Sei qui: Notiziario AMEC Anno 2014 notiziario Ottobre 2014 N.9 ECCESSO DI PESO E RISCHIO DI TUMORI MALIGNI DELL’APPARATO DIGESTIVO - Obesità e rischio di cancro colorettale

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notiziario Ottobre 2014 N.9 ECCESSO DI PESO E RISCHIO DI TUMORI MALIGNI DELL’APPARATO DIGESTIVO - Obesità e rischio di cancro colorettale

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Indice
notiziario Ottobre 2014 N.9 ECCESSO DI PESO E RISCHIO DI TUMORI MALIGNI DELL’APPARATO DIGESTIVO
Sostanziale l’aumento del rischio di cancro con l’eccesso di peso
Obesità viscerale e rischio dell'esofago di BARRETT
Obesità e cancro gastrointestinale
Obesità e rischio di cancro colorettale
Sovrappeso dell'adolescente e rischio di futuro tumore colorettale
Obesità addominale e rischio di cancro del fegato e delle vie biliari
Obesità e cancro del pancreas
Sovrappeso dell'adolescente e rischio futuro di tumore del pancreas
Tutte le pagine

Obesità e rischio di cancro colorettale

Il CRC (Colorectal Cancer) con oltre 600.000 di morti ogni anno è la quarta causa di mortalità cancro-correlata in tutto il mondo. Nei quaranta Paesi europei le stime nel 2008 l’hanno indicato come il tumore più comune con 436.000 casi, pari al 13,6% del totale, e la seconda causa di morte per tumore più comune con 212.000 decessi, pari al 12,3% del totale.
I Registri Tumori in Italia indicano nel quadriennio 1998-2002 un’incidenza in aumento con un totale di circa 32.000 nuovi casi per anno con 16.000 decessi.  In tal modo, la malattia si configura con l’11.5% come la terza causa di cancro femminile e con l’11.3% come la quarta di quello maschile. Il rischio di sviluppare la malattia, e comunque di morire per essa, aumenta con l’età. Infatti, è nel periodo di vita superiore ai cinquanta anni che si registra l’80% dei casi.
Rappresenta, inoltre, la seconda causa di mortalità per tumore per entrambi i sessi, rispettivamente con il 12.4% e il 10.4%. L’incidenza, però, varia a seconda delle regioni da un minimo di ventisei casi per 100.000 abitanti/anno a un massimo di cinquantatré, essendo i tassi più elevati nel settentrione. Pur tuttavia, la sopravvivenza con il 58% a cinque anni ha dimostrato una mortalità in diminuzione.
Recenti analisi sul genoma dei tumori solidi, tra cui il CRC, hanno dimostrato mutazioni tra 20 e 100 geni che codificano proteine. È stato, così, identificato nel CRC un certo numero di alterazioni chiave genetiche ed epigenetiche che portano alla trasformazione maligna. Queste includono aberrazioni in geni coinvolti nei percorsi del CIS (chromosomal instability), del MSI (microsatellite instability), del hMYH (human MutY homolog) e della metilazione dell'isola CpG (anche denominato CG con p che indica un legame fosfodiesterico che collega la C e la G).
In definitiva, il CRC in entrambi i sessi è uno dei tumori più comuni nel mondo occidentale. È il terzo tipo di tumore con oltre un milione di casi l’anno e gli ultimi decenni hanno stabilito un suo rapido aumento anche nei paesi in via di sviluppo, soprattutto nelle grandi città, dove si sono verificati i più significativi cambiamenti dello stile di vita. La stima di sopravvivenza a cinque anni, in media del 55%, è altamente variabile, dipendendo dallo stadio della malattia.
Nell’80% dei casi il cancro del colon retto è radicalmente operabile e il 35% dei pazienti presenta una recidiva dopo l’intervento nello 80% dei casi nei primi 2-3 anni, ma solitamente entro i primi cinque anni.
Diversi studi hanno, in effetti, segnalato che i fattori comportamentali, come il fumo, l'obesità, l'inattività fisica e la dieta ricca di grassi e povera di fibre possono contribuire all’eziologia di questo tipo di cancro. In particolare, la prevalenza della malattia è anche in diretta correlazione con l’aumento drammatico del sovrappeso e dell'obesità in tutto il mondo, il che pone dei precisi e importanti indirizzi di prevenzione. In effetti, la relazione tra l’eccesso ponderale e il rischio del cancro al colon è stata valutata in un gran numero di studi e documenti di revisione, ma con ampie variazioni.
