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notiziario Gennaio 2014 N.1 BASI FISIOPATOLOGICHE, PSICOLOGICHE E CLINICHE NEL TRATTAMENTO DELL’OBESITÀ - La regolazione dell’omeostasi energetica e del peso corporeo

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Indice
notiziario Gennaio 2014 N.1 BASI FISIOPATOLOGICHE, PSICOLOGICHE E CLINICHE NEL TRATTAMENTO DELL’OBESITÀ
La regolazione dell’omeostasi energetica e del peso corporeo
Fattori bioumorali dei segnali di appetito/fame nel controllo dell’alimentazione
Fattori bioumorali dei segnali di sazietà nel controllo dell’alimentazione
Altri particolari fattori bioumorali per il controllo dell’alimentazione
Genotipo e variazione della composizione corporea e della distribuzione del grasso
Dieta, esercizio e loro correlati psicosociali nella gestione del peso corporeo
Immagine del corpo e autogestione del peso corporeo
Il freddo nella gestione del peso corporeo
L’interazione tra esercizio, appetito e assunzione del cibo
Le modificazioni compensative dell’appetito e dell’assunzione del cibo con l’esercizio fisico
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La regolazione dell’omeostasi energetica e del peso corporeo

La regolazione dell’omeostasi energetica e quella del peso corporeo sono sotto l’influenza di numerosi neurotrasmettitori e ormoni. Peraltro, un’ampia varietà di differenti percorsi funzionali neuronali gioca un ruolo ben distinto nella sua determinazione.  
A tale proposito, Gibbs J. della Cornell University Medical College, New York e collaboratori hanno dimostrato per primi che la somministrazione intraperitoneale dell’ormone peptide intestinale, la CCK (cholecystokinin), attraverso un meccanismo apparentemente non repulsivo, riduceva nei ratti affamati l'assunzione del cibo (J. Comp. Physiol. Psychol. 1973,  84, 448-495). Gli Autori proposero, quindi, che la CCK endogena, rilasciata dal piccolo intestino durante il pasto, avesse il ruolo di farlo terminare e di indurre, così, lo stato di sazietà post-prandiale. Studi successivi hanno confermato che la somministrazione sistemica della CCK inibisce l'assunzione del cibo in un numero di altre specie animali, compreso l'uomo. Numerosi altri fattori, comunque, interagiscono per contribuire al bilancio energetico. Di essi sono stati dimostrati, ma in maniera incompleta, i loro ruoli negli squilibri energetici e nell’aumento del peso corporeo. Essi, in effetti, intervengono nel determinare l’appetito, come impulso e stimolo psicologico esterno a nutrirsi di particolari tipi di cibo per soddisfare un piacere edonistico, spesso in assenza della fame. Pur tuttavia, determinano anche la fame, come stimolo fisiologico interno del bisogno urgente di cibo, oppure la ripienezza, come sensazione di interrompere la nutrizione, o anche la sazietà, come sensazione dell’appagamento associata alla soppressione della fame. In particolare, la fame si manifesta, di solito, dopo poche ore di digiuno ed è una sensazione generalmente riferita sgradevole. Da notare che questo termine è anche usato comunemente per descrivere la condizione di chi soffre una mancanza cronica di cibo adeguato. Peraltro, la regolazione della fame e quella dell'assunzione del cibo coinvolgono i segnali neurali del tratto gastrointestinale, i livelli ematici delle sostanze nutritive e gli ormoni enterici.
La sensazione fisica della fame, comunque, è legata alle contrazioni dei muscoli dello stomaco. Queste contrazioni, chiamate anche morsi della fame, quando intense, sembrano essere innescate dalle alte concentrazioni della grelina, ormone prodotto dallo stomaco e rilasciato, in genere, dopo i lunghi periodi di digiuno per i bassi livelli dello zucchero nel sangue. In particolare, nei bambini e nei giovani adulti i così detti morsi da fame allo stomaco possono essere particolarmente gravi e dolorosi.
Sotto altro fronte, alcuni studi hanno anche suggerito che la vista del cibo e l’eccesso dello stress possono aumentare la produzione della grelina e, quindi, dell'appetito, spiegando, così, la prevalenza della fame e dell’aumento del peso in questi casi. Durante il digiuno, però, aumentano e stimolano la fame, per loro conto, anche i livelli del glucagone e dell’epinefrina.

