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notiziario Novembre 2011 N°10 - VITAMINA “D” E MALATTIE CARDIOVASCOLARI - Vit. “D” e scompenso cardiaco

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Indice
notiziario Novembre 2011 N°10 - VITAMINA “D” E MALATTIE CARDIOVASCOLARI
Le malattie non trasmissibili nel mondo
Morti globali attribuite ai 19 principali fattori di rischio, in rapporto al livello del reddito dei paesi
Le malattie non trasmissibili in Italia
Tassi di mortalità dai 35 - 74 anni per 100.000 abitanti per malattie cardiovascolari (mcv), malattia coronarica (sca), ictus e decessi totali (dt) in alcuni paesi del mondo
Tasso delle morti per malattie cardiovascolari negli Stati Uniti
Tasso delle morti per malattie cardiovascolari in Europa
Vit. “D”, arteriosclerosi
Vit. “D” e PAD(arteriopatia ostruttiva periferica)
Vit: “D” e calcificazione (calcium score) coronarica
Vit. “D” e infarto del miocardio
Vit. “D” e scompenso cardiaco
Vit. “D” scompenso e morte cardiaca improvvisa
Vit. “D” e trapianto di cuore
Vit. D, PTH e aterosclerosi carotidea
Vit. “D” e ictus
Tutte le pagine

Vit. “D” e scompenso cardiaco

La vitamina “D”, proposta ormai come importante mediatore della pressione arteriosa e delle malattie cardiovascolari, sarebbe associata, nei pazienti con i  bassi livelli, con esiti particolarmente avversi, anche all’insufficienza cardiaca. Ciò proprio in relazione al fatto che molte comorbidità sono comuni alle due condizioni, quali l’ipertensione, l’aterosclerosi e il diabete. Peraltro, i dati sperimentali più recenti stanno sempre più confermando la convinzione che la vitamina rappresenti un vero e proprio fattore cardioprotettivo.

In effetti, per molti eventi cardiovascolari è stata ampiamente provata la variabilità stagionale, con inizio in settembre e con picco d’incidenza nei mesi invernali, in rapporto verosimile, almeno in parte, alla diminuzione delle riserve corporee della sostanza. Ancora di recente, sono stati segnalati diversi casi di grave cardiomiopatia in concomitanza dei suoi bassi livelli, soprattutto nei bambini con pelle scura.

Essa, da considerare ormai un ormone steroide, regola, in effetti, l'espressione di molti geni con ruolo di primo piano nella progressione dell'insufficienza cardiaca, come le citochine e gli ormoni. In particolare, si propone come regolatore negativo del sistema renina-angiotensina-aldosterone e studi sperimentali sui topi, privi del recettore vitaminico, hanno dimostrato lo sviluppo d’ipertensione e del rimodellamento cardiaco patologico, mediati dal sistema renina-angiotensina. Peraltro, l’evidenza dell’espressione del recettore specifico nel cuore è riprova della sua azione modulatrice sull’ipertrofia cardiaca, associata all'espressione di altri geni ipertrofici, come i peptidi natriuretici. Il cuore, quindi, secondo le più recenti ricerche, è da ascrivere tra gli organi bersaglio più importanti della vitamina, sia a livello genomico sia no. I miociti, quindi, esprimono il VDR (recettore della vitamina D) e diversi modelli di studi sperimentali dell’ipertensione degli animali hanno dimostrato che la vitamina è in grado di prevenire l'ipertrofia cardiaca. In effetti, crescenti sono le prove che confermano l’importanza della sua carenza nello sviluppo dello scompenso cardiaco congestizio e anche della morte cardiaca improvvisa. Inoltre, va considerato, come fattore aggiuntivo a tutto quanto sopra, che essa tende ad aumentare la secrezione dell’ormone paratiroideo, a sua volta concausa di sviluppo d’insulinoresistenza, di diabete, d’ipertensione e d’infiammazione. Infine, è importante tenere presente che l'ipocalcemia, di per sé, può essere causa reversibile di scompenso cardiaco, suscettibile di guarigione attraverso la correzione dei livelli del calcio e delle cause sottostanti.

Interessante appare anche la dimostrazione del dicembre 2009 di R. Simpson e collaboratori di una variante del gene responsabile per l'attivazione della vitamina“D”, associata allo sviluppo d’insufficienza cardiaca congestizia nei soggetti con ipertensione (vedi notiziario di marzo 2010 N° 3).

Tuttavia, pur essendoci dati epidemiologici e studi meccanicistici a forte sostegno dell’effetto potenzialmente cardioprotettivo della vitamina, non è ancora chiaro il valore della sua supplementazione e l’utilità del suo uso nella prevenzione e/o terapia dell'insufficienza cardiaca.

Comunque, la sua carenza produce ben noti impatti sul metabolismo del calcio e innesca meccanismi di compensazione secondaria attraverso l’iperattività delle paratiroidi.

