La vit. “D” nell’anziano fragile
La fragilità dell’anziano ha da qualche tempo interessato il mondo scientifico per la sua crescente importanza e prevalenza, legata all'invecchiamento demografico e nell’era della globalizzazione allo sviluppo in forma epidemica delle malattie croniche.
La definizione di fragilità, anche se comunemente usata nella pratica clinica
da più di trenta anni per indicare le persone anziane ad aumentato rischio di eventi avversi, come l'insorgenza di disabilità, di morbilità, di mortalità o d’istituzionalizzazione o che accusano una mancata integrazione, rimane un concetto in evoluzione, senza un unico consenso e senza criteri diagnostici condivisi.
Ormai da qualche tempo, gli anziani sono vittime dell’aumento degli alti rischi per la salute, con crescita dell'istituzionalizzazione, dell’ospedalizzazione, delle cadute e della mortalità. Pur tuttavia, per razionalizzare e rendere efficaci gli interventi sociosanitari in proposito, si rende necessario un valido e standardizzato metodo per lo screening, focalizzato al problema. In effetti, le potenziali definizioni di fragilità possono essere tante, potendo confluire nel sinonimo della disabilità, della comorbidità o della vecchiaia avanzata, con la visione di una sindrome biologica di riserva e resistenza diminuite per le condizioni più varie di stress. Tutto ciò come risultato di una riduzione progressiva e cumulativa dell’efficienza di più sistemi fisiologici, con vulnerabilità crescente per gli esiti avversi. Tale concetto, invero, differenzia la fragilità dalla disabilità.
Linda P. Fried dello John Hopkins Medical Institutions, Baltimore, Maryland, facendo appello al crescente consenso di valutazione degli indicatori di fragilità, relativi al declino della massa corporea magra, della forza, della resistenza, dell’equilibrio, della performance di marcia e della bassa attività, legati all’età, hanno proposto un’unificazione per la comparazione delle ricerche in campo scientifico (J Gerontol A Biol Sci Med Sci. 2001;56:M146–M156).
Hanno, così, ipotizzato che gli elementi, delineati nella figura su riportata, costituissero la presentazione clinica centrale della fragilità e che la loro presenza fenotipica potesse identificare la sindrome, permettendo anche di valutare un sottogruppo ad alto rischio di salute con esiti clinicamente avversi, associato alla fragilità. Gli autori hanno, così, utilizzato i dati dello studio prospettico osservazionale Cardiovascular Health Study, arruolando 5.317 persone di ambo i sessi di sessantacinque anni e più e ricevendo le valutazioni basali, in un follow-up dai quattro ai sette anni di esami annuali e di controllo ad ampio spettro, tra cui le malattie, il ricovero in ospedale, le cadute, la disabilità e la mortalità.
La fragilità è stata, così, definita da una sindrome clinica in cui tre o più dei seguenti criteri erano presenti: perdita di peso non intenzionale (10 chili in un anno), auto-riferimento di stanchezza, di debolezza (forza di presa), di bassa velocità nella marcia e di scarsa attività fisica. La prevalenza generale era del 6,9%, maggiore con l'età e nelle donne, rispetto agli uomini. L'incidenza in quattro anni era del 7,2%, maggiore negli afro-americani e nel caso di minore livello d’istruzione e di reddito.
Più recentemente, Abellan van Kan G dell’University Hospital Toulouse e collaboratori hanno svolto una revisione completa delle definizioni e degli strumenti di valutazione della fragilità, combinando le prove, derivate da una revisione sistematica della letteratura, con il GAP (Geriatric Advisory Panel), un concerto di opinioni di esperti europei, canadesi e americani (J Nutr Health Aging. 2008 Jan;12(1):29-37). Anche se non completamente raggiunto, il consenso sulla definizione era nel considerare la fragilità come un pre-stadio di disabilità. Pur tuttavia, derivando la disabilità dalla fragilità, piuttosto che esserne la causa, l’anziano fragile non necessariamente deve essere disabile, per cui il GAP escludeva interferenze delle due condizioni sia per la loro definizione sia per gli strumenti di valutazione. Ciò nondimeno, anche se nessun metodo di valutazione consensuale potesse essere proposto, la velocità di andatura potrebbe rappresentare lo strumento più adatto a essere implementato, sia nella ricerca sia nella valutazione clinica delle persone anziane. In effetti, la valutazione della velocità di andatura al passo normale si proporrebbe come misura rapida, conveniente e altamente affidabile della fragilità.
