La dieta mediterranea aumenta la speranza di longevità
La lunghezza dei telomeri, o meglio il tasso del loro accorciamento, sono stimati un biomarker dell'invecchiamento biologico. In tale contesto, l’alimentazione ricca di particolari nutrienti è stata considerata efficace nel ritardare il processo dell’invecchiamento anche perché riduce il rischio di molte malattie croniche. Diversi studi, infatti, hanno focalizzato il loro interesse sul ruolo della lunghezza dei telomeri nel dinamismo della senescenza e dello sviluppo delle malattie croniche associate con l'invecchiamento fisiologico cellulare. Pur tuttavia, anche se la lunghezza dei telomeri può predire i risultati clinici e la mortalità tra gli esseri umani, le cellule con telomeri accorciati rimangono geneticamente stabili se il sistema di manutenzione, che comprende principalmente la telomerasi, è pienamente operativo. Fattori metabolici, come il grasso addominale e l’aumento dei livelli circolanti del glucosio, sono legati ai telomeri più corti e all'attività telomerasica più bassa. Tale dato di fatto sulla manutenzione dei telomeri è di supporto al ruolo dello stile di vita e dei fattori ambientali. La dieta, di certo, ha un effetto importante sulla salute umana con una correlazione già valutata in numerosi studi. Limitate sono, invece, le evidenze sull'importanza relativa dell’assunzione di una dieta sul mantenimento dei telomeri e sulla loro stabilità. Le evidenze scientifiche degli ultimi anni, emerse, peraltro, dagli studi clinici su larga scala sulla popolazione, hanno stabilito che la dieta, e in particolare quella ricca di frutta, verdura, pesce e latticini a basso contenuto di grassi, è associata a una minore incidenza di varie malattie croniche, portando la sopravvivenza ai più alti valori ottimali. Di conseguenza, la LTL (Leukocyte telomere length) è stata associata sempre più a una dieta salubre con una maggiore assunzione di antiossidanti, consumo ridotto di carne trasformata, assunzione congrua di frutta e verdura e povera di grassi. I telomeri, difatti, possono considerarsi una sorta di orologio cellulare. A ogni divisione della cellula si accorciano fino ad arrivare a una soglia critica, oltre la quale non possono più ridursi. A questo punto, parte il processo della senescenza cellulare. Si sono, così, già dimostrate le influenze dei vari nutrienti della dieta e dei cambiamenti dello stile di vita sulla lunghezza dei telomeri. Si sono anche messi in evidenza i meccanismi attraverso cui si riflettono i particolari e specifici ruoli nelle funzioni cellulari, tra cui l'infiammazione, lo stress ossidativo, l'integrità del DNA e la metilazione del DNA.
In definitiva, le abitudini alimentari e la qualità della dieta sono sempre più all’attenzione degli studiosi per cogliere i loro rapporti con la longevità.
Come descritto da Jenny NS dell’University of Vermont College of Medicine, Burlington – USA, l'invecchiamento è un processo degenerativo progressivo strettamente integrato con l'infiammazione, ma con causa ed effetto poco chiare (Discov Med. 2012 Jun;13(73):451-60). Le teorie sviluppate nel tentativo di definire il ruolo dell’infiammazione cronica sono state basate sullo stress ossido riduttivo, sul danno mitocondriale, sulla senescenza immunologica ed endocrinologica, sulle modificazioni epigenetiche e sulle malattie legate all'età. Tuttavia, nessuna soddisfa tutti gli aspetti dell'invecchiamento ed è probabile che molteplici processi contribuiscano insieme, intrecciandosi con le risposte infiammatorie. In particolare, i pazienti affetti dal virus dell'immunodeficienza umana (HIV) subiscono un fenomeno d’invecchiamento precoce che, proprio per chiarire meglio il ruolo dell’infiammazione nell'invecchiamento, può fornire utili indizi. Effettori ambientali e dello stile di vita possono anche contribuire alla modulazione sia dell'infiammazione sia della disfunzione legata all'età.
Guo Zhang dell’Albert Einstein College of Medicine, New York – USA e collaboratori, considerando l'invecchiamento come il risultato generale delle alterazioni funzionali graduali dell’intero organismo, hanno voluto chiarire se un particolare organo avesse il ruolo principale di mediarne il progresso, controllando la durata della vita (Nature Vol. 497,211–216 - 09 May 2013). L'ipotalamo, struttura a mandorla situata in profondità all'interno del cervello, è riconosciuto dotato dei fondamentali ruoli nella crescita, nello sviluppo, nella riproduzione e nel metabolismo. È ormai noto che l'infiammazione è coinvolta in varie malattie legate all'età, come la sindrome metabolica, le malattie cardiovascolari, quelle neurologiche e molti tipi di cancro. È stato anche dimostrato che le alterazioni infiammatorie nell’ipotalamo possono dare luogo a diverse componenti della sindrome metabolica. Peraltro, l'infiammazione suole coinvolgere numerose molecole e il NF-kB (nuclear factor κB) si trova proprio al centro della sua mappa normativa.
