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notiziario Maggio 2012 N°5 - EVIDENZE SUL DECLINO COGNITIVO II^ parte - Nutrienti e funzione cognitiva

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Indice
notiziario Maggio 2012 N°5 - EVIDENZE SUL DECLINO COGNITIVO II^ parte
Fattori di rischio e loro ruolo nella transizione verso il DCL (declino cognitivo lieve) e la demenza
Ruolo dell’ipertensione nelle transizioni da normale a demenza o a deterioramento cognitivo lieve
Sulla stima d’incidenza e prevalenza del decadimento cognitivo lieve
Modelli di stile di vita e rischio di demenza
Stile cognitivo e demenza
Nutrienti e funzione cognitiva
Acidi grassi e declino cognitivo
Grassi alimentari e aggressività
Nutrienti, funzione cognitiva e volume cerebrale
Biomarker predittivo del declino cognitivo lo spessore corticale alla MRI negli adulti normali
Tutte le pagine

Nutrienti e funzione cognitiva

Dieta ed esercizio fisico, da lungo tempo associati alle malattie cardiovascolari e al cancro, vengono da emergenti ricerche implicati anche nella protezione del cervello e per scongiurare i disturbi mentali. Dieta, attività fisica e sonno possiedono, difatti, il potenziale per modulare la salute del cervello e la funzione mentale.
Da qualche tempo, l'epidemiologia della malattia di Alzheimer (MA) suggerisce un ruolo preciso della nutrizione nei suoi riguardi. Ciò nonostante, gli studi sulla prevenzione della malattia di una singola o di un gruppo di sostanze nutritive, come quelli riguardanti la vitamine E, del gruppo B o all’acido docosaesaenoico, sono stati deludenti. A tal proposito, per la costruzione di modelli di dieta appropriati sono stati tradizionalmente utilizzati FFQ (Questionari di frequenza alimentare). Tale metodologia, però, anche se relativamente poco costosa e abbastanza completa, non tiene conto della variabilità dell’assorbimento dei nutrienti, né delle problematiche d’insieme dell’anziano. 
Dal loro canto Osendarp SJ, dell’UFHRI (Unilever Food and Health Research Institute) e collaboratori, sulla base delle scarse conoscenze sull'effetto combinato dei micronutrienti e degli acidi grassi essenziali sulla funzione cognitiva dei bambini in età scolare, hanno svolto uno studio nei meriti (Am J Clin Nutr. 2007 Oct;86(4):1082-93). Gli studiosi hanno arruolato un totale di 396 bambini di età dai sei ai dieci anni in Australia e 384 bambini in Indonesia, randomizzati a ricevere un drink con un mix di micronutrienti (ferro, zinco, acido folico e vitamine A, B-6, B-12, e C), di DHA (acido docosaesaenoico 88 mg / die, acido grasso omega-3 più abbondante nelle membrane delle cellule nel cervello) e di EPA (acido eicosapentaenoico 22 mg / die), o di entrambi oppure di placebo sei die / sett. per dodici mesi. Gli indicatori biochimici erano determinati al basale e a dodici mesi. La performance cognitiva era misurata al basale, a sei mesi e a dodici mesi. Il trattamento di micronutrienti nei bambini australiani e indonesiani migliorava significativamente le concentrazioni plasmatiche degli stessi. Il trattamento con EPA + DHA  aumentava i livelli plasmatici di DHA e il totale degli acidi grassi n-3 plasmaci in entrambi i paesi. In Australia il trattamento con micronutrienti portava ad un aumento significativo dei punteggi nei test di apprendimento verbale e che rappresentano la memoria (dimensione stimata dell'effetto: 0,23, 95% IC: 0,01, 0,46). Un effetto simile si osservava tra le ragazze indonesiane (dimensione stimata in vigore: 0,32, 95% IC: -0,01, 0,64). Nessun effetto si rilevava al test che misurava l'intelligenza generale o l’attenzione. Nessun effetto dell’EPA + DHA si osservava sui fattori dei test cognitivi. Lo studio, quindi, permetteva agli autori di concludere che nei bambini in età scolare e ben nutriti la fortificazione con micronutrienti multipli poteva tradursi in un miglioramento dell'apprendimento verbale e della memoria.