Per altro verso, la sazietà definisce lo stato di soddisfazione raggiunto dopo la risposta alla necessità del cibo e il suo centro si trova nel nucleo ventromediale dell'ipotalamo degli animali. In particolare, i recettori della distensione del tratto gastrointestinale, inviando segnali lungo il nervo vago e inibendo, così, il centro della fame, tendono a inibire l'appetito. D’altro canto, il peptide YY e la leptina, il cui nome deriva dal greco λεπτός che significa magro ed è prodotta dagli adipociti differenziati, hanno un effetto opposto sull’appetito, provocando proprio la sensazione della sazietà.
La leptina, ormone secreto dalle cellule adipose con risposta a un aumento della massa grassa, è una componente importante nella regolazione della fame a lungo termine e dell'assunzione del cibo. Essa per il cervello rappresenta un indicatore delle riserve dell’energia totale del corpo. In condizione di suoi alti livelli nel sangue, si lega ai recettori dell’ARC (arcuate nucleus). Tende, così, a sopprimere il rilascio del NPY (neuropepptide Y) che, a sua volta, impedendo il rilascio dall'ipotalamo laterale delle oressine che aumentano l’appetito, favorisce la perdita del peso. Inoltre, la leptina stimola l'espressione della CART (cocaine and amphetamine-regulated transcript) e, anche se l'aumento dei suoi livelli ematici promuove in una certa misura la perdita del peso, ha il ruolo principale di proteggere il corpo contro questa condizione nei periodi di deprivazione nutrizionale. A riguardo di quanto riportato, si sono sviluppate le teorie del set-point della fame e del mangiare secondo l'ipotesi che la fame sia il risultato di un deficit energetico e che l’assunzione del cibo sia un mezzo attraverso il quale le risorse energetiche possano essere riportate al loro livello ottimale. L'assunzione del set-point è, quindi, quella di un meccanismo di feedback negativo che ha promosso la teoria glucostatica e quella lipostatica.
Jean Mayer dell’Harvard University ha il merito di aver introdotto estesamente per primo questi concetti (Eogl J Med. 1953;249 (1):13-16).
In verità, la coordinazione dell’assunzione dell’energia è fondamentale per tutti i meccanismi omeostatici. Prima di Mayer si erano, in effetti, succedute principalmente:

  • la teoria dell’origine periferica della fame, secondo la quale l'assunzione del cibo sarebbe stata determinata dalla stimolazione di tutti i nervi afferenti per qualsiasi cambiamento nei tessuti o di un gruppo strettamente locale dei nervi sensoriali, principalmente situati nello stomaco,
  • la teoria di origine centrale che ipotizzava la presenza di un centro cerebrale sensibile alle modificazioni sanguigne dettate dal digiuno,
  • le teorie della sensazione generale che consideravano un centro della fame stimolato non solo da parte delle modificazioni ematiche in corso della fame, ma anche indirettamente dagli impulsi afferenti provenienti da tutti gli organi del corpo.

In seguito, fu suggerito che l'ipoglicemia, mediata dal suo effetto sullo stomaco, potesse essere responsabile dell’induzione delle sensazioni di fame. Pur tuttavia, la denervazione totale e la rimozione chirurgica dello stomaco non modificavano sostanzialmente le caratteristiche della regolazione dell'assunzione del cibo.
Durante il pasto, invece, si è appurato che gli adipociti rilasciano la leptina nell’organismo, la quale, a un certo livello, innesca la riduzione della motivazione a mangiare. Anche l’insulina e la colecistochinina vengono rilasciate dal tratto gastrointestinale durante l'assorbimento del cibo e tendono, per loro conto, a sopprimere la sensazione della fame. La CCK è la chiave di quest’azione, perché inibisce il NPY.
In definitiva, è la fluttuazione dei livelli della leptina e dell’ormone grelina che condiziona per un organismo la motivazione a consumare il cibo. Dopo ore di digiuno, infatti, i livelli della leptina diminuiscono sensibilmente, causando il rilascio della grelina, che, a sua volta, reinnesca il senso della fame. Peraltro, le fibre nervose vagali, permettendo la stretta connessione della comunicazione nervosa tra il cervello e il tratto gastrointestinale, attivano la percezione della differenza tra i diversi macronutrienti della dieta.
