Le modificazioni compensative dell’appetito e dell’assunzione del cibo con l’esercizio fisico
In effetti, le modificazioni compensative dell’appetito e dell’assunzione del cibo, che si realizzano con l’esercizio fisico, possono spiegarsi con l’intervento di particolari fattori, secondo meccanismi oggetto di continui studi.
In tale ambito, i peptidi dell’appetito sono ormai dimostrati come mediatori dei segnali periferici, compresi quelli a breve e a lungo termine, come la leptina e l'insulina. Queste sostanze, rilasciate dal tratto gastrointestinale, svolgono un ruolo importante nel controllo dell'appetito e possono contribuire a spiegare i suoi cambiamenti con l'esercizio fisico. In particolare, i peptidi dell’appetito, mediatori dei segnali a breve termine della sazietà, sono indicati come i potenziali fattori dei meccanismi di mediazione coinvolti negli effetti che l'esercizio esercita sull’EI e successivamente sul peso corporeo.
Particolare importanza in tale ambito riveste la grelina, il peptide oressigeno secreto dallo stomaco. La sua maggiore soppressione corrisponde, infatti, a una riduzione dell’appetito. Si conviene a tale riguardo, però, che l'esercizio fisico acuto non influenzi indipendentemente i suoi livelli per modalità, intensità, o stato metabolico, sia nei magri sia nei sovrappeso / obesi adulti.
La CCK (Cholecystokinin), il PYY (polypeptide YY) e il GLP – 1 (glucagon-like peptide-1) sono anch’essi peptidi anoressizzanti, rilasciati in risposta ai nutrienti intestinali. Si è dimostrato che dai cinquanta ai sessanta minuti di bicicletta (65% FC max) si poteva indurre un aumento significativo del PYY, del GLP – 1 e del PP (pancreatic polypeptide), ma senza alcuna variazione della grelina totale. Inoltre, il GLP - 1 rimaneva elevato per tutto il periodo seguente l’esercizio, mentre l'incremento del PYY era di breve durata. Vale la pena annotare che negli studi di esercizio persistente, in caso di verifica della perdita del peso, i cambiamenti dei peptidi si potrebbero associare a quelli dei chili persi e / o della composizione corporea, piuttosto che esclusivamente all’esercizio fisico di per sé.
Pur tuttavia, le evidenze, riguardanti gli effetti dell'esercizio fisico persistente sul rilascio dei peptidi intestinali anoressigeni, sono relativamente scarse.
Per quanto riguarda lo svuotamento gastrico, bisogna considerare, come dato di convincente evidenza, che lo svuotamento gastrico influenza l’appetito e l’EI. Risulta, quindi, plausibile che l'intestino e la sua relativa attività ormonale possano anche moderare le risposte all’esercizio acuto o cronico. Man mano che il cibo riempie lo stomaco e che esso successivamente si svuota, una varietà di fattori, tra cui la distensione gastrica, la stimolazione dei nutrienti sui meccanocettori e chemorecettori intestinali e i diversi peptidi intestinali rilasciati contribuiscono al senso di appagamento, con il controllo delle dimensioni del pasto, e a quello di sazietà, con l’inibizione postprandiale del mangiare. Siccome questi due processi sono importanti per la regolazione dell'appetito, le differenze individuali nella fisiologia intestinale e nella forza di questi segnali potrebbero contribuire alla compensazione delle risposte dell'assunzione del cibo. Di conseguenza, ne può derivare la variabilità indotta dall’esercizio fisico sulla perdita del peso. Tuttavia, pur essendo importante tale dato, bisogna notare che pochi studi hanno esaminato direttamente gli effetti dell'esercizio fisico sullo svuotamento gastrico e sull'appetito.
Per altro verso, l’equilibrio dei carboidrati, con i cambiamenti indotti dall’esercizio fisico sull’ossidazione del substrato, può influenzare l'appetito e l'assunzione del cibo. In effetti, il metabolismo del substrato è stato a lungo coinvolto nel controllo energostatico dell’EI. Si è ipotizzato, a tal proposito, che la sazietà postprandiale e l’EI potessero essere mediati dal nervo vago, sensibile alle variazioni dell’ossidazione degli acidi grassi e al rapporto epatocellulare ATP / ADP. Ciò nonostante, l'esercizio aerobico altera l’utilizzazione del substrato e la sua disponibilità durante e dopo. La teoria glicogenostatica suggerisce, di fatto, che l'alimentazione a breve termine è progettata per mantenere i livelli corporei del glicogeno, memorizzati in un set point preciso. In ragione della limitata capacità di stoccaggio del glicogeno, gli incentivi della sua disponibilità, tramite la dieta o l'esercizio fisico, possono provocare variazioni compensative nell’EI, volte a ristabilire l'equilibrio dei carboidrati. Pur tuttavia, le evidenze a sostegno di un legame diretto tra il metabolismo del substrato durante l'esercizio fisico e il mangiare compensativo, a tutto oggi, sono limitate e contraddittorie.