Le recensioni hanno indicato che l'obesità è associata con il sette fino al 60% del maggior rischio rispetto agli individui di peso normale.
Tuttavia, i meccanismi che potrebbero essere alla base dell'associazione rimangono ancora non del tutto chiariti e diverse possibilità sono state ipotizzate.
I fattori più studiati sono i due sistemi ormonali: l’asse insulina / IGF (insulin-like growth factor) e le adipochine adiponectina e leptina. Il coinvolgimento dell’insulina e dell’IGF - 1 è stato supportato da studi sperimentali e clinici. Le ragioni plausibili principali risiedono nell'aumento dell’IGF -I libero con i cambiamenti concomitanti dell'ambiente mitogenetico e dell’anti- apoptosi cellulare che favorisce la formazione del tumore. Inoltre, è da notare che il diabete di tipo 2 aumenta il rischio di sviluppare il cancro al colon.  Infine, secondo diversi studi, il grasso può anche influenzare il rischio della malattia in quanto gli adipociti e i preadipociti possono promuovere la proliferazione delle cellule neoplastiche. In effetti, la sovra espressione del complesso dell'acido grasso sintasi ha dimostrato di associarsi con il fenotipo del cancro del colon.
Per loro conto, le adipochine, come l’adiponectina e la leptina, sono anche associate con il rischio della malattia. L’adiponectina, in particolare, come agente insulinosensibilizzanti e regolatore negativo dell’angiogenesi, è secreta principalmente dal tessuto adiposo viscerale. Essa potrebbe inibire la crescita tumorale in modelli animali e in studi clinici le sue concentrazioni circolanti si associano al rischio della neoplasia. La leptina, dal suo canto, negli esperimenti in vivo e in vitro sembra anche favorire la crescita neoplastica come ormone pleiotropico nei vari sistemi cellulari con azione mitogenica, anti - apoptotica, pro - angiogenica e proinfiammatoria. In effetti, il rapporto tra le concentrazioni circolanti di leptina e il rischio di cancro al colon è ormai stato dimostrato e consequenzialmente è stata verificata anche l'associazione con l’obesità.
Pur tuttavia, a riguardo stanno emergendo altri fattori biologici, come il microbiota intestinale e gli acidi biliari.
L’alimentazione, comunque, ha da qualche tempo rivestito un importante riconosciuto ruolo nell’insorgenza del cancro del colon, ribadendo la potenzialità preventiva del maggiore consumo di frutta e verdure e quella negativa di quello delle carni, soprattutto rosse ed elaborate.
In particolare, Mauro Maccarrone della Biomedical University, Rome - Italy e collaboratori hanno di recente chiarito il ruolo dell’olio extravergine d’oliva come protettivo contro il cancro del colon (Journal of Nutritional Biochemistry). Questo prezioso alimento, caratteristico della dieta mediterranea, già ritenuto importante per ridurre l'incidenza di numerose neoplasie, sarebbe, secondo gli studi degli Autori, in grado di aumentare l’espressione del gene oncosoppressore CNR1. Quest’ultimo, a sua volta, esprimerebbe un recettore molto importante per la salute del nostro organismo, perché è in grado di regolare i meccanismi all'origine delle alterazioni dei geni sensibili ai fattori ambientali, come la dieta.
D’altro canto, l’alimentazione ricca di carni rosse e soprattutto processate e anche essiccate all’aria e in particolare il consumo di manzo è ormai un riconosciuto fattore di rischio del cancro del colon, aumentandone le probabilità del 20-30%. In effetti, gli studi epidemiologici rilevano suoi tassi elevati di prevalenza soprattutto nei Paesi a largo consumo delle carni rosse, come avviene nella maggior parte delle nazioni europee, nell’Argentina, negli Usa, nell’Uruguay e nella Nuova Zelanda. Nei paesi con una virtuale assenza di carne nella dieta, come l’India, o come diversi paesi arabi in cui v’è preferenza per scelte come l’agnello o il capretto, i tassi di cancro del colon-retto sono, invece, bassi. In Cina, dove il consumo di carne di maiale ha una lunga tradizione, i tassi della malattia sono, peraltro, intermedi. In Giappone e in Corea, dove le importazioni di carni bovine e suine hanno assunto scala di grandi dimensioni dopo la seconda guerra mondiale o dopo quella di Corea, si è osservato un forte aumento d’incidenza del cancro del colon-retto dopo il 1970 nel primo Paese e del 1990 nel secondo. In effetti, il consumo di carne poco cotta, come nel caso dello shabu-shabu, sukiyaki, sashimi di manzo crudo giapponese e dello yukhoe coreano, sorta di tartare di carne cruda, è diventato molto popolare in entrambi i paesi.
