Stress, sistema immunitario e depressione
Lo stress e i conflitti interpersonali, anche se non necessariamente, possono aumentare il rischio del disturbo depressivo maggiore. I modelli di terapia cognitivo-comportamentale, devono tendere conseguentemente a riconoscere la malattia come risposta comportamentale ai fattori di stress ripetuti e considerare che le distorsioni cognitive, ad esempio i pensieri negativi, possano contribuire a perpetuare l’umore depresso. Pur tuttavia, anche il dolore cronico, la malattia medica e lo stress psicosociale possono svolgere un ruolo sia d'inizio sia di mantenimento nel decorso della malattia.
Peraltro, secondo dati che emergono da studi su uomini e animali da laboratorio, lo stress influenza la risposta immunitaria innata e indicherebbero che siano coinvolti sia il sistema nervoso simpatico sia il parasimpatico. Il blocco di entrambi i recettori α-e β-adrenergici ha dimostrato di abolire gli effetti dello stress sull’induzione delle citochine immunitarie innate sia nel sangue periferico sia nel cervello degli animali da laboratorio. Peraltro, la stimolazione del vago ha dimostrato di inibire l'induzione di endotossine, di TNF-α e le manifestazioni della sepsi. Questi effetti sembrano essere mediati dal rilascio dell’acetilcolina, che attraverso il legame con le α7 sub unità del recettore nicotinico dell'acetilcolina può inibire il NF-kB. Tuttavia, data la ricca interconnessione tra il sistema nervoso simpatico e quello parasimpatico, tra cui i mediatori condivisi, l'esatto meccanismo con cui il sistema nervoso autonomo modula la risposta infiammatoria è un settore ancora da chiarire. Pur tuttavia, appare di rilievo in tale ambito che l’efficacia del trattamento antidepressivo con gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina o con gli antidepressivi triciclici si associ con una ridotta concentrazione delle citochine circolanti, tra cui il TNF-α e l’IL-6. Il bupropione, peraltro, ha dimostrato di poter anche ridurre le concentrazioni circolanti di TNF-α nei topi e nei soggetti con altre malattie infiammatorie croniche. Studi in vitro indicano, inoltre, che un certo numero di antidepressivi può sopprimere il rilascio delle citochine infiammatorie, aumentando quello dell’inibizione dell'infiammazione, come l’IL-10. Assume anche importanza che i depressi con citochine innate aumentate presentano minori probabilità di rispondere alle terapie adesso disponibili e, viceversa, che nella depressione resistente al trattamento c’è una particolare suscettibilità alla risposta immunitaria innata con elevate concentrazioni plasmatiche di citochine.
Dati preliminari suggerirebbero, di conseguenza, che, puntando sulla risposta immunitaria innata, si può concertare una strategia antidepressiva praticabile.
Usando il celecoxib, un inibitore della cicloossigenasi-2, in combinazione con la reboxetina si sono segnalati tassi di risposta più elevati e miglioramento dei sintomi nella depressione maggiore. Inoltre, negli psoriasici l’etanercept, agente anti-TNF-α, ha dimostrato di ridurre i sintomi della depressione, indipendentemente dal miglioramento clinico del disturbo primario. Peraltro, nei topi knocked out per il gene recettore del TNF-α si è dimostrato un fenotipo antidepressivo e resistente agli effetti ansiogeni dell’infezione virale.
Ancora, nel determinismo della depressione sono state considerate le lesioni vascolari, sulla scorta della sua particolare frequenza nella malattia cerebrovascolare e nei suoi più gravi eventi come l’ictus, soprattutto nell’anziano. Peraltro, anche gli insulti ischemici nella sostanza bianca, l’associazione bidirezionale con la malattia coronarica, i suoi tassi più elevati nella demenza vascolare rispetto alla malattia di Alzheimer rappresentano condizioni a riprova di quanto enunciato. Le lesioni vascolari, in effetti, interromperebbero le reti neurali coinvolte nella regolazione dell’emozione e, in particolare, i percorsi frontostriatali che puntano verso la corteccia dorsolaterale prefrontale, orbitofrontale, il cingolo anteriore e dorsale. Sono, a tal proposito, considerati anche altri componenti del circuito limbico, in particolare dell'ippocampo e dell'amigdala.