Peraltro, Fernando Gómez-Pinilla dell’UCLA University of California ha dichiarato che il cibo va considerato, in effetti, come un composto farmaceutico che incide sul cervello (Nature Reviews Neuroscience 9, 568-578 (July 2008). Come precedentemente riportato, dieta, attività fisica e sonno hanno, in effetti, il potenziale per alterare la salute cerebrale e la funzione mentale, sollevando l'eccitante possibilità di valide strategie di miglioramento delle capacità cognitive, contrastando e proteggendo, solo con i cambiamenti nella dieta, dai danni dei fattori dell'invecchiamento.
In definitiva, il cibo, classicamente considerato il mezzo per fornire energia e materiali di costruzione del corpo, negli ultimi anni ha incominciato a fornire la prova di poter influenzare specifici sistemi molecolari e i meccanismi che mantengono la funzione mentale. Una dieta ricca di acidi grassi omega-3, infatti, sta ottenendo oggi il riconoscimento di sostenere i processi cognitivi e di regolare i geni importanti per il mantenimento della funzione sinaptica e della plasticità nei roditori. Al contrario, la dieta ad alto contenuto di grassi saturi sta provando di ridurre i substrati molecolari dell'elaborazione cognitiva e di aumentare il rischio di disfunzione neurologica, sia nell’uomo sia negli animali.
Una ricca evidenza paleontologica suggerirebbe, peraltro, una relazione diretta tra l'accesso al cibo e le dimensioni del cervello, ma anche che piccole differenze nella dieta possono avere grandi effetti sulla sopravvivenza e sul successo riproduttivo. Il progressivo aumento della dimensione del cervello si è associato, difatti, con lo sviluppo delle capacità maggiori di vita e di relazione con l’ambiente, sulla base di un migliore coordinamento funzionale e di una maggiore strategia cognitiva per un’alimentazione di successo. L’interazione tra consumo alimentare di acidi grassi omega-3 ed evoluzione del cervello è stata proposta come un ruolo chiave nell’encefalizzazione, ossia nell’aumento del rapporto cervello / massa corporea. L'acido DHA è, difatti, l'acido grasso omega-3 più abbondante nelle membrane cellulari del cervello, ma il corpo umano non è efficiente a sintetizzarlo, per cui è costretto a essere in gran parte dipendente dal suo apporto alimentare della dieta. Negli ultimi cento anni, purtroppo, è aumentata drammaticamente, soprattutto nelle civiltà occidentali, l'assunzione di acidi grassi saturi, l'acido linoleico e acidi grassi trans, mentre si è ridotto il consumo di acidi grassi omega-3.
Da molto tempo l'abbondanza relativa di specifici nutrienti è sotto accusa per essere in grado di influenzare i processi cognitivi e l’emotività. Di recente sono state riconosciute le influenze dei fattori dietetici sulla funzione neuronale e sulla plasticità sinaptica. Si sono anche dimostrati alcuni dei meccanismi vitali con cui la dieta si rende responsabile della salute del cervello e della funzione mentale.