La Mongolia, in modo particolare, si annovera tra le nazioni a più bassa incidenza del tumore del colon, pur caratterizzata da un elevato consumo di carne rossa, essiccata o alla brace.  Però, le carni più consumate in questo paese sono per il 50% lo yak, bovino molto diverso geneticamente da quelli del mondo occidentale, le carni ovine, di cammello e di cavallo.
Anche la carne essiccata, come il manzo di Kobe, il Biltong, la bresaola, può essere una fonte d’infezioni virali. Pur tuttavia, soprattutto la carne cruda o cotta al sangue va considerata attentamente. Nel caso di quest’ultima, le temperature al centro si aggirano sui 40-50 gradi e non superano mai i 50-70, così che molti agenti infettivi possono sopravvivere e procurare danno.
D’altro canto, nell’uomo il 21% di tutti i tumori è correlabile a qualche forma di malattia infettiva.
In particolare, circa il 35% è causato da un’infezione batterica, come nel caso dell’Helicobacter pylori, e ben i 2/3 ad un’infezione virale.
I virus dell’epatite B e C sono, difatti, causa dell’epatocarcinoma, l’HPV del cancro della cervice e dei tumori testa-collo. Peraltro, anche le infezioni da HIV 1 e 2, da virus di Epstein Barr e dall’Herpes virus sono alla  base di carcinogenesi.
Circa l’1% dei tumori è, infine, attribuibile a una parassitosi, come nella schistosomiasi.
Tali relazioni causali, com’è noto, hanno determinato, peraltro, importanti ed efficaci conseguenze in sanità pubblica con la preparazione di vaccini preventivi.
Bisogna considerare anche al riguardo che durante la cottura e il processamento delle carni rosse si generano dei cancerogeni chimici. Sta di fatto che nelle feci di chi segue una dieta ricca di carne si riscontrano grandi quantità di nitroso-tioli e di nitroso-eme a spiegazione di una potenzialità cancerogena. Le carni bianche, invece, sono sicure o meglio protettive, anche quando fritte, grigliate o affumicate.
Infine, è anche interessante annotare che diversi studi epidemiologici hanno segnalato un aumentato rischio di cancro dell’orofaringe e del polmone tra i macellai e gli addetti alle operazioni dei mattatoi, operatori regolarmente esposte agli aerosol originatisi dalla lavorazione delle carcasse degli animali. In questo caso potrebbe trattarsi di un agente infettivo trasmesso per via aerea.
A tale riguardo è interessante annotare che zur Hausen H della Deutsches Krebsforschungszentrum, Germany e premio Nobel per la fisiologia e la medicina nel 2008, basandosi su quanto esposto e sui dati disponibili, ha suggerito la compatibilità con l'interpretazione che uno o più virus bovini, termoresistenti, potenzialmente oncogeni potrebbero rappresentare il fattore oncogeno specifico della carne di manzo (Int J Cancer. 2012 Jun 1;130(11):2475-83). Questi agenti, potrebbero, di fatto, contaminare le preparazioni della carne bovina e portare a infezioni latenti nel tratto colorettale. L’esposizione concomitante o successiva ad agenti cancerogeni chimici, derivanti dalle procedure di cottura, dovrebbe, inoltre, portare a un aumento del rischio di cancro del colon-retto, sinergica con queste infezioni.
In effetti, l’Autore ha basato questa sua ipotesi sul dato della segnalazione costante dell’aumento del rischio di cancro del colon-retto in associazione con il consumo di lunga data della carne rossa cotta e trasformata, attribuendone spesso la causa agli agenti cancerogeni chimici derivanti durante il processo di cottura della carne.
Peraltro, secondo l’Autore, questa patogenesi oncogena potrebbe interessare anche altre neoplasie comuni nel mondo occidentale, come quella della mammella e del polmone nei non fumatori.
In definitiva, comunque, vi sono ormai evidenze che una BMI più elevata negli uomini risulta fortemente associata con un aumentato rischio di cancro colorettale. Peraltro, anche la distribuzione del grasso corporeo sembra essere un fattore importante. Difatti, l'obesità addominale, che può essere misurata con la circonferenza della vita, mostrerebbe la più forte associazione con il rischio della malattia. Anche nelle donne è stata documentata l'associazione tra la BMI e la circonferenza della vita, ma in tono più debole. Peraltro, l'uso della MHT (menopausal hormone therapy) può modificare tale l'associazione nelle donne in postmenopausa.
