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notiziario Maggio 2012 N°5 - EVIDENZE SUL DECLINO COGNITIVO II^ parte - Acidi grassi e declino cognitivo

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Indice
notiziario Maggio 2012 N°5 - EVIDENZE SUL DECLINO COGNITIVO II^ parte
Fattori di rischio e loro ruolo nella transizione verso il DCL (declino cognitivo lieve) e la demenza
Ruolo dell’ipertensione nelle transizioni da normale a demenza o a deterioramento cognitivo lieve
Sulla stima d’incidenza e prevalenza del decadimento cognitivo lieve
Modelli di stile di vita e rischio di demenza
Stile cognitivo e demenza
Nutrienti e funzione cognitiva
Acidi grassi e declino cognitivo
Grassi alimentari e aggressività
Nutrienti, funzione cognitiva e volume cerebrale
Biomarker predittivo del declino cognitivo lo spessore corticale alla MRI negli adulti normali
Tutte le pagine

Acidi grassi e declino cognitivo

L’ARCD (Age-related cognitive decline) condiziona un deterioramento in diversi ambiti, tra cui le prestazioni della memoria, la funzione esecutiva e la velocità di elaborazione cognitiva. Le sue cause sono ancora poco chiare e le evidenze tendono a collegarlo alle malattie cardiovascolari (MCV) e ai fattori di rischio, come il diabete mellito e l’ipertensione. Pochi sono i fattori di rischio modificabili ben stabiliti per l’ARCD, ma data la sua associazione con le MCV, plausibilmente essi dovrebbero includere, con i forti ruoli ben fissati per l'eziologia della malattia cardiovascolare, gli acidi grassi alimentari.
Peraltro, l’obesità, il diabete mellito di tipo 2, l’ipercolesterolemia, l’ipertensione e le malattie cardiovascolari sono, di certo, stabiliti fattori di rischio per l’invecchiamento patologico del cervello. Fattori che sono ormai riconosciuti collegati alla resistenza insulinica sottostante con inadeguatezza della sua capacità metabolica. Queste condizioni, d’altro canto,  aumentano notevolmente per effetto di un aumentato apporto calorico derivato dagli acidi grassi saturi e dai carboidrati semplici. Questo modello di dieta può, di certo, aumentare il rischio di compromissione cognitiva e della malattia di Alzheimer (MA), legato all’invecchiamento.  La letteratura scientifica in questo campo è divenuta fiorente, ma complessa. Pur tuttavia, diverse rassegne epidemiologiche, anche recenti, suggerirebbero che l’aumentata assunzione di grassi saturi rappresenta un rischio per il deficit cognitivo e la MA, mentre  la loro riduzione con una maggiore assunzione di grassi monoinsaturi e di polinsaturi otterrebbe un effetto protettivo.
Precedenti studi prospettici sull’assunzione di dieta con SFA (saturated fatty acid), con TFA (trans-unsaturated fatty acid) e con MUFA (mono-unsaturated fatty acid) hanno dimostrato associazioni variabili con il declino cognitivo, suggerendo, per la maggior parte, effetti deleteri per gli SFA e TFA. Pochi studi, e con non chiari riferimenti sugli effetti globali e degli elementi specifici sulla funzione cognitiva, hanno misurato, però, i singoli acidi grassi e il declino cognitivo nelle componenti della funzione cognitiva oltre lo standard del Mini-Mental State Examination.
Sulla base degli oramai consolidati rapporti, da una parte deleteri tra SFA e TFA e dall’altra vantaggiosi dei MUFA con le MCV è stato ipotizzato un comportamento simile anche nel declino cognitivo.
Bayer-Carter JL del Veterans Affairs Puget Sound Health Care System, Seattle, Washington e collaboratori hanno svolto uno studio controllato, randomizzato su quarantanove anziani, di cui 20 sani di età media [DS] di 69,3 [7,4] anni e su 29 adulti con aMCI di età media [DS] di 67,6 [6,8] anni (Arch Neurol. 2011;68(6):743-752). I partecipanti hanno ricevuto la dieta HIGH con il 45% di grassi, saturi più del 25%, con  il 35% -40% di carboidrati con indice glicemico maggiore di 70 e con il 15% -20% di proteine.  Il braccio LOW della dieta era composto dal 25% di grassi, saturi meno del 7%, dal 55% - 60% di carboidrati con indice glicemico minore di 55 e dal 15% -20% di proteine, per 4 settimane. Sono stati condotti test cognitivi, una prova orale di tolleranza al glucosio e la puntura lombare al basale e durante la quarta settimana della dieta. Le principali misure di outcome erano costituite dalle concentrazioni di β-amiloide nel CSF (A β 42 e A β 40), della proteina tau, dell’insulina, degli F2-isoprostani, dell’apolipoproteina E, dei lipidi plasmatici, dell’insulina e dalle misure di cognizione. Per il gruppo aMCI, la dieta LOW aumentava le concentrazioni dell’A β 42, in contrasto con il modello patologico tipicamente basso osservato nell’Alzheimer.

