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Notiziario Luglio 2011 N°6 - VITAMINA "D" E SALUTE - Azioni ed effetti della vitamina “D”

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Indice
Notiziario Luglio 2011 N°6 - VITAMINA "D" E SALUTE
Vitamina
Cause e conseguenze della deficienza della Vit. “D”
Fonti, siti e trasformazione dei metaboliti della Vit. “D”
Livelli di 25 (OH) D e stato di salute
La prevalenza di ipovitaminosi “D”
Azioni ed effetti della vitamina “D”
Revisioni sistematiche di prevenzione o trattamento con la Vit. “D”
Vit.“D”, ciclicità stagionale e androgeni
Quattro varianti genetiche associate con i bassi livelli di Vit. “D”
Tutte le pagine

Azioni ed effetti della vitamina “D”

Oggi giorno, a quasi novanta anni dalla sua scoperta, si sta iniziando a comprendere il ruolo della vitamina “D” sulla salute per gli effetti che trovano spiegazione nella sua capacità di legare il DNA e influenzare la regolazione genica. Ormai v’è univoco convincimento che il rachitismo è solo la punta dell’iceberg della carenza di vitamina, che esplica le sue azioni biologichemediante il suo recettore (VDR).

Essa regola circa il 3% del genoma umano, determinando, così, la sua importanza clinica come componente essenziale del sistema endocrino. La 1,25-OH D si lega, pertanto, agli appositi recettori (fattori di trascrizione nucleare) e induce all'interno della cellula una cascata d’interazioni molecolari che modulano la trascrizione dei geni specifici. Recentemente, si sono, in effetti, identificati 2.276 siti di legame per il recettore per tutta la lunghezza del genoma, molti dei quali concentrati presso i geni associati al rischio dei disturbi autoimmuni e del cancro. Inoltre, si è scoperto che la vitamina ha un effetto significativo sulle attività di 229 geni, compresi quelli per la sclerosi multipla, il morbo di Crohn e il diabete mellito di tipo 1.

Negli ultimi due decenni si è dimostrata la presenza del recettore non solo nei classici tessuti bersaglio, come le ossa, i reni e l’intestino, ma anche nel sistema immunitario, le cellule T e B, i macrofagi e i monociti, nel sistema riproduttivo, nell'utero, testicolo, ovaio, prostata, placenta e ghiandole mammarie, nel sistema endocrino, pancreas, ipofisi, tiroide e la corteccia surrenale, nei muscoli scheletrici, lisci e nel cuore, nel cervello, nella pelle e nel fegato. Inoltre, alcune cellule e tessuti esprimono anche l'enzima 25-idrossivitaminaD-1α-idrossilasi. Peraltro, diversi tipi di cellule, come i cheratinociti, i monociti, l’osso, la placenta, sono in grado di metabolizzare la 25-idrossivitamina D (3) a 1,25 (OH) (2) D (3) dall'enzima 25 (OH) D (3)-1alfa-idrossilasi, codificati dal CYP27B1. La vitamina, di poi, direttamente o indirettamente controlla, come detto, più di 200 geni, tra cui quelli responsabili della regolazione della proliferazione cellulare, della differenziazione, dell'apoptosi e dell’angiogenesi. Essa, quindi, riduce la proliferazione cellulare delle cellule normali, ma anche delle cancerose e induce la loro differenziazione terminale. Per tal effetto viene anche praticamente usata nel trattamento della psoriasi.

La presenza combinata del CYP27B1 e del recettore specifico in diversi tessuti ha, quindi, introdotto l'idea di un ruolo paracrino / autocrino della sostanza. Inoltre, poichè l’1,25 (OH) (2) D (3) può indurre la differenziazione e inibire la proliferazione delle cellule normali e maligne, la sua carenza dovrebbe associarsi a un aumentato rischio per quasi tutte le principali malattie umane, come il cancro, le malattie autoimmuni, le cardiovascolari e le metaboliche. Pertanto, in aggiunta al trattamento delle malattie specifiche delle ossa, tutte le funzioni di recente scoperta, tendono ad aprire prospettive nuove per l'uso della vitamina, per esempio come modulatore immunitario nel trattamento delle malattie autoimmuni o di prevenzione del rigetto del trapianto o come inibitore della proliferazione cellulare e induttore di differenziazione delle cellule. La vitamina esercita una complessiva attività inibitoria sulla proliferazione dei T-CD4 linfociti agendo, quindi, sull’immunità adattativa che coinvolge l’azione dei linfociti T e B e anche la rispettiva produzione di citochine e immunoglobuline, come risposta alla presentazione dell’antigene da parte dei macrofagi e delle cellule dendritiche.