L’alta BMI è anche associata a rischio di cancro del retto, ma con un aumento più modesto.
Alireza Ansary Moghaddam del George Institute for International Health, Sydney e collaboratori hanno identificato gli studi più rilevanti riguardanti l'associazione tra obesità generale, definita come indice di massa corporea (BMI) ≥ 30 kg/m2 e obesità centrale misurata con la circonferenza vita, con il cancro del colon-retto (Cancer Epidemiol Biomarkers Prev 2007;16(12):2533–47). Hanno, così, selezionato alcune meta-analisi, coinvolgenti 70.000 casi di cancro del colon-retto di trentuno studi, di cui ventitré di coorte e otto di caso-controllo. Dopo l’unificazione dei dati e la correzione per i bias di pubblicazione, il rischio stimato relativo di tumore era 1,19 [intervallo di confidenza al 95% (IC 95%), 1,11-1,29] nel confronto tra obesi (BMI ≥ 30 kg/m2) e quelli di peso normale (BMI <25 kg/m2). Era, invece, 1,45 (IC 95%, 1,31-1,61) quando erano messi a confronto quelli con il più alto verso il più basso livello di obesità centrale. Dopo la correzione per i bias di pubblicazione, il rischio di cancro del colon-retto era 1.41 (IC 95%, 1,30-1,54) negli uomini, rispetto a 1,08 (IC 95%, 0,98-1,18) per le donne (Pheterogeneity <0.001). C'era la prova di una relazione dose-risposta tra BMI e cancro del colon-retto: per un aumento di 2 kg/m2 della BMI il rischio di cancro aumentava del 7% (4-10%). Per un aumento di 2 cm di circonferenza vita il rischio aumentava del 4% (2-5%).
In conclusione, sulla base dei dati acquisiti gli Autori affermavano che l’obesità aveva un rapporto diretto e indipendente con il cancro del colon-retto, anche se la forza dell'associazione con l'obesità in generale era più piccola di quanto prima riportato.
Per loro conto, Sung MK e Bae YJ dell’University di Seoul, South Korea ribadendo che la dieta è uno dei fattori ambientali di maggiore effetto nello sviluppo del cancro ma che a causa della sua complessa natura era molto difficile fornire spiegazioni chiare sul ruolo dei componenti nella carcinogenesi, hanno analizzato l’insieme dei trascritti dei geni, delle proteine ​​e dei metaboliti per identificare le molecole coinvolte nello sviluppo della malattia (Biotechnol J. 2010 Sep;5(9):930-41). Tutto ciò derivava anche in ragione della disponibilità delle nuove tecniche di studio. In effetti, la boinformatica utilizza i dati per eseguire le analisi di rete e suggerire le possibili interazioni tra i processi metabolici e i fattori ambientali. L'obesità è, comunque, riconosciuta come uno dei fattori di rischio più strettamente correlati al tumore del colon-retto (CRC). Vari disturbi metabolici derivati dal bilancio energetico positivo possono, invero, innescare e accelerare lo sviluppo del CRC. Gli Autori nella loro recensione hanno riassunto i rapporti dei geni, delle proteine ​​e dei metaboliti legati all’obesità o al CRC. Hanno, quindi, suggerito le molecole candidate alla correlazione tra l'obesità e il CRC come quanto riportato dalla letteratura disponibile. Hanno anche suggerito la possibile applicazione della bioinformatica per una larga scala di analisi di rete nello studio del rapporto di causa - effetto tra i componenti della dieta e il CRC.
Renehan AG dell’University of Manchester, United Kingdom e collaboratori, per un’informazione politica di sanità pubblica e per guidare ulteriori ricerche, hanno valutato anche l'onere d’incidenza del cancro colorettale in rapporto all’eccesso della body mass index (BMI maggiore o uguale a 25 kg / m 2 ) di trenta paesi europei (Int J Cancer. 2010 Feb 1;126(3):692-702). I numeri specifici per paese dei nuovi casi di tumore erano ricavati dal Globocan 2002. Nel 2002 si registravano 2.171.351 nuove diagnosi di cancro nei trenta paesi presi in esame, di cui il 65% era rappresentato da quelli dell'endometrio, della mammella in post-menopausa e dai colorettali.