Dopo l'esercizio fisico acuto si possono parzialmente spiegare i cambiamenti nelle preferenze dei macronutrienti e dei cibi, come risposte compensatorie all’EI. Nondimeno, i risultati sino a oggi ottenuti non sono coerenti e non dimostrano sia gli aumenti sia le diminuzioni della forza di percezione del gusto e la preferenza nominale per i gusti stessi, parzialmente connessi alle differenze di volume dell'esercizio, cioè l’aumento netto dell’EE. È interessante notare che gli effetti sono stati più frequentemente riportati per la percezione e la preferenza dei sapori del salato, del dolce, o dell’amaro.
I cambiamenti, comunque indotti dall'esercizio fisico sulla ricompensa degli alimenti, potrebbero anche essere importanti per ridurre il sovrappeso. In particolare, una spinta motivazionale maggiore o un desiderio del cibo dopo l'esercizio fisico possono aiutare a spiegare perché alcune persone richiedano una compensazione eccessiva quando sia dato loro l’accesso al cibo poco dopo l'esercizio. I dati sulle preferenze dei macronutrienti e dei prodotti alimentari, a seguito dell'esercizio, suggeriscono, peraltro, che alcuni individui appaiono voler compensare l’EE indotta dall'esercizio a seguito di variazioni fisiologicamente o psicologicamente modulate dai piaceri alimentari.
Dal loro canto i fattori psicologici devono avere un ruolo importante nelle variazioni compensative fisiologiche indotte dall’esercizio sul comportamento alimentare. Le evidenze suggeriscono come quest’ultimo, misurato in genere con il Three Factor Eating Questionnaire può influire sull'assunzione del cibo, svolgendo un ruolo importante negli interventi della perdita di peso. In particolare, sono stati identificati i fattori di disinibizione e moderazione, come caratteri importanti del comportamento alimentare. Essi, influenzando l'aumento, la perdita e il mantenimento del peso, sono stati etichettati come gli indicatori psicologici della regolazione dell'appetito. Ci sono dati che suggeriscono come gli individui con un elevato livello di disinibizione siano più suscettibili a compensare durante l'esercizio il dispendio energetico. Al contrario, negli individui sensibili al mangiare opportunistico, ossia con tendenza a mangiare smodatamente quando sono presenti nell'ambiente indicazioni alimentari esterne, l'esercizio fisico può esercitare un'influenza positiva sul controllo dell'appetito. Ad esempio, è stato dimostrato nelle donne magre con elevato tratto di disinibizione che un attacco acuto di esercizio riduceva la motivazione a mangiare e di aumentare la preferenza per gli alimenti a basso contenuto di grassi. Allo stesso modo, nelle donne magre con alta restrizione un attacco acuto di esercizio aumentava la piacevolezza percepita degli alimenti a basso contenuto di grassi e riduceva la motivazione a mangiare. In accordo con tutto ciò, i maschi magri e in sovrappeso con elevata restrizione non avevano mostrato una risposta controregolatoria al mangiare, ovverossia una risposta di eccesso di cibo avviata dalla ripartizione della restrizione cognitiva a seguito di un attacco di esercizio di moderata intensità. Pertanto, l'influenza di un attacco acuto di esercizio fisico sembra essere utile, almeno nel breve periodo, per gli uomini e per le donne che presentano un punteggio elevato di autocontrollo.
Pur tuttavia, le evidenze, derivate dagli interventi a lungo termine, dimostrano che il successo della perdita di peso si associa a una diminuzione della disinibizione e della fame con un aumento dell’autocontrollo. Indipendentemente dal tipo di perturbazione del bilancio energetico, le persone che hanno successo nel perdere peso rispondono, in genere, aumentando il loro controllo sul mangiare, per esempio con moderazione, e riducendo il loro comportamento alimentare opportunistico.
In conclusione, la resistenza a esercitare la perdita di peso indotta è in parte spiegata tra le altre risposte compensatorie dai cambiamenti nel comportamento alimentare.