Gli Autori dimostravano che l'ipotalamo era importante per lo sviluppo dell’invecchiamento di tutto il corpo dei topi e riconoscevano alla base lo stato dell’immunità dell’ipotalamo, mediata dall’IKK-β (IκB kinase-β), dallo NF-kB e dall’interferenza immunitaria relativa alla microglia e al neurone. I topi dimostravano, così, indicatori dell’invecchiamento, come una diminuzione della forza e del trofismo muscolare, dello spessore della pelle e della loro capacità di apprendimento. Impedendo, invece, in diversi modelli di studio l'attivazione ipotalamica o del cervello da parte dello IKK-β e dello NF-kB si otteneva nei topi il ritardo dell’invecchiamento e il prolungamento della durata della vita con un aumento della longevità media di circa il 20% rispetto ai controlli. Inoltre, studi meccanicistici rivelavano che lo IKK-β e lo NF-kB inibivano il GnRH (gonadotropin-releasing hormone). In tal modo, queste sostanze mediavano la relazione con l'invecchiamento attraverso il declino dello GnRH sintetizzato nell'ipotalamo e il cui trattamento modificava la neurogenesi alterata dell’invecchiamento. Il rilascio dello GnRH nel sangue è di solito associato con la riproduzione. I ricercatori, ipotizzando che il ridotto rilascio dell’ormone dal cervello potesse contribuire all’invecchiamento di tutto l’organismo, l’hanno iniettato nel ventricolo ipotalamico dei topi anziani. Hanno, così, osservato sorprendentemente che le iniezioni proteggevano la neurogenesi alterata, associata con l'invecchiamento, con creazione di nuovi neuroni. Questo trattamento quotidiano nei topi anziani esercitava per un periodo prolungato benefici che includevano il rallentamento del declino relativo all'età cognitiva, probabilmente come risultato della neurogenesi.
In conclusione, secondo gli Autori, l'ipotalamo, tramite l'integrazione immuno-neuroendocrina, avrebbe un ruolo programmatico nello sviluppo dell’invecchiamento. Lo studio dell'infiammazione dell'ipotalamo, concentratosi sullo NF-kB (fattore nucleare kappa-light-chain-enhancer delle cellule B attivate) rilevava che l'infiammazione coinvolgeva centinaia di molecole e che il complesso si trovava proprio al centro di questa mappa normativa. L'inibizione immunitaria o il restauro dello GnRH nell'ipotalamo / cervello rappresenterebbero, quindi, due possibili strategie per ottimizzare la durata della vita e la lotta contro i problemi di salute, legati all'invecchiamento.
La dieta mediterranea (MD), per suo conto, è nel mondo una degli schemi alimentari più sani per dimostrate relazioni con una bassa morbilità e mortalità per diverse malattie croniche. In particolare, essa ha dimostrato effetti benefici sui fattori di rischio per le malattie cardiovascolari con regolarizzazione dei livelli delle lipoproteine nel sangue, con la vasodilatazione, con il miglioramento della funzione endoteliale, con la riduzione dell’insulinoresistenza, con la capacità antiossidante. Con essa si sono dimostrate riduzioni dell’incidenza dell’infarto miocardico acuto e della mortalità cardiovascolare globale. Crescenti evidenze, peraltro, dimostrano che l'adesione alla dieta di stile mediterraneo si correla con una maggiore longevità e, comunque, con un invecchiamento sano, non solo nei paesi del bacino del Mediterraneo ma anche in altri paesi. A tale proposito, è stato recentemente suggerito anche il legame tra la lunghezza dei telomeri o la loro manutenzione. Uno studio in vitro ha dimostrato, in effetti, che la dieta mediterranea protegge le cellule dallo stress ossidativo, ostacolando la senescenza cellulare, l’apoptosi cellulare e riducendo il logoramento dei telomeri.
Virginia Boccardi della Second University of Naples – Italy e collaboratori, proprio basandosi sul dato che la lunghezza dei telomeri dei leucociti (LTL) e il loro tasso di accorciamento sono biomarcatori dell’invecchiamento e che numerosi studi hanno dimostrato che la dieta mediterranea (DM) può aumentare la longevità, ne hanno voluto verificare la possibile correlazione insieme all'attività della telomerasi (PLoS ONE 2013, 8(4): e62781). Lo studio è stato condotto su 217 soggetti anziani, stratificati secondo il punteggio di aderenza alla dieta mediterranea (MDS):
1) bassa, come uguale o inferiore a tre,
2) media, da quattro a cinque,
3) alta, uguale o superiore a sei.