Nel 2006, si rilevavano 412.900 diagnosti di nuovi casi di cancro del colon retto con una stima attribuibile di rischio personale del 10,92% (95% IC 9,59% al 12,24%) negli uomini e 2,57% (IC 95% 0% al 5,51% ) nelle donne per il cancro del colon e di 5,05% (IC 95% 3,45% al 6,67%) per il tumore del retto negli uomini, corrispondente a 15,844 casi di carco colon retto in eccesso (IC 95% 11,304-20,735).
Quest’analisi quantificava l'onere dei casi di cancro attribuibili all’eccesso della BMI in Europa. Le stime riportate fornivano una base per modelli di studio futuri e ponevano l’accento sulla necessità di una ricerca sugli interventi per il controllo del peso nel contesto della patologia neoplastica del colon-retto, dell'endometrio e della mammella.
Ida Laake dell’University of Oslo, Norway e collaboratori, volendo chiarire l’influenza del cambiamento di peso sul rischio del cancro del colon, hanno compiuto un grande studio di coorte sulla popolazione norvegese (Cancer Epidemiol Biomarkers Prev June 2010 19; 1511).
Gli Autori hanno, quindi, controllato il peso di 38.822 uomini e 37.357 donne tra il 1974 e il 1988, misurando il loro peso fino a tre volte. Gli hazard ratio (HR) e gli intervalli di confidenza (IC) erano stimati utilizzando la regressione di Cox.
Durante il follow-up erano identificati 228 casi di tumore del colon prossimali e 174 distali negli uomini e 237 e 159 casi rispettivamente nelle donne. L'associazione tra la BMI e il rischio di cancro al colon differiva tra i siti secondari negli uomini (p = 0.02), ma non nelle donne (P = 0.95). Negli uomini, gli HR (IC 95%) per 5 kg / m2 erano 1,07 (0,86-1,33) e 1,49 (1,19-1,87) rispettivamente per il prossimale e distale del colon. Nelle donne, gli HR (IC al 95%) corrispondenti erano 1,15 (0,99-1,34) e 1,25 (1,05-1,49). Tra gli uomini in sovrappeso (BMI ≥25 kg / m2), l’aumento di peso ≥10 kg dava un rischio di cancro al colon più elevato del mantenimento del peso (HR, 2,09, IC 95%, 1,21-3,63), mentre i rischi erano simili tra gli uomini con peso stabile, con sua perdita, o con guadagni minori di 10 kg. Nelle donne, invece, il cambiamento di peso non si associava con il rischio.
In conclusione, l'influenza della BMI sul rischio di cancro al colon differiva negli uomini tra i siti secondari. Gli aumenti di peso inferiori ai 10 kg non influenzavano il rischio.
I risultati, quindi, supportavano le differenze di genere e l'ipotesi di differenti eziologie per le varie sedi del colon.
Pereira F dell’Instituto de Investigaciones Biomédicas Alberto Sols dell'Universidad Autónoma de Madrid, Spain e collaboratori hanno voluto dimostrare che l'espressione delloJMJD3 (histone H3K27me3 demethylase Jumonji domain containing 3) umana era indotta dal metabolita attivo della vitamina 1α, 25-dihydroxyvitamin D(3) (1,25(OH)(2)D(3)) (Hum Mol Genet. 2011 Dec 1;20(23):4655-65).
In effetti, lo JMJD3 modula il gene dell'atto normativo di quest’ormone e la 1,25 ( OH ) ( 2 ) D ( 3 ) attiva il promotore del gene JMJD3, aumentando il livello dello JMJD3 RNA nelle cellule tumorali umane.
Da notare che il KDM6B/JMJD3 è una demetilasi istonica H3 della lisina con un importante ruolo regolatorio genico sullo sviluppo e sulla fisiologia.
La sovra regolazione dell’JMJD3 era strettamente dipendente dall’espressione del VDR (vitamin D receptor) ed era abolita dalla cicloeximide. Nelle cellule tumorali del colon SW480 - ADH, l’abbattimento dello JMJD3, o l'espressione di un frammento mutante inattivo, diminuiva l'induzione da parte della 1,25 ( OH) ( 2) D ( 3) di diversi geni bersaglio e di un fenotipo adesivo epiteliale. Inoltre, l’abbattimento dello JMJD3 sovra regolava gli induttori di transizione epitelio-mesenchimali SNAIL1 e ZEB1 e i marcatori mesenchimali fibronectina e LEF1, mentre sotto regolava le proteine ​​epiteliali E - caderina, Claudina - 1 e Claudina - 7. Inoltre, l’abbattimento dello JMJD3 aboliva l'esportazione nucleare della β-catenina e l'inibizione dell’attività trascrizionale della β-catenina provocata dalla 1,25 ( OH) ( 2) D ( 3).
