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notiziario Ottobre 2012 N°9 - COMPLESSITÀ DELL’OBESITÀ - Le cause e la fisiopatologia dell’aumento di peso corporeo

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Indice
notiziario Ottobre 2012 N°9 - COMPLESSITÀ DELL’OBESITÀ
Definizione e stadi dell’obesità
Le cause e la fisiopatologia dell’aumento di peso corporeo
Influenza genitoriale sull’IMC (Indice di Massa Corporea) della prole
Obesità e bevande zuccherate
Il rischio genetico dell’obesità delle bevande zuccherate
Vivere vicino ai fast food influenza l’aumento del peso corporeo?
Alcuni dati su nutrienti e salute
Proteine della dieta e grasso addominale
La bassa Vit “D” può favorire l’obesità dell’adulto
L’epidemia dell’obesità in Italia e nel mondo
L’obesity day
Tutte le pagine

Le cause e la fisiopatologia dell’aumento di peso corporeo

L'obesità è, di certo, causata e incentivata da una costellazione di fattori tra cui in via preliminare: la predisposizione genetica, un ambiente favorevole all’aumento di peso, gli stress psicologici e uno stato socioeconomico basso, l’apporto eccessivo di energia con gli alimenti, l’inefficienza della produzione di energia per lo scarso esercizio fisico, il basso tasso metabolico a riposo o RMR [Resting Metabolic Rate], un basso tasso di ossidazione dei grassi, una bassa attività simpatica, i bassi livelli plasmatici di leptina. Peraltro, nella maggior parte dei paesi occidentali la disponibilità smisurata di cibi appetibili si è dimostrata il fattore ambientale più lampante per favorire l'obesità. I geni, poi, che nel tempo in condizioni di scarsità di cibo si sono selezionati nel promuovere l'assunzione rapida di energia attraverso gli zuccheri e i grassi, hanno fornito nella società moderna il loro indiscutibile apporto di responsabilità.
Particolare attenzione e interesse ha ottenuto la teoria genetica del risparmio, dettata nel 1962 da James Neel dell’University of Michigan Medical School (Am. J. Hum. Genet. 1962, 14 (4): 353–62). La sua ipotesi del thrifty gene, rivista poi nel 1998, considera i geni parsimoniosi che offrirebbero in condizioni occasionali di abbondanza di cibo una maggiore efficienza alimentare con riserva dei grassi e un aumento rapido del peso. In tal modo, i nostri lontani antenati potevano superare i periodi di carestia. Peraltro, gli aumenti d’insulina e di leptina avrebbero preso parte per il risultato di questa condizione. Pur tuttavia, con il benessere raggiunto oggi giorno, con l’ampia disponibilità di cibo, con la riduzione dell’attività fisica per l’adozione di sistemi meccanizzati e addirittura di robot che lavorano per noi seduti in poltrona, tutto ciò mal si adatta al mantenimento della nostra salute. Infatti, nella preistoria l'uomo era esposto a periodi occasionali di abbondanza di cibo, seguiti da lunghi episodi di carestia. Così che, solo chi riusciva a immagazzinare le più possibili scorte nutrizionali, riducendo anche al minimo il dispendio energetico, sopravvivevano. Tale adattamento genetico, iniziato 25.000 anni fa e che configurava in modo avvincente i contenuti della favola di Esopo della cicala e della formica, avrebbe permesso la selezione naturale di sopravvivenza solo negli individui con geni thrifty. Pertanto, se un tempo questa proprietà genetica otteneva successo per il superamento delle carestie, nei tempi moderni si rivela determinante per lo sviluppo dell’obesità, del diabete, della sindrome metabolica e delle complicazioni connesse. In particolare, essendo invariato il patrimonio genetico, l’aumento drammatico da più di cinquanta anni o meno dell’obesità deve essere correlato principalmente ai cambiamenti dello stile di vita.  La conferma di questa ipotesi, peraltro, è derivata dallo studio di alcune popolazioni primitive che hanno variato la loro sede atavica di esistenza, abbandonando i loro originali stili di vita. Sono popolazioni in cui oggi si rilevano alcuni dei più drammatici aumenti delle malattie del benessere. Gli indigeni Nauru e Pima, che condividono un’alta incidenza di obesità e di diabete tipo 2, offrono una chiara esemplificazione nei meriti. In particolare, gli abitanti dell’isola di Nauru dell'arcipelago polinesiano originariamente seguivano uno stile di vita tradizionale basato sull’agricoltura e sulla pesca. Hanno affrontato anche frequenti periodi di carestia per la siccità. Di poi nel precedente secolo, la storia di questa popolazione ha subito alterne variazioni di stile di vita in rapporto al contingente arricchimento a seguito della scoperta nel 1906 delle miniere di fosfato, ottimo fertilizzante, e alle privazioni durante l’occupazione giapponese della seconda guerra mondiale. Alla fine di questa sventura gli abitanti dell'isola divenivano stabilmente benestanti. Tale dato ha determinato un aumento marcato del consumo pro-capite delle sostanze altamente energetiche e ha proposto uno stile di vita sedentario. Nell'isola dopo il 1954 l’obesità e il diabete tipo 2, prima quasi totalmente sconosciuti, si sono diffusi in maniera epidemica anche nei giovani, diventando la prima causa di morte non accidentale. La stessa condizione si è verificata negli indiani Pima che dai luoghi originari del Messico si sono spostati e stabiliti negli USA. Peraltro, tale fenomeno si dimostra anche in quanti si spostano dall’ambiente duro rurale a quello comodo delle città.
