Vit. “D” e infarto del miocardio
Dal suo canto Edward Giovannucci dell’Harvard School of Public Health, Boston, Massachusetts e collaboratori (Arch Intern Med 2008; 168:1174–1180) hanno valutato prospetticamente più di 18.000 uomini dell’Health Professionals Follow-up Studydi età dai quaranta ai settantacinque anni, senza diagnosi di malattie cardiovascolari al momento della campionatura dei prelievi di sangue, confrontando il basso livello sierico di vitamina (<37,5 nmol / l) con quello più ottimale (> 75 nmol / L). Durante i dieci anni di follow-up, 454 uomini sono andati incontro a un infarto miocardico non fatale o a una malattia coronarica fatale. L'incidenza di eventi cardiovascolari era 2,09 volte maggiore negli uomini con i bassi livelli di vitamina, con una differenza statisticamente significativa. Dopo aggiustamento per le variabili abbinate, i soggetti con deficit di 25 (OH) D (15 ng / mL) dimostravano un aumentato rischio d’infarto miocardico, rispetto a quelli considerati in stato di sufficienza di 25 (OH) D (30 ng / mL) (rischio relativo [RR], 2,42, 95% intervallo di confidenza [IC], 1,53-3,84, p <0.01).
Dopo successivo aggiustamento per la storia familiare d’infarto miocardico, indice di massa corporea, consumo di alcool, attività fisica, storia di diabete mellito e livelli d’ipertensione, etnia, regione, assunzione di omega-3, LDL e HDL, trigliceridi, questa relazione rimaneva significativa (RR 2,09, 95% IC, 1,24-3,54, p = .02). Anche con i livelli intermedi di 25 (OH) D vi era un rischio elevato, rispetto a quelli sufficienti (22,6-29,9 ng / mL: RR, 1,60 [95% IC, 1,10-2,32]; e 15,0-22,5 ng / mL: RR, 1,43 [95% IC, 0,96-2,13], rispettivamente).
In conclusione, la bassa 25 (OH) D corrispondeva a un più alto rischio d’infarto miocardico, in maniera graduale, anche dopo aggiustamento per i fattori noti, associati alla malattia coronarica.
Bryan Kestenbaum dell’University of Washington e collaboratori hanno voluto valutare l’associazione, separatamente e in combinazione, della 25-OHD e del PTH (ormone paratiroideo) con gli eventi cardiovascolari e la mortalità durante i quattordici anni di follow-up del CHS (Cardiovascular Health Study), in rapporto all’evidenza dell’abbastanza comune frequenza dell’insufficienza della prima e dell'eccesso del secondo negli anziani (J Am Coll Cardiol, 2011; 58:1433-1441). Hanno, così, arruolato un totale di2.312 persone senza malattia cardiovascolare al basale, monitorando tutti i casi d’infarto del miocardio, d’insufficienza cardiaca, di morte cardiovascolare e di mortalità per qualsiasi causa. Trecentottantaquattro partecipanti, corrispondenti al 17%, avevano livelli sierici di 25-OHD <15 ng / ml e 570, il 25%, PTH di 65 pg / ml. Dopo aggiustamento, ogni concentrazione di 25-OHD inferiore di 10 ng / ml si associava a un 9% in più (IC (intervallo di confidenza) 95%: 2% al 17%) del rischio relativo di mortalità e a un 25% maggiore (IC 95%: 8% al 44%) rischio relativo d’infarto miocardico. Livelli sierici di 25-OHD <15 ng / ml si associavano anche a un rischio di mortalità del 29% superiore (IC95%: 5% al 55%). D’altro canto, le concentrazioni sieriche di PTH di 65 pg / ml si associavano a un maggiore rischio del 30% d’insufficienza cardiaca (IC 95%: 6% al 61%), ma non di altri esiti. Non era, peraltro, evidente un’interazione tra i livelli sierici di 25-OHD e le concentrazioni di PTH e di eventi cardiovascolari.