Stile cognitivo e demenza
In tale contesto, si è sviluppato il LEQ (Lifetime of Experiences Questionnaire), utile per misurare le differenze dello stile cognitivo tra gli individui, integrando le informazioni sulle attività educative, occupazionali e di svago, come il carico di stimolo cognitivo per tutta la durata della vita. I punteggi più alti del LEQ predicono in modo indipendente un tasso di declino cognitivo attenuato nel corso del tempo, come pure una diminuzione del tasso di atrofia ippocampale longitudinale. Tuttavia, non è chiaro se quest’approccio, integrato allo stile cognitivo, possa essere in grado di prevedere l’incidenza della demenza. Inoltre, non esisterebbero studi che abbiano messo sistematicamente a confronto l'impatto di ciascuno di questi componenti da solo, dopo aver controllato gli altri due, o abbiano esaminato se una combinazione critica di fattori a coppie potesse risultare potente come la tripla. Ancora, poiché l'istruzione superiore nei malati già con demenza è stata collegata all’aumento della mortalità, gli effetti dello stile di vita cognitiva sulla sopravvivenza dopo la diagnosi potrebbero dissociare quelli protettivi contro l'incidenza della demenza. Peraltro, fino ad oggi non è stata ancora valutata, con uno studio longitudinale all'interno della stessa popolazione, la questione degli effetti combinati dei fattori dello stile cognitivo sull’incidenza della demenza e sulla sopravvivenza dopo la diagnosi, rispetto al caso isolato. Il CFAS (Medical Research Council Cognitive Function and Ageing Study) è uno studio di coorte multicentrico, basato sulla comunità, in corso da oltre quattordici anni e ben progettato per rispondere alle domande di questa natura. Utilizzando un sottoinsieme di domande derivate dal LEQ che riguardano l’istruzione, la complessità del lavoro e le attività cognitive della parte terminale della vita, disponibili come parte della linea di base e delle domande di screening del Cognitive Function and Ageing Study, Michael Valenzuela del Prince of Wales Hospital, Australia e collaboratori sono stati in grado di valutare il contributo individuale e combinato dei tre fattori principali dello stile cognitivo, sia sull’incidente della demenza sia sul tempo di sopravvivenza (Am. J. Epidemiol. (2011) 173 (9): 1004-1012). I dati, quindi, derivavano dal CFAS su una popolazione di 13.004 persone in Inghilterra e Galles con prima intervista nel periodo 1991-1992 e seguite per dieci anni per l'incidenza di demenza e di dodici anni per la mortalità. Un CLS (Cognitive Lifestyle Score) definiva un insieme di attività cognitive, tra cui l'istruzione, la complessità del lavoro e l'impegno sociale, ed era disponibile per 12.600 persone in tre fasi della vita.
Allo screening basale i partecipanti fornivano informazioni: sullo stato fisico, comportamentale e socio-demografico; sugli aspetti della salute, comprese le condizioni croniche auto-riferite; sullo stato cognitivo derivato dallo MMSE (Mini-Mental State Examination) e dagli elementi selezionati dall’AGECAT (Geriatric Mental State-Automated Geriatric Examination for Computer Assisted Taxonomy). Un CLS superiore risultava protettivo verso la demenza (odds ratio = 0.6, intervallo di confidenza 95%: 0.4, 0.9). Le analisi di sensibilità trovavano l’effetto principale di essere affidabili e ripetibili, anche considerando solo due componenti della partitura, sia l'istruzione e l'occupazione o l'istruzione e l’impegno sociale nella tarda età. Nessun fattore singolo CLS si associava da solo a un'incidenza di demenza. Le differenze di sopravvivenza non raggiungevano la significatività statistica. Pertanto, i dati suggerivano agli autori che più anni d’istruzione, nonché di ulteriori esperienze stimolanti in mezza o avanzata età, sarebbero necessari per una protezione contro la demenza. Si rilevava, invece, dopo la diagnosi di demenza scarsa evidenza dell’effetto dello stile cognitivo sulla sopravvivenza. Ritenuto, quindi, per certo che la riserva cognitiva si associava a un minor rischio di demenza, ma che la misura con cui si delineava nel corso dell’invecchiamento rimaneva ancora poco chiara, Archana Singh-Manoux dell’University College London e collaboratori si sono posti l’obiettivo di esaminare, da diversi punti nel corso della vita, l'impatto dei tre marker di riserva cognitiva sulla funzione cognitiva e sul declino della tarda età adulta (Ann Neurol., 2011, 70: 296–304 Annals of Neurology). Gli Autori hanno raccolto, così, i dati di 5.234 uomini e 2.220 donne di età media di cinquantasei anni, DS = 6 al basale, dalla coorte dello studio Whitehall II. Si sono valutati 3 × 10 anni: la memoria, il ragionamento, il vocabolario, la fluidità fonetica e semantica. Si sono utilizzati modelli misti lineari per valutare l'associazione tra i marcatori di riserva (altezza, istruzione e professione) e il declino cognitivo, utilizzando i cinque test cognitivi e di un punteggio cognitivo globale, derivato da questi test. Tutte le tre misure di riserva si associavano con la funzione cognitiva di base e le più forti erano con l'occupazione, mentre le più deboli con l'altezza. Tutte le funzioni cognitive, tranne il vocabolario, diminuivano nel corso dei dieci anni del follow-up. Nella prova cognitiva globale non vi era una maggiore diminuzione nel gruppo ad alta occupazione (-0,27; intervallo di confidenza al 95% [IC], da -0,28 a -0,26), rispetto al gruppo intermedio (-0,23, 95% IC, -0,25 a -0,22) e al gruppo basso (-0,21 basse, 95% IC, -0,24 a -0,19); p = 0,001. Il calo nei gruppi di riserva, definiti attraverso l'educazione (p = 0,82) e l'altezza (p = 0,55), era simile. La performance cognitiva, pertanto, nel corso della vita adulta era notevolmente più alta nei gruppi a elevata riserva. Tuttavia, il tasso di declino cognitivo, con l'eccezione dell’occupazione, non risultava diverso tra i gruppi di riserva dove si segnava qualche evidenza di una maggiore diminuzione nel gruppo ad alta occupazione.