In tale contesto, gli acidi grassi omega-3, presenti nel salmone, noci e kiwi, offrono numerosi vantaggi, tra cui quello di migliorare l'apprendimento e la memoria e quello di contribuire a lottare contro i disturbi mentali, come la depressione e i disturbi dell'umore, la schizofrenia e la demenza. Gli acidi grassi omega-3, come precedentemente detto, sono oggi ritenuti essenziali per la funzione normale del cervello e l’organismo umano, non producendoli sufficientemente, deve procurarseli con la dieta. Supportano, difatti, la plasticità sinaptica e sembrano influenzare positivamente l'espressione di diverse molecole che si trovano nel loro ambito, legate all'apprendimento e alla memoria. A tale riguardo, è bene ricordare che le sinapsi nel cervello collegano i neuroni tra loro e forniscono funzioni critiche, essendo anche sede dell’apprendimento e della memoria. Di fatto, la carenza alimentare di acidi grassi omega-3 negli esseri umani è stata dimostrata in associazione con un aumentato rischio di alcuni disturbi mentali, tra cui il disturbo da deficit dell’attenzione, la dislessia, la demenza, la depressione, il disturbo bipolare e la schizofrenia. Peraltro, in studi sperimentali sui roditori la loro carenza si è associata a compromissione dell'apprendimento e della memoria. D’altra parte, i bambini con aumentata quantità di acidi grassi omega-3 hanno dimostrato di ottenere risultati migliori a scuola, nella lettura e nell'ortografia, fornendo prova di minori problemi comportamentali. Inoltre, in uno studio in Inghilterra studenti, trattati con acidi grassi omega-3, avrebbero dimostrato un migliore rendimento scolastico.
È ancora da notare che diversi ormoni intestinali possono raggiungere oppure prodursi nel cervello. Essi possono, quindi, influenzare la capacità cognitiva. Peraltro, altri fattori, ben consolidati regolatori della plasticità sinaptica, come il brain-derived neurotrophic factor, possono funzionare come modulatori metabolici e rispondere ai segnali periferici, come l'assunzione di cibo. Interpretare le basi molecolari degli effetti del cibo sulla cognizione rappresenta, quindi, il mezzo per poter meglio manipolare la dieta al fine di aumentare la resistenza dei neuroni agli insulti nocivi e di promuovere la salute mentale.
Per loro parte, Solfrizzi V. dell’Università di Bari  e collaboratori hanno riassunto il valore dei nutrienti nel prevenire o posticipare l'insorgenza della malattia di Alzheimer (MA) e ritardarne o rallentarne la progressione con consequenziale miglioramento in età avanzata dello stato di salute e della qualità della vita (Curr Alzheimer Res. 2011 Aug;8(5):520-42). In effetti, l’elevata concentrazione di acidi grassi saturi potrebbe avere effetti negativi sul declino e sul decadimento cognitivo lieve correlato all'età. Allo stato attuale, l'evidenza epidemiologica suggerisce, difatti, una possibile associazione tra il consumo di pesce, di acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi (PUFA, in particolare n-3 PUFA) e il ridotto rischio di declino cognitivo e demenza. Le più scarse funzioni cognitive e l’aumentato rischio di demenza vascolare (VaD) sono risultati associati a un minor consumo di prodotti lattiero-caseari o di latticini. Così che il consumo di tali alimenti con l’intera composizione dei grassi può associarsi negli anziani al declino cognitivo. D’altro canto, il consumo da lieve a moderato di alcol può associarsi a un ridotto rischio di demenza e di MA, mentre l'evidenza attuale è solo indicativa di un effetto protettivo per la VaD, per il declino cognitivo e per le sindromi predemenziali. D’altro canto, le limitate evidenze epidemiologiche disponibili tra consumo di frutta e verdura e lo stato cognitivo supportano generalmente un loro ruolo protettivo. Solo di recente, una maggiore adesione a una dieta mediterranea si è dimostrata associata con una diminuzione del declino cognitivo e le sindromi predemenziali, anche se essa sia combinata da diversi micro e macro-nutrienti già separatamente proposti come potenziali fattori di protezione contro la demenza. In realtà, recenti studi prospettici hanno dimostrato che una maggiore aderenza a una dieta di tipo mediterraneo potrebbe rallentare il declino cognitivo con riduzione del rischio di progressione da DCL a MA e riduzione, quindi, del rischio di MA e della mortalità per qualsiasi causa in tali malati. Questi risultati hanno suggerito che l'adesione alla dieta mediterranea può influenzare non solo il rischio di MA, ma anche di sindromi predemenziali e della loro progressione verso la demenza conclamata. Pur tuttavia, sulla base delle prove in corso su questi fattori non è possibile ancora tracciare raccomandazioni alimentari definitive. Comunque, per ridurre il rischio di disturbi cardiovascolari e metabolici dovrebbe essere incoraggiata una dieta con corretto consumo di alimenti, con un apporto moderato di vino, evitando l’aggiunta di zuccheri. È opportuno anche promuovere il consumo di pesce, di olio vegetale, di verdure non ricche d’amido, di frutta a basso indice glicemico. 
