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notiziario Gennaio 2012 N°1 - DEPRESSIONE COME MALATTIA SISTEMICA I° - Religiosità e depressione

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Indice
notiziario Gennaio 2012 N°1 - DEPRESSIONE COME MALATTIA SISTEMICA I°
Note introduttive sulla depressione
Epidemiologia della depressione
Eziopatogenesi della depressione
Geni e depressione
Ambiente, relazione genitoriale e depressione infantile/adolescenziale
Differenze di genere nella depressione
Senescenza e depressione
Stress, sistema immunitario e depressione
Religiosità e depressione
Quali gli effetti della religione, spiritualità o filosofia di esistenza nei bambini in pericolo di vita?
Insonnia e depressione
Nutrizione e depressione
Folati omocisteina e depressione
β-bloccanti e depressione
Mefedrone e depressione
Tutte le pagine

Religiosità e depressione

L'influenza positiva della religiosità personale sulla salute mentale è ben documentata in letteratura scientifica da numerosi studi che hanno dimostrato la minore depressione e ansia con più alto punteggio di salute mentale e di benessere generale in coloro che frequentano le funzioni religiose con regolarità e sono dediti alla preghiera e alla lettura delle Sacre Scritture, secondo un programma di particolare rilievo nella loro vita.
Smith TB della Brigham Young University di Provo, Utah e collaboratori hanno esaminato con meta-analisi l'associazione tra religiosità e sintomi depressivi attraverso 147 indagini indipendenti con 98.975 casi (Psicologia Bull 2003 Lug, 129 (4) :614-36.. In tutti gli studi la correlazione tra religiosità e sintomi depressivi era -. 096, indicando che una maggiore religiosità era moderatamente associata con un minor numero di sintomi. I risultati non erano condizionati dal sesso, dall’età o dall’etnia, ma l’associazione era più forte in quegli studi in cui le persone erano sottoposte a stress per gli eventi della vita recente. Inoltre, i dati erano influenzati dalla misura di religiosità utilizzata nello studio, con orientamento religioso estrinseco e negatività di reazione religiosa, ad esempio, evitare le difficoltà attraverso le attività religiose, accusare Dio delle difficoltà, associati con alti livelli di sintomi depressivi, nella direzione opposta ai risultati complessivi.
Kasen S della Columbia University, New York e collaboratori hanno esaminato la religiosità come un fattore protettivo utilizzando un disegno longitudinale per predire la resistenza ad alto rischio di disturbo depressivo maggiore (DDM) in un follow-up di 10 anni (Psychol Med. 2011 Aug 17:1-11). L’aumento dell’assiduità religiosa si associava con le probabilità significativamente ridotte del disturbo dell'umore (43%) e di qualsiasi disturbo psichiatrico (del 53%) in tutta la prole, tuttavia, le probabilità erano significativamente inferiori nei figli di genitori non depressi, rispetto a quelli dei depressi. Nel confronto delle analisi limitate ai figli dei genitori depressi, quelli con alta e medio / bassa esposizione NLE (negative life events) la maggiore frequenza religiosa si associava a una probabilità significativamente ridotta di DDM, di disturbo dell'umore e di qualsiasi malattia psichiatrica (da 76, 69 e 64% rispettivamente). La maggiore importanza religiosa si associava, peraltro, a una probabilità significativamente ridotta del disturbo dell'umore (del 74%) solo nella prole dei genitori depressi a un’elevata esposizione di NLE. Inoltre, queste associazioni differivano significativamente tra figli di genitori depressi con elevata esposizione ai NLE e tra i figli de depressi con una media / bassa esposizione ai NLE.
Dal loro canto, Lisa Miller della Columbia University, New York e collaboratori, avendo già in precedenza rilevato in adulti l'importanza personale di religiosità o di spiritualità per un minor rischio di depressione maggiore, hanno voluto esaminare con uno studio prospettico longitudinale di dieci anni tale associazione anche nella prole adulta del campione originale (Am J Psychiatry 2012;169:89-94). Gli autori hanno, così, arruolato 114 adulti cattolici o protestanti, figli di genitori depressi e non, seguiti per un follow-up dai dieci ai venti anni. I figli, che a dieci anni dichiaravano per se stessi molto importante la religione o la spiritualità, avevano circa un quarto del rischio di andare incontro alla depressione maggiore tra i dieci e i venti anni, rispetto agli altri partecipanti. La presenza religiosa e la sua denominazione non predicevano in modo significativo questo risultato, mentre l'effetto era più pronunciato tra i figli ad alto rischio di depressione per avere un genitore depresso. Inoltre, quelli di questo gruppo, che dichiaravano la grande importanza della religione o della spiritualità, avevano un decimo circa del rischio di depressione maggiore nei 10 - 20 anni e l'effetto protettivo si riscontrava in primo luogo per le recidive, piuttosto che per l'insorgenza.
In conclusione, lo studio di Miller portava a considerare che gli affiliati, sia cattolici sia protestanti con intenzioni religiose o con spiritualità molto importanti nella propria vita, avevano durante il follow-up del loro studio il 76% di minori probabilità di DDM. Al contrario, la presenza di religiosità e la denominazione non avevano effetti particolari, mentre il valore protettivo occorreva soprattutto tra i soggetti ad alto rischio con genitori sofferenti di depressione.
Gli studi fino ad oggi eseguiti in questo capo hanno suggerito, peraltro, che le persone senza affiliazione religiosa sono a maggior rischio di sintomi e disturbi di depressione, rispetto a quelli coinvolti nella loro comunità di fede.
Il senso di colpa che emerge spesso in associazione alla depressione è frequentemente connesso a un sistema di credenza religiosa e gli appariscenti sintomi depressivi, come ad esempio la notte oscura dell'anima, sono comunemente associati a esperienze religiose.
Petts, Richard J e Anne Jolliff dell’Ohio State University utilizzando i dati del National Longitudinal Study of Health Adolescent hanno esaminato il rapporto tra religione e depressione secondo la razza e del genere (2008, Review of Religious Research 49:4: 395-414). I risultati suggerivano che la partecipazione e l'importanza religiosa nei giovani riducevano indirettamente i sintomi depressivi, migliorando il sostegno sociale. Peraltro, il rapporto tra religione e depressione poteva essere unico per gli adolescenti latinoamericani e asiatici. D’altra parte, la partecipazione e l’importanza religiosa si associavano alla depressione maggiore negli adolescenti asiatici, mentre il loro rapporto nei Latini era curvilineo e variava secondo il genere. La partecipazione religiosa era, difatti, negativamente correlata alla depressione tra i maschi latini, mentre il rapporto era curvilineo nelle femmine della stessa origine. Nel complesso, questo studio suggeriva che il rapporto tra religione e depressione tra gli adolescenti può essere condizionato dalla razza e dal genere degli adolescenti così che i neri, asiatici e latini sarebbero più depressi dei bianchi. Pur tuttavia, mentre tra i neri e tra i bianchi la religiosità si assocerebbe negativamente con la depressione, tra gli asiatici si verificherebbe il contrario. Peraltro, in questi ultimi i frequentatori assidui dei servizi religiosi sarebbero ancora più depressi dei praticanti moderati.  Le adolescenti presenterebbero la stessa relazione nei confronti dei maschi. 



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