La LTL era misurata mediante reazione a catena della polimerasi quantitativa dell'attività telomerasica e secondo un protocollo di PCR-ELISA.
Il gruppo ad alta aderenza mostrava maggiore LTL (p = 0,003) e superiore attività della telomerasi (p = 0,013), rispetto agli altri. L'analisi di regressione lineare per età, sesso, abitudine al fumo e MDS mostrava che la MDS era indipendentemente associata con i livelli di attività della telomerasi (p = 0,006) e con la LTL (p = 0,024). L'attività della telomerasi era anche associata, in modo indipendente, con la LTL (p = 0,007) e modulata negativamente dall’infiammazione e dallo stress ossidativo. Infatti, i livelli di telomerasi erano associati con lo stato sano, indipendentemente dalle molteplici covariate (p = 0,048).
Questi risultati supportavano un nuovo ruolo della MD nella promozione della salute, suggerendo che la manutenzione dei telomeri, piuttosto che la variabilità della LTL, è la principale determinante dello stato di benessere degli anziani.
Dal loro canto, Dean Ornish dell’University of California San Francisco - USA e collaboratori, sulla base che la brevità dei telomeri negli esseri umani è un marcatore prognostico dell’invecchiamento, di malattia e di morbilità precoce, hanno voluto dimostrare l’associazione tra i cambiamenti di stile di vita globale e una maggiore attività della telomerasi nelle cellule del sistema immunitario umano (The Lancet Oncology, Volume 14, Issue 11, Pages 1112 - 1120, October 2013). Gli Autori hanno, così, seguito dieci uomini sottoposti a un programma di cambiamenti di stile di vita globale, contrapposti a venticinque controlli esterni. Il gruppo d’intervento seguiva, in particolare, un programma di dieta prevalentemente vegetariana con consumo di frutta, verdura e prodotti derivati da farine non raffinate. Era sottoposto anche a un esercizio fisico moderato, consistente quotidianamente in passeggiate di trenta minuti per sei giorni la settimana e a pratiche di riduzione dello stress, come stretching, yoga, meditazione e controllo del respiro. Inoltre, gli stessi soggetti erano inseriti in un programma di psicoterapia di supporto. I restanti venticinque soggetti non erano coinvolti in cambiamenti dello stile di vita e avevano solo la funzione di gruppo di controllo. I soggetti, arruolati tra il 2003 e il 2007 da studi precedenti e selezionati secondo gli stessi criteri, avevano eseguito una biopsia con evidenza di cancro alla prostata a basso rischio e avevano scelto di sottoporsi a sorveglianza attiva. Campioni di sangue a cinque anni permettevano il confronto della lunghezza dei telomeri e della relativa attività enzimatica telomerasi per la cellula vitale con i dati basali. Si valutava, quindi, la loro relazione con il grado di cambiamento dello stile di vita. La relativa lunghezza dei telomeri aumentava rispetto al basale nel gruppo d’intervento di stile di vita, mentre diminuiva in quello di controllo con un p = 0.03 di differenza. Quando i dati dei due gruppi erano combinati insieme, l'adesione allo stile di vita era significativamente associata con la relativa lunghezza dei telomeri, dopo aggiustamento per età e durata del follow up. Per ogni punto percentuale di aumento del punteggio di aderenza allo stile di vita il rapporto T / S cresceva dello 0,07, IC 95 % 0.02 -0 · 12, p = 0.005). Nel gruppo d’intervento dello stile di vita l'attività della telomerasi a cinque anni diminuiva di 0,25 (-2 · 25-2,23) unità rispetto al basale, mentre di 1,08 (-3 · 25-1,86) in quello di controllo (p = 0.64). Non si registrava un’associazione con l'aderenza ai cambiamenti dello stile di vita (rischio relativo 0.93, IC 95 % 0.72 -1 · 20, p = 0.57).
In conclusione, secondo gli Autori in questo piccolo studio pilota l’intervento di stile di vita globale si associava dopo i cinque anni di follow - up con gli aumenti di relativa lunghezza dei telomeri, rispetto ai controlli. Dalle analisi risultava, in effetti, che nei soggetti sottoposti a intervento i telomeri si erano allungati di circa il 10%, anche in via proporzionale al rigore con cui i singoli individui si erano adattati al training. Gli studiosi commentavano anche che con ogni probabilità l’effetto verificato era mediato da un aumento della telomerasi, determinato dal corretto stile di vita.