Peraltro, perché l'esercizio possa essere efficace per la perdita di peso è necessario raggiungere un aumento significativo del dispendio energetico che possa controbilanciare l’assunzione di energia. L'incremento sull’EE potrebbe, però, provocare un aumento della fame con la consequenziale assunzione di calorie, invertendo, così, il bilancio energetico negativo. Inoltre, l'esercizio fisico è efficace solo se i soggetti aderiscono al programma, il che è di riscontro difficile proprio negli obesi. Eppure, gli effetti psicologici dell’esercizio, indagati fin dai primi anni del 1970, concordano sul fatto che l'attività fisica può migliorare il senso di benessere. Classicamente, però, i benefici dell'attività fisica sull'umore sono stati osservati in risposta a periodi di esercizio aerobico moderato. In effetti, questa forma di esercizio produce tipicamente una, riduzione della tensione, della depressione, della rabbia, dell’ansia e miglioramenti del vigore. D'altra parte, vi è qualche evidenza che alte dosi di esercizio si associano con l’umore negativo, il che potrebbe diminuire il senso di benessere e in parte spiegare la bassa aderenza a esso.
Mara Cristina Lofrano-Prado dell’University of Pernambuco, Recife, Brazil e collaboratori hanno voluto determinare gli effetti acuti delle diverse intensità di esercizio aerobico sull’ansia, sugli stati d'animo e sui punteggi della fame in adolescenti obesi (International Journal of Behavioral Nutrition and Physical Activity 2012, 9:38). I soggetti erano otto adolescenti maschi obesi di età 15.44 ± 2.06 anni con BMI 33,06 ± 4,78 kg/m2. Ogni soggetto era sottoposto a tre prove sperimentali di:
1) controllo, seduti per trenta minuti,
2) esercizio a bassa intensità (LIE) al 10% sotto la soglia ventilatoria (VT),
3) esercizio ad alta intensità (HIE) al 10% sopra la VT.
Erano valutati prima e subito dopo le sessioni sperimentali: l’ansia con lo STAI (Spielberger State-Trait Anxiety Inventory), l'umore con il POMS (Profile of Mood States) e la fame con il VAS (visual analogue scales).
Il maggiore aumento della fame si osservava dopo LIE (914,22%). Entrambe le sessioni di allenamento facevano registrare l’aumento dell’ansia, dell’affaticamento e la diminuzione del vigore (p <0,05).
In conclusione, negli adolescenti obesi i turni acuti di esercizio erano associati a variazioni negative dell’ansia e dell'umore con aumento della fame.
Lo studio, secondo gli Autori, suggeriva che gli adolescenti obesi, pur potendo aumentare il dispendio energetico attraverso l'esercizio ad alta intensità, tendevano a mostrare un comportamento alimentare compensativo durante il periodo post-esercizio che contrastava il bilancio energetico negativo. Tutto ciò era seguito da sentimenti negativi e da una diminuzione del senso di benessere, causa di abbandono della regolare attività fisica nei periodi successivi.
Sarah J Hardcastle dell’University of Brighton, UK e collaboratori, ribadendo la raccomandazione dell'American Heart Association di associare alla dieta e all’esercizio fisico le interviste motivazionali (MI) nell’approccio terapeutico per la perdita di peso, ne hanno voluto valutare l'efficacia in un contesto di assistenza primaria del Regno Unito (Journal of Behavioral Nutrition and Physical Activity 2013, 10:40). Si arruolavano, così, 334 pazienti che avevano completato la valutazione di base e 203 di questi erano randomizzati all'intervento di MI e 131 all’intervento minimo. Il primo gruppo riceveva l'esercizio standard e le informazioni nutrizionali fino a cinque sessioni faccia a faccia di MI, condotte in un periodo di sei mesi da uno specialista di attività fisica e da una dietista. Il secondo gruppo di controllo riceveva solo le informazioni standard. Le misure di follow-up del comportamento, come l’attività fisica vigorosa e moderata, le passeggiate, le fasi di variazione dell’attività fisica, l'assunzione di frutta, verdura e grassi, e i risultati biomedici, come peso, indice di massa corporea [BMI], pressione sanguigna, colesterolo, erano valutati immediatamente nel post- intervento e in un'occasione del follow - up di dodici mesi.
L’ analisi intent-to- treat rivelava differenze significative tra i gruppi per le passeggiate e il colesterolo. I pazienti obesi e ipercolesterolemici al basale mostravano rispettivamente miglioramenti significativi nella BMI e nel colesterolo tra quelli assegnati al gruppo d’intervento, rispetto a quelli del confronto. Pur tuttavia, i miglioramenti post - intervento negli altri esiti, riguardanti la salute tra cui la pressione arteriosa, il peso e l’indice di massa corporea non erano stati mantenuti .
In conclusione, secondo gli Autori il loro studio suggeriva che l’intervento di consulenza con una bassa intensità di MI era efficace nel determinare i cambiamenti a lungo termine in alcuni, ma non in tutti, dei risultati relativi alla salute, come le passeggiate e i livelli del colesterolo, associati a rischio cardiovascolare. D’altra parte l'intervento era particolarmente efficace per i pazienti con livelli elevati dei fattori di rischio cardiovascolare al basale.