Infine, gli Autori ritenevano importante sottolineare che in una serie di novantasei tumori del colon umani l'espressione dello JMJD3 correlava direttamente con quella del VDR e inversamente con quella dello SNAI1.
Per la prima volta i risultati indicavano, quindi, che un gene epigenetico codificante una demetilasi istonica, come lo JMJD3, era un co-bersaglio VDR che mediava parzialmente gli effetti della 1,25 (OH) ( 2) D (3) sul colon umano.
Xuehong Zhang del Channing Laboratory at Landmark Center, Boston e collaboratori hanno valutato, per loro canto, in 1.701 casi di cancro del colon, diagnosticati durante il follow-up fino a ventisei anni nei 139.310 partecipanti in due studi di coorte prospettici degli Stati Uniti con inizio nel 1980 e nel 1992 rispettivamente, l’associazione tra la neoplasia e l’aspirina in base all'indice di massa corporea e all'attività fisica (Am J Epidemiol. 2011 August 15; 174(4): 459–467).
Erano esaminati i livelli plasmatici del peptide C modificato e l'associazione mediante uno studio caso-controllo (n = 384 casi, 749 controlli). Erano, peraltro, testate le interazioni moltiplicative e additive. L’indice di massa corporea non modificava l'associazione e il pool delle multivariabili del rischio relativo per l'uso regolare dell’aspirina contro il non-uso. Si registrava, quindi, una variazione di 74-0,75 nei normopeso e negli obesi con P = 0,75 nel test per l'interazione moltiplicativa e P = 0,66 in quello per l'interazione additiva. Il pool dei rischi relativi multivariati per l'uso regolare dell’aspirina era 0,86 [IC 95% (intervallo di confidenza): 0.66, 1.11] nella bassa attività fisica e 0,67 (IC 95%: 0,58, 0,77) per l’alta senza alcuna interazione evidente né sulla scala moltiplicativa né additiva (P> 0,10). I livelli plasmatici del peptide C, inoltre, non modificavano l’associazione tra aspirina e cancro del colon, secondo rischi multivariabili relativi di 0,74 (IC:95% = 0.50, 1.10) per la bassa e 0,65 (IC:95% = 0,46, 0,92) per l’alta. La riduzione del rischio di cancro del colon, associato all'uso dell’aspirina non era, comunque, significativamente modificata in base all'indice di massa corporea, all’attività fisica o al livello plasmatico del C-peptide.

Aya Kuchiba dell’Harvard Medical School, Boston e collaboratori hanno voluto valutare, invece, le possibili variazioni tra la BMI (body mass index) e il rischio di cancro del colon-retto secondo l'espressione della FASN (Fatty acid synthase), la quale, come accennato in precedenza, è iperespressa in alcuni tumori del genere e gioca un ruolo importante nel metabolismo energetico degli acidi grassi, catalizzandone la sintesi (JNCI J Natl Cancer Inst (2012) doi: 10.1093/jnci/djr542).  
Durante il follow-up di 109.051 donne del Nurses Health Study tra il 1986 e il 2004 si diagnosticavano 1.351 cancri del colon e del retto. In 536 campioni tumorali asportati, gli Autori analizzavano l'espressione FASN mediante immunoistochimica. Il HR (Hazard ratio) e gli IC al 95% (intervalli di confidenza) erano calcolati usando modelli di regressione di Cox del rischio proporzionale.
L’alto indice di massa corporea si associava a un aumentato rischio di cancro colon-retto FASN-negativi (espressione assente o debole), rispetto alla normale con BMI alto. Valeva a dire che negli obesi con BMI≥ 30 kg/m2 vs i normopeso con BMI di 18,5-22,9 kg/m2 l’HR era uguale a 2.25, IC 95% = 1,49-3,40, P <.001. Ciò non era presente nei soggetti FASN-positivi con espressione da moderata a forte. Si osservava, inoltre, un’eterogeneità statisticamente significativa dei rischi di cancro del colon-retto tra i casi FASN-negativi e i FASN-positivi (Pheterogeneity  = 0,033). I tassi d’incidenza per 100 000 persone-anno per i tumori FASN-positivi e negativi del colon-retto, aggiustati per età, erano 10.9 e 7.1 rispettivamente.
In conclusione, questo studio epidemiologico molecolare patologico sosterrebbe, invero, un ruolo del metabolismo energetico nella patogenesi del cancro del colon-retto.