L’urbanizzazione, infatti, riduce in molte parti del mondo la spesa quotidiana di energia di almeno 300-400 kcal/die. Andare al lavoro in auto, ma anche in autobus o in bicicletta, può determinare un'altra variante di almeno 200 kcal/die. Peraltro, la meccanizzazione e i cambiamenti di vita legati all’elettronica e all’informatica possono comportare un risparmio energetico sino a 400-800 kcal/die. Il risultato di aumento di peso risulta, quindi, inevitabile. Difatti, a questi regimi di riduzione della spesa energetica, l'assunzione di cibo dovrebbe essere notevolmente ridotta.
Pur tuttavia, ai fini di una prevenzione e cura dell’obesità risulta importante la comprensione dei fattori che determinano il consumo del cibo. In effetti, mangiare è indispensabile per ottenere dall’ambiente i nutrienti indispensabili all’organismo per la vita e le sue funzioni, ma è anche un atto che induce intense sensazioni di piacere. In studi comparativi sono state individuate aree cerebrali sottocorticali preposte a tali funzioni, come l’amigdala, l’ipotalamo, striato, ma anche centri fronto-corticali. Tali zone svolgono, in effetti, un ruolo fondamentale nel guidare i comportamenti di assunzione degli alimenti e della loro palatilità. A tale proposito, gli studi d’imaging funzionale nell'uomo hanno dimostrato che anche le sole immagini e gli odori dei prodotti alimentari determinano l’attivazione di questi centri nervosi. Sono, infatti, i cibi gradevoli al palato quelli che suscitano un forte potere motivazionale. Solo la vista e l'odore di un cibo preferito, come un piatto molto gustoso di carne o allettante come un dolce, possono suscitare un forte bisogno del mangiare secondo un probabile equilibrio di circuiti opposti che suscitano la fame e la sazietà. L'obesità, secondo i più recenti studi d’imaging, trarrebbe, quindi con grandi differenze individuali, origine e continuità dallo squilibrio di questi sistemi. L’obesità, in effetti, potrebbe essere assimilata all’abuso di droghe e, perciò, definita come dipendenza dal cibo. A tale proposito, è interessante rilevare che la PET ha potuto dimostrare nell’obesità meccanismi dopaminergici in comune con i casi di abuso delle droghe. Sarebbero comuni, difatti, percorsi dopaminergici nel mesencefalo, che modulano il consumo sia di cibo sia di droga, soprattutto promuovendo sensazioni di loro impellente desiderio con aumento degli effetti sulla dopamina delle regioni limbiche. Analogamente alle droghe, pertanto, il mangiare determina il rilascio di dopamina nello striato dorsale nei soggetti sani, in quantità proporzionale alla percezione della gradevolezza degli alimenti. Peraltro, i tossicodipendenti dimostrano, dopo la somministrazione della droga, una densità basale tonicamente inferiore del D2R (D2 receptor) dello striato e uno smussato rilascio di dopamina. Analogamente gli obesi hanno anch’essi una minore densità di D2R striatale di base, direttamente proporzionale all’IMC.