In verità, i progressi scientifici in campo neurofarmacologico e neuroendocrino degli ultimi decenni hanno permesso di individuare un numero sempre maggiore di molecole coinvolte nella regolazione del comportamento alimentare. I fattori bioumorali coinvolti nel controllo dell’alimentazione possono essere oressigeni, come ormoni e citochine, oppure anoressigeni, come neuropeptidi e nutrienti ematici.
In particolare, tra gli ormoni sono stati individuati i glucocorticoidi, l’aldosterone, gli estrogeni, l’insulina, la colecistochinina, il GLP-1 e 2 (glucagon-like peptide), il PYY, la grelina, l’amilina.  
Tra le citochine sono stati definiti la leptina, la resistina, l’adiponectina, l’IL-6, il TNF-alfa.
Tra i neuropeptidi sono stati descritti il neuropepptide Y (NPY), la grelina, la galanina, gli oppioidi endogeni (beta-endorfine, dinorfine, encefaline), gli endocannabinoidi (anandamide), il GHRH, il CRH (urocortina), la proopiomelanocortina (POMC), il MCH (melanin-concentrating hormone), l’oressina, il CART (cocaine and amphetamine-regulated transcript), l’AGRP (agouti-related protein), l’OXM.
In definitiva, bisogna considerare che il glucosio è il candidato naturale come segnale della regolazione dell’apporto energetico. La fame, infatti, è una caratteristica dell’ipoglicemia. Peraltro, sono descritti all'interno dell’ipotalamo, e più precisamente a livello dei suoi nuclei DMH, VMH e della sua area anteriore, i neuroni glucosio-sensibili, alcuni dei quali anche sensibili all'insulina. È stato anche suggerito che i cambiamenti relativamente piccoli del glucosio potrebbero innescare, sotto qualche circostanza, l'inizio del pasto. Peraltro, l’ipoglicemia, aumentando la sintesi e la liberazione del NPY nell’ARC (arcuate nucleus) e nel VMH (ventromedial hypothalamus) e dell’oressina nello LH (lateral hypothalamus), può anche influenzare la regolazione centrale del consumo del cibo. In effetti, una situazione d’insulinoresistenza centrale potrebbe essere responsabile di una relativa diminuzione della captazione del glucosio da parte delle cellule dello SNC, interferendo, così, con l’attività del network dei neuropeptidi oressigeni. In tal modo, si può configurare l’ipotesi che la captazione a livello cerebrale del glucosio sia ridotta nei ratti geneticamente obesi e nei pazienti con grande obesità, come nella sindrome di Prader-Willi. Di fatto, l'utilizzazione del glucosio cerebrale locale è ridotta in diverse aree cerebrali dei ratti obesi e anche nel talamo e nelle aree ipotalamiche dei malati con sindrome di Prader-Willi. Un’insulinoresistenza selettiva ipotalamica potrebbe anche essere pertinente per realizzare i cambiamenti comportamentali e neuroendocrini che si verificano in queste sindromi di obesità con resistenza all'insulina.
Per altro verso, l'accumulo dei grassi a lunga catena e le variazioni del tasso di ossidazione dei lipidi nei neuroni ipotalamici selettivi tende a offrire un segnale di abbondanza dei nutrienti, attivando una catena di eventi neuronali destinati a promuovere una trasformazione dai carboidrati ai lipidi di deposito, limitando l'ulteriore ingresso nella circolazione dei substrati calorici esogeni ed endogeni. Tale restrizione potrebbe essere richiesta per il mantenimento dell’omeostasi energetica e metabolica. Il suo fallimento, di certo, potrebbe contribuire all’aumento del peso e all’intolleranza al glucosio.
Peraltro, la modulazione dell'attività dei neuroni ipotalamici è coinvolta nella regolazione del bilancio energetico esercitata dalla leptina, ormone, come detto, derivato dal tessuto adiposo. Nell’ARC (arcuate nucleus) questi neuroni esprimono sia la POMC (pro-opiomelanocortin) sia il CART (cocaine and amphetamine-responsive transcript), oppure il NPY (neuropeptide Y) e l’AgRP (agouti-related peptide).