Già nel 1997 Elizabeth Shane e collaboratori del Presbyterian Hospital New York (Am J M ed. 1997 Sep;103(3):197-207), considerando che l’insufficienza cardiaca congestizia, a differenza di quella renale ed epatica, non era stata ancora associata con un disordine metabolico osseo ben definito, studiarono 79 uomini e 22 donne, tra i 25 ei 70 anni, con grave scompenso di  classe funzionale III o IV NYHA (New York Heart Association) e  dimostrarono che l'osteoporosi (T score < o = -2,5) era presente nel 7% a livello della colonna lombare, il 6% a livello dell'anca totale e il 19% del collo femorale, mentre l’osteopenia (punteggio T tra -1,0 e -2,5) nel 43% a livello della colonna lombare, nel 47% a livello dell'anca totale e nel 42% del collo femorale.  Le donne, peraltro, presentavano maggiore gravità (p = 0,007). I bassi livelli sierici di 25-OHD (< o = 9 pg / mL) e di 1,25 (OH) 2D (< o = 15 pg / mL) si riscontravano rispettivamente nel 17% e 26% dei pazienti e gli elevati livelli sierici di PTH (> o = 65 pg / ml) nel 30%. Entrambi i bassi livelli sierici di 1,25 (OH) 2D e gli aumentati di PTH si associavano con azotemia prerenale. Peraltro, i bassi livelli sierici dei metaboliti della vitamina correlavano con l’evidenza biochimica del turnover osseo aumentato, ma la BMD (bassa densità minerale ossea) non differiva dallo stato della vitamina “D” o del PTH. Inoltre, i pazienti con più grave scompenso avevano i metaboliti della vitamina significativamente più bassi e maggiori segni del turnover osseo, mentre il PTH elevato si associava con una migliore LVEF (left ventricular ejection fraction)(21 + / - 1 contro 18 + / - 1%, p = 0,05) e correlava positivamente con la gittata cardiaca a riposo (R = 0,220, p = 0,04). In conclusione, l'osteopenia o l’osteoporosi si osservavano in circa la metà di questi pazienti con grave scompenso insieme alle anomale concentrazioni di ormone calciotropo, con evidenza di aumento del riassorbimento osseo, mentre erano disgiunte dalla BMD. Inoltre, le concentrazioni anormali dell’ormone calciotropo correlavano con la gravità della compromissione cardiovascolare. Sulla scorta di questi dati, gli autori consideravano opportuna un’attenta valutazione del ricambio del calcio nei pazienti con scompenso cardiaco.

Licette C.Y. Liu dell’University of Groningen, The Netherlands e collaboratori hanno misuratola 25 (OH) D, la PRA (attività della renina plasmatica), l’IL-6 (interleuchina-6), la CRP (proteina C-reattiva) e l'incidenza di morte o di riospedalizzazione in 548 pazienti con HF (scompenso cardiaco), d’età media di 74 (64-80) anni, con frazione di eiezione ventricolare sinistra del 30% (23-42) per un follow-up medio di diciotto mesi (Eur J Heart Fail (2011) 13 (6): 619-625).I livelli bassi della vitamina erano associati con il sesso femminile (p <0,001), l'età maggiore (P = 0,002) e i più alti valori del NT-proBNPN (N-terminal pro-brain natriuretic peptide) (P <0,001). L’analisi multivariata di regressione lineare mostrava anche che i livelli della PRA (P = 0,048) e del CRP (p = 0,006) erano predittivi indipendenti dei livelli di 25 (OH) D. Durante il follow-up, 155 pazienti morivano e 142 venivano riospedalizzati. L’analisi Kaplan-Meier mostrava che alla più bassa concentrazione della 25 (OH) D si associava un aumento del rischio per l'endpoint combinato (mortalità per tutte le cause e riospedalizzazione) (log rank test p = 0,045) e un aumentato rischio di mortalità per qualsiasi causa (log rank test P = 0,014). Dopo aggiustamento in un’analisi di regressione Cox multivariata, la bassa 25 (OH) D rimaneva associata, in modo indipendente, all’aumentato rischio per l'endpoint combinato [hazard ratio (HR) 1,09 per 10 nmol / L di diminuizione; IC (intervallo di confidenza) al 95%: 1.00-1,16, p = 0,040] e per la mortalità per qualsiasi causa (HR 1,10 per 10 nmol / L di diminuizione, IC 95% 1,00-1,22, p = 0,049). In conclusione, la bassa concentrazione di 25 (OH) D si associava a una prognosi sfavorevole nei pazienti con scompenso cardiaco. In tal caso, l'attivazione del sistema RAS e l'infiammazione dovrebbero essere chiamate in causa per gli effetti negativi conferiti dalla carenza di vitamina “D”.

Louise Lind Schierbeck dell’Hvidovre Hospital, Denmark e collaboratori hanno, per loro parte, compiuto uno studio prospettico su 148 pazienti ambulatoriali, di cui 102 uomini, con scompenso, di età media di sessantotto anni, per un follow-up per la mortalità di tre anni e mezzo, misurando i livelli dello NT-proBNP, del PTH, della 25-OHD e di molti altri biomarcatori (Eur J Heart Fail(2011)13(6):626-632). Gli AA hanno eseguito l’analisi di regressione multivariata con aggiustamento per le altre variabili prognostiche indipendenti sulla mortalità generale e su quella cardiovascolare. Il deficit vitaminico “D” (≤ 50 nmol / L) era prevalente nel 43% della popolazione, mentre il 26% aveva elevati livelli di PTH, senza che ci fosse un caso d’iperparatiroidismo primario. Si rilevava una forte associazione indipendente e significativa, sia per il PTH sia per la vitamina “D”, nei riguardi della mortalità, indipendentemente da altri parametri clinicamente importanti [NT-proBNP, velocità di filtrazione glomerulare stimata (eGFR), età e frazione di eiezione ventricolare sinistra (LVEF)]. Entrambi il PTH e la vitamina “D” erano significativamente associati alla mortalità per tutte le cause. In un modello regolare, l’hazard ratio era 1,9 (intervallo di confidenza 1,1-3,4) per il deficit di vitamina e 2.0 (1,0-3,8) per la mediana superiore del PTH. In conclusione, in questo studio prospettico, relativamente piccolo, il PTH e la vitamina “D” mostravano un’associazione indipendente con la mortalità per tutte le cause e quella cardiovascolare nei pazienti con scompenso cardiaco e tale dato risultava anche indipendente da altri fattori di rischio noti, come l’eGFR, la LVEF, il NT-proBNP e l’età.



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