Come prima accennato, tali presupposti rivestono la loro importanza per raggiungere l'obiettivo primario del trattamento, che, in effetti, si concentra nell’esercitare un bilancio energetico negativo sul sistema, riducendo l’ingresso di energia o aumentandone la produzione o entrambi. Un RMR basso, e che suole diminuire ancor più con l'avanzare dell'età per un dato corpo di massa, si propone come fattore di rischio per l’aumento del peso. Esso, come componente importante dell’equilibrio energetico, rappresenta, invero, il 60 – 75% del consumo energetico giornaliero. Vi sono oggi evidenze per cui un basso RMR può derivare da variazioni genetiche che coinvolgono l’attività simpatica, quella tiroidea, la sensibilità β3-recettoriale e l’attività Na+, K +-ATPasi (sodio, potassio, e adenosina trifosfatasi). Si è ipotizzato, quindi, un circuito di retroazione per la perdita di peso che possa spiegare perché generalmente i pazienti siano in grado di perdere solo dal 10 al 15% del loro peso corporeo. Poiché si perde peso limitando l’apporto energetico, le cellule adipose si restringerebbero riducendo l’espressione della leptina, un prodotto dello “ob gene”. Diminuendo i livelli di leptina, si riduce il tasso metabolico e aumenta l'appetito, impedendo, così, l’ulteriore perdita di peso. Anche i fattori ambientali influenzano il peso e diversi studi hanno proprio dimostrato una relazione inversa tra lo stato socio-economico e la malattia. Peraltro, lo stile di vita sedentario rappresenta chiaramente un fattore di rischio.
Come detto, i meccanismi che coinvolgono il comportamento alimentare, sia nella fisiologia sia nella patologia, sono strettamente collegati al metabolismo energetico e alla regolazione della termoregolazione con un circuito complesso di ormoni, neuro-peptidi, neuro-ormoni, entero-ormoni ed entero-peptidi, snodi cerebrali. La regolazione del peso corporeo è un meccanismo finemente regolato, in modo integrato, da numerose vie nervose, ormonali e metaboliche. In studi comparativi sono state individuate aree cerebrali sottocorticali preposte a tali funzioni, come l’amigdala, l’ipotalamo, lo striato, ma anche le fronto-corticali. Il nervo vago, che innerva il tubo digerente, invia segnali al midollo allungato del tronco con attività sensitivo viscerale insieme al nervo glosso-faringeo e al facciale. Quindi, gli stimoli passano nel tronco cerebrale, al ponte di Varolio e da qui all’ipotalamo con le sue varie sezioni anatomo-fisiologiche.
In condizioni di assunzione calorica superiore alla spesa energetica, l’organismo immagazzina l’eccesso sotto forma di grasso, ma sino a una soglia regolata necessariamente da sensori del tessuto adiposo che hanno la proprietà di rilevare l’entità dei depositi e di trasmettere poi l’informazione ai recettori ipotalamici che, come vero e proprio termostato denominato adipostato, conserva la memoria del peso massimo raggiunto sino ad almeno otto anni dal calo ponderale. A tale proposito, è bene notare che, per evitare il recupero ponderale dopo la perdita di peso, vi è la necessità di sradicare la memoria dell’adipostato ipotalamico. È, difatti, tale premessa che rende ragione del rischio del recupero ponderale concretamente presente per almeno cinque sino agli otto anni e, soprattutto, per i primi due anni che seguono il dimagrimento. Comunque, in caso di riduzione dei depositi di grasso, l’adipostato riceve segnali di bassa intensità, per cui l’ipotalamo promuove il senso di fame, riducendo anche il consumo energetico.  Invece, in caso contrario, si comporta in modo opposto. In tutto ciò partecipano attivamente diversi gruppi neuronali che interagiscono tra loro attraverso neurotrasmettitori e neuropeptidi con effetti inibitori e stimolatori, creando una rete complessa di segnali idonei a regolare l’equilibrio energetico. I neuroni peptidergici dell’ipotalamo rivestono un ruolo principale in questo sistema di controllo. In effetti, in quest’organo cerebrale la leptina, prodotta dal tessuto adiposo e che regola il senso di sazietà, controlla il circuito della melanocortina.  La leptina, dal greco λεπτός che vuol dire magro, è un ormone la cui concentrazione ematica è, di fatto, proporzionale alla massa grassa corporea. Essa supera la barriera emato-encefalica e si lega al suo recettore ipotalamico ObRb, attivando i segnali d’inibizione dell’assunzione alimentare e aumentano nello stesso tempo il dispendio energetico. D’altro canto, sono state individuate le proprietà di gruppi neuronali in grado di esprimere i neuropeptidi dell’appetito o oressizzanti, come il NPY (neuropeptide Y) e l’AgRP (Agouti Related Protein), e quelli anoressizzanti, come il CART (Cocaine and Amphetamine Related Transcript), il peptide α-MSH, derivato dal processo proteolitico delle proconvertasi PC1 e PC2, il gene POMC (Pro-opiomelanocortin). Numerosi sono gli studi in questo campo e numerose le scoperte sulle interrelazioni e gli effetti, come il caso dell’espressione dell’AgRP ridotta dalla leptina, mentre quello della POMC che ne è indotta. In particolare, il NPY si produce nel nucleo arcuato, aumenta da una parte l’assunzione di cibo e dall’altra riduce il consumo energetico. La leptina inibisce l’espressione del mRNA per il NPY.
