La vit. “D” nell’anziano
Gli anziani, soprattutto quelli più fragili, per molteplici cause tendono a essere maggiormente coinvolti nell’ipovitaminosi “D”: per errori alimentari, per ridotta esposizione solare, per diminuzione della conversione cutanea del D7-deidrocolesterolo a vitamina D3, per iperparatiroidismo secondario.
In via complementare, il rischio di fratture tende ad aumentare esponenzialmente con l'età per la caduta della densità minerale ossea, per cui nell’arco della propria vita quasi la metà delle donne va incontro a una frattura scheletrica. Peraltro, i livelli della vitamina “D” sono risultati generalmente legati all’età, al tipo di vita dell’anziano e alla concomitanza di fratture. In effetti, l'efficienza della produzione cutanea della vitamina dal suo precursore 7-deidrocolesterolo suole diminuire con l'invecchiamento, a differenza del suo assorbimento intestinale che tende a persistere adeguato anche in età molto avanzata. Difatti, la somministrazione orale di 50.000 UI di D3 comporta aumenti della concentrazione sierica della vitamina, simili ai giovani adulti.
Naturalmente, in caso di sindrome di malassorbimento, come nella malattia celiaca, possono verificarsi gravi compromissioni generali dell'assorbimento, che coinvolgono anche la vitamina D3.
Nell’età avanzata è ben conservata anche l’idrossilazione epatica a 25 (OH) D, potendo, però, questa tappa metabolica essere compromessa da una malattia dell’organo. Può, invece, diminuire l’idrossilazione ulteriore a 1,25 - (OH) 2D nel rene, parallelamente con la riduzione della funzione renale, pur essendoci dati sperimentali che indicano che l'invecchiamento, di per sé, non debba necessariamente causare la diminuzione nel siero della 1,25 - (OH) 2D.
Per altro verso, la riduzione dell'assorbimento intestinale del calcio, correlata all’età, è stata attribuita alla diminuzione della 1,25 - (OH) 2D sierica. Pur tuttavia, sembrerebbe che lo stesso sia in parte indipendente dalla vitamina. A tal proposito, è bene ricordare che la concentrazione sierica della vitamina è strettamente controllata da un feedback negativo, per cui a ogni suo incremento nel sangue corrisponde un corrispettivo aumento dell'assorbimento intestinale del calcio, tendente a sopprimere la secrezione del PTH, a sua volta rivolto a ridurre la produzione della 1,25 - (OH) 2D. Il deficit della vitamina “D” è stato da più parti dimostrato nella frattura dell'anca, anche in rapporto alla riduzione del DBP (Vitamin D Binding Protein) del siero, correlata a quella dell'albumina. Tale dato ha fatto ipotizzare che, negli anziani non autosufficienti e in quelli con frattura dell'anca, l’abbassamento della 25 (OH) D e quello della 1,25 - (OH) 2D nel siero potrebbero essere dovuti alla diminuzione del DBP, in quanto la maggior parte dei metaboliti della vitamina si lega proprio a esso. In definitiva, però, si può affermare che il metabolismo della vitamina “D” è relativamente normale negli anziani in buona salute, ma che le malattie croniche possano interferire con esso, compromettendolo. Peraltro, la formazione della 1,25 - (OH) 2D può essere limitata dalla compromissione della funzionalità renale, ma, nel caso della sua carenza, anche dalla mancanza del suo supporto.