La stessa dieta aveva effetto opposto negli adulti sani, cioè una diminuzione dell’A β 42 CSF.  La dieta HIGH, invece, aumentava  l’A β 42 CSF. Per altro canto, la concentrazione di apolipoproteina E nel  CSF aumentava nella dieta LOW e diminuiva nella HIGH in entrambi i gruppi. Per il gruppo aMCI la concentrazione d’insulina aumentava con la dieta LOW, mentre per gli adulti sani nella HIGH si abbassava nel CSF. Peraltro, la HIGH aumentava e la LOW diminuiva le concentrazioni plasmatiche dei lipidi, dell’insulina e del F2-isoprostano CSF. La memoria visiva ritardata migliorava in entrambi i gruppi dopo il completamento delle 4 settimane di dieta LOW. Questi risultati suggerivano agli Autori che la dieta poteva essere un potente fattore ambientale come modulatore dello stato cognitivo con i suoi effetti di rischio sul sistema nervoso centrale riguardo le concentrazioni dell’A β 42, delle lipoproteine, dello stress ossidativo e dell’insulina.
Dal loro canto Asghar Z. Naqvi dell’Harvard Medical School, Boston e collaboratori, proprio per valutare in modo prospettico gli effetti di selezionati grassi alimentari sul declino cognitivo, hanno studiato in tre anni di follow-up 482 donne del WHI (Women's Health Initiative), di età dai sessanta anni e oltre, verso un gruppo di controllo (J Am Geriatr Soc. 2011 May; 59(5): 837–843).

La dieta era desunta da un questionario di frequenza alimentare validato (FFQ) per due volte (in media 2,7 anni di distanza), con prima base di valutazione cognitiva (in media 2,9 anni dopo la seconda FFQ) di cui è stata calcolata la media. Sono state eseguite due volte a tre anni di distanza le prove di memoria, di vista, di funzione esecutiva, della lingua e dell'attenzione.

L’assunzione media di grassi saturi (SFA), trans (TFA), monoinsaturi (MUFA) e colesterolo alimentare (DC) era rispettivamente: 18,53, 3,45, 0,201 e 19,39 g / die. Non c'erano associazioni tra il grado di declino cognitivo e l'assunzione di SFA (P = .69), TFA (P = 0,54) o DC (P = 0,64) dopo aggiustamento per la cognizione di base, l'assunzione di energia totale, età, istruzione, capacità di lettura, apolipoproteina E allele ε4, indice di massa corporea, estrogeni e beta-bloccanti e assunzione di acidi grassi, caffeina o altro.
Al contrario, l'assunzione dei MUFA si associava a un minore declino cognitivo nei modelli pienamente adeguati di regressione lineare per il declino medio (errore standard) di 0,21 (0,05) nella parte più bassa e 0,05 (0,05) nei più alti quartili (P = .02). Questo effetto dei MUFA era principalmente nei domini visivi e di memoria (P = 0,03 per entrambi). In conclusione, una maggiore assunzione di SFA, TFA, e la DC non era associata a declino cognitivo, mentre una maggiore presenza di MUFA negli alimenti si associava con un declino cognitivo minore.



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