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notiziario Aprile 2012 N°4 - EVIDENZE SUL DECLINO COGNITIVO I^ parte - La β-amiloide può predire il declino cognitivo?

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Indice
notiziario Aprile 2012 N°4 - EVIDENZE SUL DECLINO COGNITIVO I^ parte
Invecchiamento e declino cognitivo
Il DCL o declino cognitivo lieve
La β-amiloide può predire il declino cognitivo?
Sottotipi del decadimento cognitivo lieve
Il declino cognitivo lieve è più frequente negli uomini o nelle donne?
Natura del deficit di memoria del declino cognitivo lieve
La riserva cognitiva ne influenza il declino?
Sul tempo d’insorgenza del declino cognitivo
Dedifferenziazione terminale delle abilità cognitive
Sulla progressione del decadimento cognitivo lieve
Tutte le pagine

La β-amiloide può predire il declino cognitivo?

I recenti progressi nella neuroimaging cerebrospinale, nel liquido cefalorachidiano (CSF) e su altri biomarker forniscono oggi giorno la capacità di individuare i segni del processo fisiopatologico della MA in vivo. Dati emergenti in individui anziani clinicamente normali suggeriscono che la verifica dell’accumulo della β-amiloide (βA) si associa funzionalmente e strutturalmente alle alterazioni cerebrali in linea con i modelli delle anomalie osservate nei pazienti con decadimento cognitivo lieve (DCL) e la demenza Alzheimer (MA). Inoltre, studi di coorte clinica suggeriscono che ci possono essere alterazioni cognitive molto sottili rilevabili già anni prima che si risponda ai criteri per il DCL e che facciano prevedere la progressione verso la MA. È anche chiaro, tuttavia, che alcuni individui più anziani, che presentano il processo fisiopatologico della MA, non arriveranno mai a diventare sintomatici durante la loro vita. Pertanto, allo stato attuale si rileva la fondamentale necessità di meglio definire il biomarker e / o il profilo cognitivo che meglio possa predire la progressione dalla fase preclinica a quella clinica del DCL verso la MA. Invero, la lunga fase preclinica della MA fornirebbe già un'opportunità critica per l’intervento potenziale della terapia che possa modificare il decorso della malattia, se si fosse in grado di chiarire il legame tra il processo fisiopatologico della MA e la comparsa della sindrome clinica.
In effetti, la diagnosi clinica delle malattie neurodegenerative, quali il morbo di Alzheimer, è tipicamente basata sulle progressive debilitazioni cognitive, avendo escluso altre malattie. Tuttavia, la diagnosi clinica è spesso difficile nei casi con sintomi lievi e non specifici che possono essere attribuiti a patologie diverse e sovrapposte, in quanto si presentano come fenotipi simili. Di conseguenza, la diagnosi definitiva delle malattie neurodegenerative è ancora affidata alle pratiche post-mortem. All’esame autoptico il cervello del malato di Alzheimer è caratterizzato da una grave atrofia corticale e microscopicamente dalla presenza di placche extracellulari β-amiloidi e di grovigli neurofibrillari intracellulari. Si sono ottenuti, soprattutto recentemente, grandi progressi nello sviluppo dei traccianti d’imaging PET per il rilevamento non invasivo della β-amiloide. In tale contesto, le recenti comunicazioni scientifiche definiscono il Pittsburgh Compound B (PIB), come il migliore mezzo di successo per meglio caratterizzare e legarsi preferenzialmente alla β-amiloide fibrillare delle placche e con affinità molto inferiore alle forme oligomeriche di quella specie di β-amiloide ritenuta tossica nella malattia di Alzheimer. Pur tuttavia, da una parte gli studi PET d’imaging hanno confermato che la deposizione di βA si verifica ben prima della comparsa dei sintomi, supportando l'ipotesi che questo dato rappresenta la malattia preclinica di Alzheimer. Dall’altra parte è mancata la dimostrazione di una correlazione tra deposizione della βA nella placca con il decadimento cognitivo della malattia di Alzheimer, suggerendo che i marcatori per i diversi effetti e a valle della stessa βA potrebbero essere più adatti per valutare la progressione della malattia. Di conseguenza, si è maturata la necessità di nuovi ligandi per l’indagine alternativa di biomarcatori, come indicatori specifici della neurodegenerazione. Tali agenti possono, di certo, rivelarsi preziosi per la diagnosi, il follow-up e il monitoraggio terapeutico della malattia di Alzheimer e delle altre demenze. Un biomarker evidente è la tau, una MAP (microtubulo-associated-protein), particolarmente abbondante nei neuroni, e più particolarmente i suoi depositi anomali iperfosforilati, come i grovigli neurofibrillari, i fili neuropili e i neuriti distrofici circostanti le placche della βA, una caratteristica patologica della malattia di Alzheimer. Tuttavia, i depositi tau sono anche una caratteristica di un più ampio gruppo di malattie neurodegenerative, denominate taupatie, tra cui la sporadica degenerazione corticobasale, la paralisi sopranucleare progressiva, la malattia di Pick, ma anche la demenza fronto-temporale