In verità, dieta ed esercizio fisico possono influenzare la produzione di energia mitocondriale, importante per il mantenimento dell'eccitabilità neuronale e della funzione sinaptica. La combinazione di alcune diete e l'esercizio fisico possono avere effetti additivi sulla plasticità sinaptica e la funzione cognitiva. Peraltro, L’ATP prodotta dai mitocondri rende possibile l’attivazione del BDNF (brain-derived fattore neurotrofico) e dell’IGF1 (insulin-like growth factor 1), che sostengono la plasticità sinaptica e la funzione cognitiva. Le molecole dell’equilibrio energetico, come l’uMtCK (ubiquitous mitochondrial creatine kinase), l’AMPK (AMP-activated protein kinase) e l’UCP2 (uncoupling protein 2), interagiscono con il BDNF nel modulare la plasticità sinaptica e la cognizione. La produzione di energia in eccesso, causata da un apporto calorico elevato o come risultato di un intenso esercizio fisico, determina la formazione di ROS (reactive oxygen species). Quando i livelli di ROS superano la capacità di tamponamento della cellula la plasticità sinaptica e la funzione cognitiva sono compromesse, probabilmente a causa di una riduzione delle azioni dei modulatori di trasduzione del segnale, come il BDNF. Il metabolismo energetico può colpire anche le molecole come il SIRT1 (silent information regulator 1), una deacetilasi istonica, che contribuisce alla riduzione dei ROS e che promuove le modificazioni della cromatina alla base delle alterazioni epigenetiche che potrebbero influire sulla cognizione. A tale proposito, il gene BDNF, sulla base della sua dimostrata sensibilità per le modificazioni epigenetiche, rappresenta un potenziale bersaglio per gli effetti della dieta.
Peraltro, i circuiti neurali, coinvolti nel comportamento alimentare, mostrano un coordinamento preciso con i centri cerebrali che modulano l'omeostasi energetica e la funzione cognitiva. Gli effetti del cibo sulla cognizione e le emozioni possono iniziare prima dell'atto di nutrirsi, come il ricordo degli alimenti mediante input sensoriali olfattivi e visivi che alterano lo stato emozionale del cervello. Peraltro, l'ingestione dei cibi stimola il rilascio in circolo di ormoni o peptidi, come l'insulina e il GLP1 (glucagon-like peptide 1). Queste sostanze possono poi raggiungere centri, come l'ipotalamo e l’ippocampo, e attivare le vie di trasduzione del segnale che promuovono l'attività sinaptica, contribuendo all'apprendimento e alla memoria. A sua volta, la mancanza di cibo, segnalata da uno stomaco vuoto, può provocare il rilascio di grelina in grado anche di supportare la plasticità sinaptica e le funzioni cognitive. I messaggi chimici derivati dal tessuto adiposo possono a loro volta, attraverso la leptina, attivare i recettori specifici dell’ippocampo e dell'ipotalamo e influenzare, così, l'apprendimento e la memoria. Le azioni positive della leptina sulla plasticità sinaptica ippocampo-dipendente, vale a dire le sue azioni sulla funzione recettoriale del NMDA (N-methyl-D-aspartate) e sulla facilitazione del potenziamento a lungo termine, sono ben caratterizzate. È degno di nota che l’IGF1 (Insulin-like growth factor 1) è prodotto dal fegato e dal muscolo scheletrico in risposta ai segnali provenienti dal metabolismo e dall'esercizio. L’IGF1 può fornire segnali ai neuroni dell'ipotalamo e dell'ippocampo, producendo effetti consequenziali sull'apprendimento e sulle prestazioni della memoria. Peraltro, oltre alla regolazione dell'appetito, l'ipotalamo coordina