Nell’uomo si è riscontrato che l’obesità severa si correla, ad esempio, con mutazioni nei geni POMC, PC1, PC2 e MC4R.
Peraltro, le informazioni sul bilancio energetico provengono al cervello anche dal tubo gastroenterico, sia per via neurogena sia endocrina. L’insulina, ad esempio, avrebbe a livello nervoso centrale effetti paralleli a quelli della leptina. Difatti, la sua somministrazione, o di dei suoi farmacomimetici, a livello centrale riduce l’assunzione del cibo e la massa corporea, mentre in caso di disfunzione dei suoi recettori ipotalamici si determina iperfagia e insulino-resistenza. Dal suo canto, la grelina, peptide prodotto dalle cellule P/D1 giacenti sul fondo dello stomaco umano e dalle cellule epsilon del pancreas e da piccole popolazioni di neuroni nel nucleo arcuato, vede aumentare i suoi livelli prima dei pasti, che si riducono circa un'ora dopo. È considerata complementare alla leptina e, stimolando l'ipofisi anteriore, determina anche la secrezione dell'ormone della crescita. Il termine, derivato dall’inglese Ghrelin, infatti, è composto da gh (growth hormone) e relin (rilascio). A suo carico sono state, quindi, dimostrate funzioni oressizzanti per cui l’iniezione intravenosa nell’uomo ha il potere di stimolare il senso della fame attraverso l’interazione con i neuroni dei nuclei arcuati dell’ipotalamo.
In definitiva, come in precedenza affermato, i centri nervosi, coinvolti nella gestione dei comportamenti di assunzione degli alimenti e della loro palatilità, coprono un ruolo importante nel determinismo dell’obesità. Difatti, anche le sole percezioni dei prodotti alimentari ne hanno dimostrata l’attivazione.
Ma anche il NPY (NeuropeptideY) e le melanocortine giocano un ruolo chiave nella regolazione del peso corporeo. Vi è sufficienza di prove, sia in animali da esperimento sia nell'uomo, che il sistema NPY iperattivo e quello della melanocortina inattivo portano all'obesità. Pertanto, questi neuropeptidi rappresentano la partenza allettante per lo sviluppo dei farmaci contro l’obesità.
Nummenmaa Lauri dell’Aalto University School of Science, Espoo, Finland e collaboratori hanno misurato l'assorbimento del glucosio cerebrale regionale in diciannove obesi e in sedici normali usando la PET (tomografia a emissione di positroni) con [18F] FDG (2-deossi-2-[18F]fluoro-D-glucosio) durante l'iperinsulinemia euglicemica e con la fMRI (risonanza magnetica funzionale) durante la ricompensa alimentare anticipata da presentazioni ripetute d’immagini di cibo appetitoso e banale (PLoS ONE, 2012 vol. 7, issue 2, p. e31089). Gli Autori hanno rilevato, in primo luogo, che il tasso di assorbimento del glucosio nel nucleo caudato dorsale era maggiore negli obesi rispetto ai normopeso. In secondo luogo, gli obesi, durante la visualizzazione di cibi appetitosi rispetto a quelli non gustosi, mostravano alla fMRI un aumento delle risposte emodinamiche nel nucleo caudato. Il caudato mostrava, nei soggetti obesi rispetto ai normopeso, anche un’elevata connettività funzionale con l’amigdala e l’insula. Infine, gli obesi nella corteccia dorsolaterale e orbitofrontale documentavano più deboli risposte dei normopeso ai cibi allettanti, rispetto a quelli non gustosi. Peraltro, la mancata attivazione della corteccia prefrontale dorsolaterale si correlava con il metabolismo del glucosio nel nucleo caudato dorsale. Questi risultati suggerivano agli Autori che la maggiore sensibilità negli obesi agli stimoli esterni alimentari potrebbe comportare anomalie di apprendimento dello stimolo-risposta. Potrebbe, così, incoraggiarsi la motivazione promossa dal nucleo caudato dorsale, dovuta a sua volta a un contributo eccessivamente alto dell'amigdala e dell’insula e a un disfunzionale controllo inibitorio da parte delle regioni corticali frontali. Questi cambiamenti funzionali nella risposta e l'interconnettività del circuito di ricompensa potrebbero costituire un meccanismo fondamentale per spiegare l'eccesso di cibo consumato dagli obesi.



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