Dal loro canto, Michelle Shardell dell’University of Maryland e collaboratori, considerando che sia l’insufficienza di vitamina “D” sia la sindrome di fragilità sono più frequenti nelle donne rispetto agli uomini, hanno voluto studiare la loro associazione, tenendo anche in conto che l’iperparatiroidismo, derivante dalla carenza vitaminica, potesse rappresentare un mediatore potenziale di tutto ciò (J Gerontol A Biol Sci Med Sci (2009). Hanno, quindi, analizzato 444 maschi e 561 femmine di età compresa tra sessantacinque anni e più, partecipanti allo studio InCHIANTI, per i quali fossero disponibili i livelli di 25 (OH) D e delle informazioni di fragilità, definita dalla presenza di almeno tre dei cinque criteri: lentezza, debolezza, basso dispendio energetico, stanchezza, perdita di peso. Gli uomini con 25 (OH) D <50 nmol / avevano una maggiore probabilità di fragilità rispetto a quelli con 25 (OH) D ≥ 50 nmol / L (odds ratio [OR] = 4,94, intervallo di confidenza al 95% [IC] = 1,80-13,61). Nelle donne, l’OR (IC 95%), aggiustato per la fragilità, era 1,43 (0,58-3,56). L’OR per la 25 (OH) D differiva tra i due sessi (p = 0,041). L’OR, peraltro, cambiava poco dopo il controllo per il PTH. Tuttavia, quando il basso dispendio energetico era escluso dalla definizione di fragilità, l’OR (95% CI), aggiustato per la stessa era negli uomini 2,18 (0,59-8,04) e, dopo controllo per il PTH, si abbassava del 32%. Nelle donne, l'OR (IC 95%) per la fragilità (basso dispendio energetico escluso) era 1,54 (0,31-7,58) e calava del 6% dopo il controllo per PTH. In conclusione, l’insufficienza vitaminica si associava a fragilità negli uomini, ma non nelle donne e il PTH sembrava mediare la relazione tra 25 (OH) D e gli aspetti di spesa non energetica della fragilità.
in seguito, Abellan van Kan G e collaboratori, considerando che in letteratura erano reperibili due definizioni principali di fragilità, sulla base dei cluster delle componenti, hanno pubblicato un aggiornamento su tale tema (Clin Geriatr Med. 2010 May;26(2):275-86). Da una parte il fenotipo fisico, reso operativo nel 2001 con la lista dei cinque elementi misurabili di menomazioni funzionali, in conformità ad accumulazione dei deficit individuati dalla completa valutazione geriatrica, che considera la disabilità e la comorbidità, come la demenza, entità distinte e, quindi, possibili esiti della sindrome di fragilità. Dall’altra, i modelli ampliati di fragilità fisica, che comprendono gruppi diversi dall'originale dei cinque elementi, come la demenza, che hanno aumentato notevolmente la capacità di predire gli esiti clinici negativi, se confrontati al fenotipo fisico. La controversia irrisolta delle componenti forma il cluster originale della sindrome di fragilità e gli elementi dipendono molto da come viene essa stessa definita. Nell’attuale aggiornamento gli autori hanno dato crescente risalto alla velocità dell’andatura, considerata strumento di screening, come singolo elemento di fragilità. La valutazione della velocità di deambulazione su una distanza breve emerge nella letteratura come uno strumento capace di identificare, tra i più anziani, i fragili e la sua lentezza si è dimostrata un forte predittivo degli esiti avversi della fragilità.
La fragilità, in definitiva, può essere descritta come uno stato di maggiore vulnerabilità a fattori di stress, che deriva da una riduzione delle riserve fisiologiche e da una condizione di disregolazione multisistemica con consequenziale limitata capacità di mantenere l'omeostasi e di rispondere alle sollecitazioni interne ed esterne. Pertanto, la fragilità sarebbe l’espressione di un’aggregazione del rischio fisiopatologico risultante dall’età o dall’accumulo di malattie associate che decrementano la soglia di normalità di funzione di sistemi multipli con sbocco nei fenomeni avversi per la salute.
Peggy M del California Pacific Medical Center, San Francisco e
collaboratori per identificare empiricamente i raggruppamenti di forza, di prestazioni fisiche, di adiposità della massa magra e provare come i raggruppamenti stessi di tali misure correlate potessero riferirsi al rischio di disabilità, hanno studiato 1.263 donne e 1.221 uomini, valutandone il peso, la forza (estensione del ginocchio, la capacità di afferrare), la velocità del camminare, di alzarsi dalla sedia, la percentuale di grassi della massa grassa e magra del corpo, del braccio e della gamba, della coscia, stratificando le analisi in base al sesso (J Am Geriatr Soc. 2011 May;59(5):781-7).
L'adiposità e la performance fisica, ma non la forza e la parte magra del corpo, hanno dimostrato di essere associate al rischio di disabilità, suggerendo per le prime l’indicazione di fattori di rischio per la disabilità.