e il parkinsonismo legato al cromosoma 17 (FTDP-17). A differenza della deposizione della βA nella placca, studi post-mortem nell’uomo indicano che la densità del groviglio neurofibrillare correla con la neurodegenerazione e il deterioramento cognitivo. Inoltre, nei soggetti, non deteriorati cognitivamente, non si osservano abbondanti grovigli neurofibrillari, in contrasto con le placche di βA presenti in alcune persone non-dementi. Peraltro, la CSF-tau e la fosfo-tau (ptau181) si sono rivelate utili biomarcatori per la diagnosi della malattia di Alzheimer. Nonostante che la valutazione quantitativa dei livelli liquorali di tau e fosfo-tau possano essere biomarcatori affidabili della neurodegenerazione, la puntura lombare, però, rappresenta una procedura invasiva per lo screening diffuso della popolazione a rischio. Inoltre, le misure sul CSF non forniscono informazioni sulla deposizione regionale tau del cervello che possono avere una chiara correlazione con la cognizione, cioè l'ippocampo. Pertanto, questi elementi potrebbero non essere in grado di fornire informazioni importanti sui risultati finalizzati attualmente in terapia in risposta ai farmaci. La neuroimaging molecolare con traccianti tau-specifici può fornire, in effetti, elementi estremamente precisi, affidabili, riproducibili e quantitativi del tau cerebrale globale e regionale, essenziali per la valutazione della progressione della malattia, il reclutamento sperimentale terapeutico e la valutazione delle terapie tau-specifiche, sia per l'Alzheimer sia per le taupatie non Alzheimer, in cui la tau gioca un ruolo centrale. Certo, la sostenibilità d’immagini con tratti specifici della malattia è stata dimostrata negli ultimi anni dai ligandi PET come la 11C-PiB e 18F-FDDNP, utilizzati per l'imaging di deposizione della βA. A differenza del PiB, è stato suggerito che lo FDDNP si lega anche ai grovigli neurofibrillari che possono contribuire alla ritenzione di 18F-FDDNP nella corteccia temporale mesiale dove i traccianti specifici della βA, quali lo 11C-PiB, poco si legano. Si sono anche individuati nuovi derivati del benzimidazolo e della chinolina che legano i grovigli neurofibrillari e, in misura minore, la βA nelle placche. Le analisi seriali di questi composti hanno portato alla progettazione e alla sintesi di un agente d’imaging nuovo, lo 18F-THK523.
Christopher Rowe dell’Austin Hospital, Victoria - Australia e collaboratori hanno effettuato scansioni cerebrali con PET allo 11C-PiB su 366 partecipanti anziani, 195 sani di controllo, novantadue con DCL e settantanove con malattia lieve di Alzheimer, di età media di settantadue anni al basale, a venti mesi e dopo trentasei mesi (J Nucl Med. 2011; 52 (Supplement 1):121). I risultati hanno mostrato la deposizione di βA in molti dei pazienti sani di controllo. Pur tuttavia, quelli con la deposizione maggiore nella placca mostravano una maggiore probabilità di sviluppare i disturbi cognitivi, rispetto a quelli con deposizione minore. I casi di DCL, che non avevano la deposizione di βA al basale, presentavano minori probabilità nel tempo di sviluppare ulteriore declino cognitivo. Le scansioni mostravano volumi di base dell'ippocampo significativamente più bassi tra i partecipanti con malattia di Alzheimer e quelli con DCL. Deposizioni alte di βA, indicate dalle scansioni positive PiB, si osservavano nel 98% dei pazienti con MA, nel 63% di quelli affetti da DCL e nel 34%, dato interessante, dei pazienti sani di controllo. Tali dati portavano gli autori a concludere che in caso di sani ma βA-positivi alla 11C-PiB PET dopo due anni di follow-up si sarebbe in grado di dimostrare una maggiore perdita di materia grigia nelle aree tipiche degli affetti da malattia di Alzheimer e il declino della memoria lieve progredirebbe più rapidamente. Sempre secondo gli autori, la βA si proporrebbe, quindi, come forte predittivo dell’avanzamento del declino cognitivo, per cui il 54% dei pazienti con DCL con 11C-PiB PET-positiva progredirebbe verso la MA, rispetto al solo 14% dei pazienti con DCL PiB-negativi e al 13% dei DCL PIB-negativi che progredirebbero verso altre forme di demenza. Comunque, a tre anni di follow-up tra i pazienti sani di controllo il 10% dei PiB positivi sviluppavano il DCL e il 5% la MA, mentre solo il 2% dei PiB negativi sviluppavano il DCL. I risultati, in effetti, dimostrerebbero la natura non benigna della deposizione di βA nel cervello, essendosi rilevata una percentuale superiore al 98% (IC 95%, 93-99%), di possibilità che un anziano asintomatico PiB- negativo di controllo cognitivamente sano potesse rimanere stabile nel triennio futuro, in contrasto al 15% di rischio di sviluppare malattia di Alzheimer o DCL, se PIB positivo. Inoltre, i portatori dell'allele E e4 dell'apolipoproteina E, considerato un fattore di rischio per la MA e la demenza vascolare, dimostravano anche un rischio per il declino cognitivo significativamente più alto da due a tre volte.



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