Di fatto, i neuroni oressigeni contenenti il ​​peptide OX (hypocretin-1/orexin-A) risiedono nel nucleo LH dell'ipotalamo (lateral hypothalamus) e da lì inviano le proiezioni in tutto il cervello. Essi sono stati implicati in una varietà di funzioni, come la veglia e l'omeostasi energetica, le risposte comportamentali di ricompensa al cibo e alle sostanze stupefacenti e al deflusso neuroendocrino e autonomo. I risultati della deprivazione alimentare a breve termine dimostrano la diminuzione dell’attività dei neuroni POMC e degli aumenti di quella dei neuroni NPY / AgRP, facilitando in tal modo il consumo del cibo. Tale deprivazione provoca anche la valorizzazione degli input eccitatori ai neuroni OX. Responsabile di tali alterazioni è la riduzione dei livelli di leptina, dal momento che le stesse sono invertite dalla somministrazione dell'ormone. Pur tuttavia, sebbene i livelli di quest’ormone siano alterati nell'obesità, ci sono poche informazioni sul potenziale adeguamento degli input eccitatori verso quelli inibitori riguardanti i circuiti ipotalamici nei modelli animali sia obesi e sia nei topi ob / ob con spontanea mutazione nonsense (mutazione puntiforme che trasforma una tripletta codificante in una delle tre con interruzione e accorciamento prematuro della catena polipeptidica della proteina) del gene della leptina.
Per altro verso, il sistema endocannabinoide ipotalamico svolge un ruolo importante nel modulare la neurotrasmissione, sia di tipo eccitatorio sia inibitorio, sensibile alla leptina. Il suo tono è, in effetti, alterato nell'obesità. Per loro conto, invece, gli endocannabinoidi 2 - AG (2-arachidonoylglycerol) e l’anandamide influenzano l'assunzione del cibo, regolando il rilascio dei diversi neuropeptidi anoressigeni e oressigeni ipotalamici, attraverso l'attivazione dei CB1Rs (cannabinoid CB1 receptors), capaci di esercitare un controllo bimodale sull’alimentazione.
Nel nucleo LH dei roditori magri i CB1Rs inibiscono gli ingressi, sia inibitori ai neuroni anoressigeni che esprimono il MCH (melanin-concentrating hormone) e sia eccitatori ai neuroni OX. Peraltro, la localizzazione presinaptica dei CB1R nei nuclei ipotalamici supporta il ruolo di primo piano degli endocannabinoidi, come neuromodulatori retrogradi, soprattutto per il 2 - AG che, di solito, è biosintetizzato e rilasciato su domanda dai neuroni postsinaptici. Tuttavia, non è noto se nel LH, come in altre regioni del cervello, il principale enzima sintetizzante il 2 - AG, il DAGL α (diacylglycerol lipase-α), e gli enzimi degradanti, il MAGL (monoacylglycerol lipase) e l’ABHD6 (serine hydrolase α-β-hydrolase domain 6), siano posizionati per facilitare le azioni retrograde CB1R - mediate, né se l'obesità alteri l'espressione e la distribuzione di questi enzimi e dei CB1Rs.
Pur tuttavia, poiché l’OX è implicato in molti aspetti della fisiologia e della patologia dei mammiferi, i cambiamenti putativi, indotti dall’obesità nel controllo dell’attività neuronale degli endocannabinoidi OX, possono influenzare profondamente molteplici funzioni.