In particolare, la vitamina blocca la differenziazione dei TCD4 in T-helper 1 e T-helper 17, stabilendo una riduzione delle citochine proinfiammatorie tra cui l’IFN-γe IL2, essenziali per i processi di attivazione macrofagica. Ne consegue una complessiva ridotta presentazione antigenica dei macrofagi e l’inibizione del reclutamento e della proliferazione di nuovi linfociti T. Nello stesso tempo, la vitamina  favorisce la produzione dell’IL4, spostando l’equilibrio Th1-Th2 a favore di quest’ultimo fenotipo. Potenzia, anche, l’attività e la differenziazione dei linfociti T regolatori, aumentando la prodzione di IL-10. Diminuisce, inoltre, la produzione delle immunoglobuline per un effetto inibitorio diretto sui precursori dei linfociti B, risolvendosi il tutto in un aumento complessivo finale della tolleranza  immunologica e di riduzione dell’infiammazione. Gli antigeni microbici attivano i TLR (recettori toll like), portando all’aumento dell’espressione macrofagica del VDR, recettore della vitamina, e dell’enzima CYP27B1, che la  trasforma nella sua forma attiva. Le risposte immunitarie innate, difatti, coinvolgono l’attivazione dei recettori toll like (TLR) in cellule polimorfonucleate, monociti e macrofagi, oltre che in altre numerose cellule epiteliali, come quelle dell’epidermide, dell’intestino, della gengiva, dei polmoni e dell’apparato genito-urinario. L’interazione tra recettore e neoprodotti della vitamina “D” stimola, quindi ad opera del macrofago, l’espressione dei peptidi antimicrobici, come la catelecidina e le altre defensine. Le proprietà immunomodulatorie, riconosciute alla vitamina “D”, hanno, pertanto, aperto nuove frontiere di conoscenze e di terapia delle malattie del sistema immunitario in cui si riconosca un danno diretto ai tessuti dell’ospite da parte dell’infiammazione. Particolare interesse, difatti, hanno suscitato tutti quegli studi che hanno dimostrato come le popolazioni delle latitudini più elevate nel globo, con livelli sierici di 25-(OH)2D tendenzialmente più bassi, sono a maggior rischio di patologie autoimmuni.

Gombart AF e collaboratori del David Geffen School of Medicine at UCLA, Los Angeles, California, considerando che il sistema immunitario dei mammiferi fornisce una connaturata risposta rapida agli assalti dei numerosi agenti infettivi e parassitar, nel loro lavoro (FASEB J. 2005 Jul;19(9):1067-77),in effetti, dimostrarono che la 1,25-diidrossivitamina D3 e tre dei suoi analoghi inducevano l’espressione del gene umano della catelicidina, peptide ad azione antimicrobica (CAMP). Questa induzione fu osservata nella leucemia mieloide acuta (AML), nei cheratinociti immortalati e nelle cellule tumorali del colon e anche  nelle normali cellule del midollo osseo umano. La ricerca, pertanto, rivelò un'attività della 1,25-diidrossivitamina D3 e del VDR nella regolazione dell'immunità innata dei primati.

In definitiva, una componente importante di questo sistema è una combinazione di diversi peptidi antimicrobici cationici che includono l'alfa e beta-defensine e la catelicidina. In particolare, la vitamina “D” regola la produzione dei peptidi antimicrobici catelicidina e beta-defensina-2, che svolgono un ruolo importante nella innata risposta immunitaria alle infezioni.

La vitamina, comunque, nella sua veste funzionale d’origine mantiene, invero, il calcio del corpo a un livello costante, anche in caso di sua insufficiente assunzione con la dieta. Un basso livello di calcio promuove la produzione dell'ormone paratiroideo (PTH), che, a sua volta, stimola l'attività dei reni per la produzione di 1,25-diidrossivitamina D. Il PTH, di conseguenza,  stimola afflusso di calcio negli adipociti, aumentando la lipogenesi e inibendo la lipolisi con conseguente accumulo di grasso. La vitamina “D”, quindi, normalizza i livelli sierici di calcio, con l’aumento dell’assorbimento intestinale e la riduzione delle perdite urinarie, ma anche con la sua mobilitazione dalle ossa. Ne consegue che una sua carenza comporta un’inadeguata mineralizzazione dello scheletro e che i suoi livelli sono direttamente associati alla densità minerale ossea.  Difatti, ai livelli d’ipovitaminosi, corrispondenti a 30 ng / ml o meno, l'assorbimento intestinale del calcio si riduce, compromettendo pure l'assorbimento del fosforo. S’instaura conseguenziamente anche un iperparatiroidismo secondario nel tentativo di mobilitare il calcio dalle ossa.



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