E. Yehuda-Shnaidman e B. Schwartz dell’Hebrew University of Jerusalem, stimolati dalla crescente epidemia globale dell’obesità e dal consequenziale aumento del rischio di tumore del colon-retto, il terzo più comune e la seconda causa di morte tra gli adulti dei paesi occidentali, hanno esaminato le interazioni tra gli adipociti e le cellule immunitarie che possono alterare il metabolismo verso la promozione del cancro stesso (Obesity Reviews Vol 13, Issue 12, pages 1083–1095, December 2012).
Hanno, così, precisato che il tessuto adiposo dell’obeso si differenzia da quello del magro per la distribuzione e il profilo immunogenico e metabolico. In effetti, il tessuto adiposo dell’obeso rilascia acidi grassi liberi, adipochine e molte chemochine pro-infiammatorie, fattori noti per svolgere un ruolo chiave nella regolazione della trasformazione maligna e della progressione del cancro. Il tessuto adiposo dell’obeso è, inoltre, infiltrato da macrofagi che partecipano alle vie infiammatorie attivate nel tessuto. Questi sono di due diversi fenotipi: M1 che risiedono nel tessuto adiposo dell’obeso e producono citochine pro-infiammatorie, M2 presenti nel tessuto adiposo dei magri e che producono citochine anti-infiammatorie, come l’IL-10 (interleuchina-10). Pur tuttavia, le reti metaboliche che conferiscono alle cellule tumorali le proprietà oncogeniche, quali la proliferazione aumentata e la capacità di evitare l'apoptosi, non sono ancora ben chiare.
Nisa M. Maruthur della Johns Hopkins University School of Medicine e collaboratori, proprio considerando che l'obesità si associa a un aumento della mortalità per cancro del colon e anche ai più bassi tassi di mammografia e Pap test, hanno condotto una revisione sistematica per valutare tale dato (Cancer Epidemiol Biomarkers Prev May 2012 21; 737).
Gli Autori hanno, così, cercato nella letteratura recensioni, citazioni, abstract e articoli in modo indipendente con lo screening per le seguenti categorie dell’indice di massa corporea (BMI): normale come riferimento da 18,5-24,9 kg/m2; sovrappeso da 25-29,9 kg/m2, obesità di classe I da 30-34,9 kg/m2, obesità di classe II da 35-39,9 kg/m2 e obesità di classe III ≥ 40 kg/m2.
Gli Autori, così, includevano ventitré articoli delle 5.543 citazioni. Quasi tutti gli studi erano trasversali e la BMI e gli screening erano accertati attraverso l'auto-report.
La BMI non si associava in generale con lo screening del cancro del colon. Il sottogruppo di donne obese bianche riportava tassi più bassi di screening del cancro del colon, rispetto a quelle con un BMI normale con OR combinato (IC 95%) di 0,87 (0,82-0,93), 0,80 (0,65-0,99) e 0,73 (,58-,94) per la classe di obesità I, II, III rispettivamente. I risultati erano simili per gli uomini bianchi con obesità di classe II.
In conclusione, gli studiosi affermavano che nel complesso la BMI non si associava con lo screening del cancro del colon. Gli uomini e donne bianche obesi mostravano minore probabilità di sottoporsi allo screening per il cancro del colon, rispetto a quelli con un normale indice di massa corporea. Sulla base di questo studio gli Autori suggerivano, quindi, ulteriori indagini su questa disparità per tendere a ridurre il rischio di morte per cancro del colon negli obesi.
Susan Hongha Vu della Washington University School of Medicine a St. Louis e collaboratori, proprio considerando l’evidenza dell'associazione tra diabete di tipo 2 e aumento del rischio di cancro al colon, ma anche di lesioni precancerose, non essendoci a loro conoscenza il suggerimento di sottoporre i malati metabolici di questo tipo a screening cautelativo d’indagini mirate, hanno esaminato le cartelle cliniche di tre gruppi di persone che avevano eseguito una colonscopia per un periodo di sei anni presso il loro istituto:
1) 125 diabetici di tipo 2 di età dai quaranta ai quarantanove anni,
2) 125 non diabetici dai quaranta ai quarantanove anni,
3) 125 non diabetici dai cinquanta ai cinquantanove anni.
La colonscopia aveva trovato almeno un polipo precanceroso nel: 1) 30%, 2) 14%, 3) 32%.