l'attività a livello intestinale e integra la funzione viscerale con le strutture del sistema limbico, come l'ippocampo, l'amigdala e la corteccia cerebrale. Inoltre per intervento dello HPA (hypothalamic–pituitary axis) possono anche realizzarsi segnali viscerali che modulano la cognizione e la fisiologia del corpo, ma altri effetti dell'ipotalamo possono coinvolgere il sistema immunitario, dato che esso innerva abbondantemente il timo. In effetti, tutto ciò contribuisce al fatto che diverse molecole del sistema immunitario possono influenzare la plasticità sinaptica e la cognizione. L'innervazione parasimpatica dell’intestino da parte del nervo vago fornisce informazioni sensoriali al cervello, consentendo all'attività intestinale di essere in grado d’influenzare le emozioni. A loro volta, le emozioni possono anche influenzare i visceri attraverso le vie efferenti parasimpatiche del nervo vago. In effetti, è da notare che la stimolazione del nervo è stata indicata e viene anche utilizzata a scopo terapeutico nella cura della depressione cronica.
Difatti, con il termine tecnico VNS (Vagal nerve stimulation), s’indica l’azione di un semplicissimo pacemaker per la stimolazione del cervello. L'apparecchio viene impiantato direttamente nel torace del paziente e, tramite due fili che risalgono attraverso il collo, stimola il vago, centro delle principali vie di comunicazione. La sua applicazione, riservata inizialmente alla cura dell’epilessia, con il tempo ha mostrato, secondo i primi sperimentatori, benefici nei malati di depressione acuta e cronica.
Harold A. Sackeim del New York State Psychiatric Institute, referente scientifico della Cyberonics Inc., la fabbrica di Huston produttrice dello stimolatore, ha dichiarato la possibilità di trattamento a tutti quei pazienti che non hanno successo con le altre cure. Ora, comunque, si attendono maggiori e più convincenti evidenze scientifiche sui suoi effetti. Ciò nonostante, l’utilizzo di tale tecnica il 18 luglio 2005 ha ottenuto dalla Food and Drug Administration l’approvazione solo per il trattamento della Depressione Maggiore Resistente (DMR).
In definitiva, l'insorgenza di malattie neurodegenerative legate all'età, come il morbo di Alzheimer (AD) o quello di Parkinson, sovrapponendosi al declino funzionale normale del sistema nervoso, porta ad aggravare i deficit della motricità e quelli cognitivi e comportamentali della senescenza. Pertanto, i metodi di esplorazione e cura per ritardare o invertire il deficit neuronale dell’anziano sono estremamente importanti per il suo benessere. Il consumo di alimenti e nutrienti ad alto contenuto di polifenoli, in aggiunta a diete prudenziali ad alto contenuto di frutta, verdura, cereali integrali e pesce, ha, invero, dimostrato di prevenire e addirittura invertire il verificarsi di quei cambiamenti neurochimici e comportamentali che si verificano con l'invecchiamento. Al contrario, usando un tipico stile occidentale, con dieta impropria e non salutare, si aumenta il rischio del declino cognitivo e della demenza. Agenti pleiotropici, tra cui l’acido grasso omega-3 DHA (acido docosaesaenoico), la curcumina e l'esercizio fisico possono, di fatto, colpire più passaggi della cascata verso l’Alzheimer (MA), tra cui l’amiloide, gli oligomeri del tau, l'infiammazione, il danno ossidativo e la tossicità sinaptica. Comunque, gli approcci di prevenzione alla MA necessitano anche di applicazioni genetiche.



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