Vit. “D” e trapianto di cuore
Il trapianto cardiaco è oramai una terapia ampiamente diffusa per il trattamento della fase terminale dell’insufficienza cardiaca congestizia. La maggior parte dei candidati comprende quelli refrattari alla terapia medica convenzionale ed esclusi da altre scelte chirurgiche per le loro cattive condizioni. Circa il 45% dei pazienti, nelle fasce sempre più giovani della popolazione, presentano una cardiomiopatia ischemica in progressivo aumento a causa della maggiore prevalenza della malattia coronarica. Peraltro, il 54% ha anche una qualche forma di cardiomiopatia dilatativa, spesso di origine non chiara, mentre il rimanente 1% rientra nella categoria di altre malattie, come quelle congenite, non suscettibili di correzione chirurgica. Dal momento che Christian Barnard eseguì il primo trapianto di cuore con relativo successo in un essere umano nel 1967 in Sud Africa, dopo i tentativi del 1905 su animali quando Alexis Carrel trapiantò il cuore di un cucciolo nel collo di un cane, si sono succedute tecniche migliorative con gli opportuni interventi d’immunosoppressione. Nel 1983 l'uso clinico della ciclosporina e di seguito di altri farmaci, ha, in effetti, rivoluzionato il campo del trapianto cardiaco, permettendo di ottenere tassi di sopravvivenza sempre maggiori e producendo, così, un aumento esplosivo del numero dei centri dedicati a tale particolare cura.
Per quanto riguarda la vitamina “D”, nei candidatial trapianto d'organo con insufficienza cardiaca congestizia sono stati documentati suoi bassi livelli, come nello stadio terminale della malattia polmonare, dell’insufficienza epatica e della malattia renale cronica. A tale proposito si sono avanzate diverse ipotesi, quali la limitata esposizione alla luce solare e la bassa assunzione alimentare della vitamina, ma anche la disfunzione epatica, consequenziale alla congestione derivante dallo scompenso cardiaco e da altre epatopatie concomitanti in cui la 25-idrossilazione della sostanza potrebbe essere compromessa.
Emily M. Stein della Columbia University, New York e collaboratori hanno voluto compiere uno studio trasversale su sessantanove pazienti, quarantasei trapiantati di cuore e ventitré di fegato, di età media di cinquantatrè anni, con lo scopo di valutare e confrontare direttamente la prevalenza d’insufficienza della vitamina “D” <75 nmol / L. Al momento del trapianto cardiaco o epatico, la 25OHD media era ben sotto il limite inferiore dell'intervallo di normalità (43,2 ± 21,2 nmol / L).
Il 91% dei pazienti aveva livelli sotto i 75 nmol / l, soglia comunemente usata per indicare la sufficienza, e il 71% inferiori ai 50 nmol / L. La grave carenza (25OHD <25 nmol / l) era riscontrata nel 16%.
In conclusione, una grave carenza di vitamina “D” è molto probabile nei pazienti con trapianto di cuore e di fegato. Peraltro, nello stadio terminale della malattia epatica il rischio aumenta notevolmente, probabilmente a causa dei fattori correlati, come il malassorbimento e il peggioramento dell’insufficiente 25-idrossilazione della vitamina. Pertanto risulta importante per i medici mantenere un elevato grado di vigilanza per questa condizione con supplementi della vitamina per fornire benefici sia scheletrici sia extra (Clin Transplant. 2009 Nov-Dec; 23(6): 861–865).