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notiziario Gennaio 2012 N°1 - DEPRESSIONE COME MALATTIA SISTEMICA I° - Nutrizione e depressione

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Indice
notiziario Gennaio 2012 N°1 - DEPRESSIONE COME MALATTIA SISTEMICA I°
Note introduttive sulla depressione
Epidemiologia della depressione
Eziopatogenesi della depressione
Geni e depressione
Ambiente, relazione genitoriale e depressione infantile/adolescenziale
Differenze di genere nella depressione
Senescenza e depressione
Stress, sistema immunitario e depressione
Religiosità e depressione
Quali gli effetti della religione, spiritualità o filosofia di esistenza nei bambini in pericolo di vita?
Insonnia e depressione
Nutrizione e depressione
Folati omocisteina e depressione
β-bloccanti e depressione
Mefedrone e depressione
Tutte le pagine

Nutrizione e depressione

Lo stile di vita moderno offre a considerare fattori importanti da esaminare e controllare per il raggiungimento e il mantenimento del benessere nell’arco della vita. La medicina sta lottando da qualche tempo a livello mondiale per fronteggiare gli effetti rovinosi delle abitudini alimentari scorrette, proponendo i dovuti cambiamenti a livello individuale. Purtroppo, il mangiare rappresenta forse la quintessenza del comportamento biopsicosociale e i dati suggeriscono l'importanza centrale sulla salute generale degli interventi risolutivi per il bene dei pazienti. L'obesità e il diabete, ormai a sviluppo epidemico, sono stati identificati come una priorità da tutti gli organisti istituzionali e scientifici del mondo e gli studi hanno dimostrato che i modelli alimentari più sani sono associati a una migliore salute in assoluto.
Pur tuttavia, anche la depressione è in sviluppo epidemico nel mondo ed anche in tal caso la dieta e la nutrizione possono esserne alla base. Si riscontrano conseguentemente, in letteratura ricerche nel merito sui singoli nutrienti o gruppi alimentari.
Akbaraly TN dell’University College London e collaboratori hanno analizzato 3.486 soggetti di età media di 55,6 anni per il 26,2% donne, reclutati dalla Whitehall II Prospective Cohort: Sono stati individuati un modello alimentare con tutti gli alimenti, fortemente carico di verdure, frutta e pesce, e un altro elaborato, pesantemente caricato di dessert zuccherati, di cibi fritti, di carni lavorate, di cereali raffinati e ricchi di grassi, di prodotti lattiero-caseari (Br J Psychiatry. 2009 Nov;195(5):408-13).
Dopo aggiustamento per i potenziali fattori confondenti, i partecipanti nel più alto terzile del primo modello alimentare presentavano una più bassa probabilità di depressione (OR = 0,74, IC 95% 0,56-0,99), rispetto a quelli nel più basso terzile. Al contrario, un elevato consumo di alimenti trasformati è stato associato a una quota maggiore di depressione (OR = 1,58, IC 95% 1,11-2,23).
In conclusione, nei partecipanti di mezza età un modello alimentare trasformato rappresentava un fattore di rischio di depressione cinque anni più tardi, mentre in un modello, tipo dieta mediterranea, il cibo era un elemento protettivo.
Felice N. Jacka dell’University of Melbourne e collaboratori hanno voluto esaminare la misura in cui l’alta prevalenza dei disturbi mentali potesse correlarsi alla dieta abituale in 1.046 donne di età tra i venti e i novantatré anni, scelte a caso nella popolazione (Am J Psychiatry 2010; 167:1–7). Dopo gli aggiustamenti per l’età, lo stato socio-economico, l'educazione e i comportamenti nei rispetti della salute, un modello "tradizionale" di dieta caratterizzata da ortaggi, frutta, carne, pesce e grani integrali si associava a minori probabilità di depressione maggiore o distimia e anche di disturbi d'ansia. La dieta occidentale di alimenti trasformati o fritti, cereali raffinati, prodotti ricchi di zuccheri con l’aggiunta della birra si associava, invece, a un più alto punteggio GHQ-12 (12-item General Health Questionnaire). Si rilevava anche, senza confondenti di età, stato socio-economico, istruzione e altri comportamenti in merito alla salute, un’associazione inversa tra il punteggio di qualità della dieta e quello del GHQ-12.
Gli autori potevano, così, concludere che i loro risultati confortavano l’associazione tra la qualità della dieta abituale e l’alta prevalenza dei disturbi mentali.
L’uomo del terzo millennio ha, insomma, il bisogno di comprendere quali variabili si associno a una dieta più povera di qualità e quali fattori rappresentano le barriere modificabili al miglioramento. C'è allo stato attuale, difatti, il rischio di eccessiva semplificazione delle raccomandazioni dietetiche, ma, in effetti, l’essere umano, letteralmente e figurativamente, è ciò che mangia. La conoscenza delle abitudini alimentari e il loro rapporto con i disturbi psichiatrici probabilmente porteranno cognizione ben oltre ciò che mangiamo, del perché, del come e con chi. Affinché un individuo possa migliorare la qualità della sua dieta, si deve avviare un’'educazione proficua per una basilare comprensione di ciò che costituisce una buona alimentazione che deve distinguere gli alimenti sani da quelli non salutari.
Per loro conto, Sánchez-Villegas A dell’University of Las Palmas de Gran Canaria e collaboratori, per valutare l'associazione tra l’assunzione di grassi alimentari e l'incidenza della depressione in una popolazione mediterranea, hanno condotto uno studio di coorte prospettico dal 1999 al 2010 su 12.059 spagnoli laureati, di età media di 37,5 anni, inizialmente senza depressione (PLoS One. 2011 Jan 26;6(1):e16268). Durante il follow-up, di media di 6,1 anni, erano identificati 657 nuovi casi di depressione e l’HR (IC 95%), multivariato e aggiustato per l'incidenza della depressione, era per i quintili successivi di assunzione dei TFA (trans unsaturated fatty acids) 1 (rif), 1,08 (0,82-1,43), 1,17 (0,88-1,53), 1,28 (0,97-1,68), 1.42 (1.09- 1,84), con una significativa relazione dose-risposta (p = 0,003). I risultati non cambiavano sostanzialmente dopo aggiustamento per i potenziali fattori confondenti dello stile di vita o alimentari, compresa l'adesione a un modello alimentare mediterraneo. D'altra parte, un’inversa e significativa relazione dose-risposta è stata ottenuta per l’assunzione dei MUFA (monounsaturated fatty acids) (p per trend = 0,05) e dei PUFA (polyunsaturated fatty acids) (p per trend = 0,03).
In conclusione, lo studio avrebbe rilevato un rapporto dannoso tra l'assunzione dei TFA e un rischio di depressione e debole associazione inversa per i MUFA, i PUFA e l’olio d'oliva. Questi risultati suggerirebbero, pertanto, che le malattie cardiovascolari e la depressione potrebbero condividere alcuni importanti fattori nutrizionali, relativi ai sottotipi dei grassi assunti.



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