Apporti dietetici di riferimento per il calcio e la Vit. “D”
In particolare, A. Catharine Ross della Pennsylvania State University e collaboratori in una loro recente pubblicazione (The Journal of Clinical Endocrinology & MetabolismJanuary 1, 2011 vol. 96 no. 1 53-58) hanno riportato i valori consigliati per il Ca++ e la vitamina “D”, alle condizioni di minima esposizione al sole per le varie età e condizioni (Food and Nutrition Board, Institute of Medicine. Dietary Reference Intakes for Calcium and Vitamin D. Washington, DC; National Academies Press, 2011).
Tutto ciò per prevenire e curare lo stato di carenza della vitamina con i suoi effetti negativi sulla salute. Peraltro a tale proposito, bisogna considerare l’evidenza emersa dagli esami trasversali multipli comprovanti negli adulti un rapporto più o meno deciso tra i livelli del PTH e della 25 (OH) D sierici, con un plateau di soppressione del primo una volta che si raggiungano i 30 ng/mL circa della seconda. Su tale logica, è stato indicato questo valore come soglia della definizione ottimale della vitamina. Tuttavia, questa definizione rappresenta un valore medio a livello di popolazione, ma non l'ampia variazione della stessa per la sua adeguatezza a livello individuale. Peraltro, molti pazienti hanno livelli di 25 (OH) D molto bassi, senza l’evidenza dell’aumentata produzione del PTH e viceversa e, ancora, i livelli superiori ai 30 ng / ml di 25 (OH) D spesso non sogliono garantire la soppressione del PTH. La determinazione dei livelli circolanti della 25 idrossivitamina D (25-OHD) è, come detto in altra sezione, prassi utile per valutare il pool della vitamina disponibile nei singoli individui nella pratica clinica, tenendo conto che l’Unità Internazionale (UI), definita come attività di 0,025 µg di colecalciferolo nei biotest con topi e pulcini, è ancora d’uso corrente. Per la conversione si deve, comunque, considerare che 40 UI di Vitamina D3 equivalgono a un mg e che 2.5 nmol/L a 1 ng/mL.
Conviene sempre ribadire, peraltro, che le più recenti evidenze tendono a dimostrare come il deficit di vitamina “D” rappresenti una vera e propria epidemia mondiale. Difatti, le ultime stime riportano il rischio per tutte le fasce d'età ben superiore al 50% della popolazione. Peraltro, anche chi è altrimenti sano non ne è immune e la realtà dovrebbe essere di gran lunga maggiore, rispetto ai numeri sino ad ora indicati, anche perché i dati pubblicati derivano spesso dall’uso della soglia, ormai superata (cut off point), dei 30 ng / mL (70 nmol / L). In vero, recenti evidenze dimostrano gli effetti benefici della vitamina ai livelli sierici di circa 50 ng / ml (125 nmol / L) o superiori, effetti, di certo, non riscontrati ai valori inferiori ai 40 ng / ml (120 nmol / L). Tali osservazioni suggerirebbero, di fatto, la necessità di una revisione del rialzo della soglia per il riferimento della sua carenza. Su tale base, è ragionevole, quindi, ritenere che, aumentando la soglia di definizione al livello di 50 ng / ml (125 nmol / l), debba conseguentemente aumentare, anche sino al 90% o più, la percentuale della popolazione ritenuta carente.