetto al placebo, nel corso di tre mesi di dieta ipocalorica (Obes Facts. 2008;1(5):274–279). Le quaranta donne obese arruolate erano state divise in due gruppi comparabili per indice di massa corporea (BMI) ed età. Nel primo gruppo era stato fornito carbonato di calcio e 1 - (OH)-vitamina D, nel secondo solo dieta.
Al contrario, Ortega RM dell’Universidad Complutense, Madrid e collaboratori avevano ottenuto una risposta positiva in donne in sovrappeso o obese con un migliore livello di vitamina “D” (Br J Nutr. 2008;100(2):269–272).
In particolare, la perdita di peso era stata analizzata in sessanta donne in sovrappeso / obese in età fertile dai venti ai trentacinque anni in base al loro stato iniziale vitaminico. I soggetti erano stati assegnati in modo random a due tipi di diete leggermente ipocaloriche: quella V con aumento di verdure e quella C con aumento relativo di cereali. L’intervento dietetico dopo due settimane aveva portato in tutti i gruppi a una riduzione dell’assunzione di energia, del peso corporeo e della BMI. Le donne con i livelli di 25(OH)D uguali o maggiori a 50 nmol/l avevano dimostrato una perdita maggiore di grasso rispetto a quelle con valori inferiori a 50 nmol/l [1,7 (DS 1,8) kg rispetto a 0,5 (DS 0,8) kg]. Pertanto, il migliore livello vitaminico avrebbe favorito la perdita di grasso corporeo nel corso del periodo sperimentale (OR 0,462, IC 0,271, 0,785, p <0,001). Pur tuttavia, nell’analisi separata dei gruppi alimentari questo effetto si era prodotto solo nei soggetti C (OR 0,300, IC 0,121, 0,748, p <0,001). In conclusione, questi risultati avevano suggerito agli Autori che le donne con un migliore livello vitaminico avrebbero potuto rispondere più positivamente alle diete ipocaloriche e, quindi, perdere più grasso corporeo.
Nel loro insieme, la vitamina “D”, da sola o con la supplementazione di calcio, avrebbe evidenziato un effetto sulla limitazione dell'aumento di peso nella popolazione generale, ma con minor tenore negli obesi.