A proposito di quanto riportato, Gary D. Lopaschuk dell’University of Alberta, Canada e collaboratori hanno riassunto i meccanismi ipotalamici rivolti alla regolazione dell'appetito (Pharmacol Rev 62:237–264, 2010). Gli Autori hanno, così, ribadito il ruolo chiave dell'ipotalamo come mediatore del bilancio energetico apporto/dispendio. In particolare, il malonil CoA ipotalamico è stato riconosciuto importante nella mediazione di questo bilancio. Esso si genera, in effetti, dalla carbossilazione dell’acetil CoA per mezzo della sua carbossilasi specifica per essere poi incorporato negli acidi grassi a catena lunga a opera della sintasi, o per essere riconvertito dalla malonil CoA decarbossilasi. Di certo, l’aumento ipotalamico del malonil CoA è un indicatore di eccedenza energetica, cui segue una diminuzione dell'assunzione del cibo e un aumento del dispendio energetico. Al contrario, una sua diminuzione segnala un deficit energetico con conseguente aumento dell'appetito e una diminuzione del dispendio energetico. Degno di nota è che è stato anche dimostrato come un certo numero di vie di segnalazione oressigene e anoressizzanti ormonali e neurali abbiano azione sui cambiamenti dei livelli del malonil CoA nel nucleo arcuato (ARC) dell'ipotalamo. Pur tuttavia, anche se vi sono evidenze che il malonil CoA sia un mediatore importante nel controllo dell’ARC ipotalamico del cibo e, quindi, della regolazione del bilancio energetico, non ne è stato ancora stabilito il meccanismo alla base della sua azione. Una migliore comprensione, comunque, delle modalità con cui il malonil CoA regola l'equilibrio energetico dovrebbe fornire nuovi approcci per l’individuazione del metabolismo intermedio nell'ipotalamo come meccanismo di controllo dell’appetito e del peso corporeo con risvolti interessanti anche nei riguardi della terapia dell’obesità.
Per altro verso, Luigia Cristino dell’Institute of Cybernetics “Eduardo Caianiello, Pozzuoli – Italy e collaboratori, hanno voluto verificare nell'obesità le possibili alterazioni inibitorie ed eccitatorie sui neuroni contenenti l’oressina -A nell'ipotalamo laterale e le consequenziali modificazioni del loro controllo endocannabinoide (PNAS 2013 110 (24) E2229-E2238). In particolare, gli Autori miravano a valutare se nell’obesità l'organizzazione sinaptica fosse modificata nel nucleo LH, interessando il 2 - AG e la modulazione CB1R dell'attività neuronale OX, oressina, responsabile per l'appunto della regolazione dell’appetito e del sonno. Tutto ciò sulla base che le alterazioni acute o croniche dello stato energetico potevano alterare l'equilibrio tra le trasmissioni eccitatorie e inibitorie associate alla plasticità sinaptica per consentire l'adattamento del metabolismo energetico alle nuove esigenze omeostatiche. Collaterale era, peraltro, la considerazione dell’impatto sugli endocannabinoidi e sul loro recettore CB1, anche per lo sviluppo di nuovi farmaci contro l'obesità. Nei topi magri, in effetti, questi input erano prevalentemente di tipo eccitatorio. Utilizzando approcci di microscopia laser confocale, ultrastrutturali, elettrofisiologici e biochimici, gli studiosi indagavano le potenziali alterazioni degli input GABAergici e glutamatergici sui neuroni OX modulati dal CB1R, valutandone l'attività. Lo studio era condotto in topi maschi obesi ob / ob di diversa età e in altri adulti sempre obesi dopo prolungata HFD (high-fat diet).
Con l'analisi microscopica ultrastrutturale e confocale si osservava che nei topi obesi, sia per dieta sia in quelli knockout (ob / ob) per la leptina, i neuroni oressinergici ricevevano prevalentemente gli input inibitori esprimenti i CB1 ed esprimevano esageratamente l'enzima biosintetico per l'endocannabinoide 2 - arachidonoilglicerolo con inibizione retrograda della trasmissione sinaptica terminale dell’assone esprimente il CB1. Inoltre, nei topi ob / ob le registrazioni di patch clamp, con blocco della differenza di potenziale elettrico in una piccola area della membrana cellulare o dell'intera cellula, mostravano un aumento dell’innervazione inibitoria sensitiva CB1 dei neuroni oressinergici. Queste alterazioni s’invertivano in parte con la somministrazione della leptina.
In conclusione, gli Autori suggerivano che il maggiore controllo inibitorio dei neuroni oressina-A e la loro disinibizione CB1 - mediata fossero una conseguenza del danno della segnalazione della leptina nel nucleo arcuato. In tale contesto, intendevano fornire anche la prova iniziale della partecipazione di questo fenomeno all’iperfagia e alla disregolazione ormonale dell’obesità. Lo studio, in effetti, spiegava per la prima volta il meccanismo della mancanza di controllo della fame e anche del ritmo del sonno negli obesi con i possibili consequenziali riverberi opzionali terapeutici contro le comorbidità, come l’ipertensione, le cardiopatie, l’ansia e l’insonnia intermittente.



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