Pur tuttavia, gli Autori precisavano che il loro studio non provava che il diabete fosse la causa o contribuisse direttamente alla crescita del polipo. Difatti, i diabetici potevano avere altri fattori di rischio non misurati per l’incidenza degli adenomi e del cancro del colon. Comunque, il dato andava considerato anche alla luce del fatto che i diabetici hanno nel sangue livelli anormalmente elevati d’insulina, ormone che può alimentare la crescita delle cellule, comprese quelle precancerose.
Si proponeva, però, una domanda immediata:
in caso di diabete era opportuno sottoporsi a screening per il cancro del colon in età più giovane di quanto di solito consigliato dalle linee guida correnti? (Digestive Disease Week, San Diego, May 19-22, 2012)
Gloria Y.F. Ho dell’Albert Einstein College of Medicine London, United Kingdom e collaboratori, volendo chiarire le associazioni meccanicistiche tra obesità e cancro del colon-retto, hanno voluto studiare il possibile ruolo delle adipochine come fattori di rischio e se esse potessero mediare l’associazione con l'obesità (Cancer Res. Jun 15, 2012; 72(12): 3029–3037).

Gli Autori, all'interno dello studio Women's Health Initiative delle donne in postmenopausa, hanno ricavato campioni di plasma basale di 457 casi di cancro del colon-retto e in 841 soggetti di sottocoorte hanno analizzato l’adiponectina, la leptina, il PAI-1 (plasminogen activator inhibitor-1), la resistina, il fattore di crescita degli epatociti, IL-6 (interleukin-6) e il TNF-α. Erano anche disponibili per l'analisi dei dati i valori d’insulina e di estradiolo, misurati in precedenza. Dopo aggiustamento per età, razza, fumo, storia di colonscopia e livello di estrogeni, correlavano con un aumentato rischio di cancro del colon-retto un basso livello di adiponectina e degli alti livelli di leptina, di PAI-1 e di IL-6, anche se solo la leptina rimaneva significativa dopo ulteriore aggiustamento per l’insulina [HR confrontata tra i quartili estremi (HRQ4-Q1), 1.84; IC 95%= 1,17-2,90]. L’analisi di mediazione dimostrava che la leptina e l’insulina parzialmente spiegavano l'associazione tra la circonferenza della vita e il cancro del colon-retto e l’attenuavano del 25 e 37% rispettivamente, con l'insulina come mediatore significativo (P = 0,041).
 
I risultati supportavano, quindi, l’affermazione che le adipochine, coinvolte nel processo infiammatorio, erano associate al rischio di cancro del colon-retto ma che i loro effetti potevano essere mediati soprattutto dall’insulina, con la leptina che esercitava un effetto indipendente. L'iperinsulinemia e l’iperleptinemia potevano, quindi, parzialmente spiegare l'associazione tra l’adiposità e il cancro colorettale nelle donne in postmenopausa.
Teppei Morikawa dell’Harvard School of Public Health, Boston, Massachusetts e collaboratori hanno condotto un'analisi sui pericoli di regressione proporzionale di Cox con il metodo della duplicazione dei dati per valutare le associazioni differenziali tra la BMI (body mass index) o l’attività di esercizio fisico con il rischio di cancro colorettale secondo lo stato CTNNB1 del tumore (Cancer Res; 73(5); 1–11. ©2013 AACR).
Tutto ciò sulla base che la disregolazione della via di segnalazione del WNT / β -catenina (CTNNB1) è implicata nel carcinoma del colon-retto e nelle malattie metaboliche. Gli Autori hanno, infatti, ipotizzato che lo stato del tumore CTNNB1 potesse influenzare la sensibilità cellulare all’obesità e all'attività fisica. Nel follow-up clinico di 109.046 donne del Nurses' Health Study e di 47.684 uomini del Health Professionals Follow- up Study, ricorrevano 861 incidenti cancri del retto e del colon con i dati d’immunoistochimica sull’espressione tessutale del CTNNB1 nucleare. Usando questo database epidemiologico di patologia molecolare, gli Autori hanno rilevato che la più alta BMI si associava con un rischio significativamente maggiore di cancro CTNNB1 negativo [HR multivariata = 1.34; intervallo di confidenza (IC) 95 % 1,18-1,53 per incremento di 5,0 kg/m2; P trend = 0.0001]. Lo stesso non si aveva con il rischio di cancro CTNNB1 - positivo (HR multivariato = 1,07, IC 95%, 0,92-1,25 per incremento di 5,0 kg/m2; P trend = 0.36; P per eterogeneità = 0,027 tra rischio di cancro CTNNB1 - negativo e CTNNB1 positivo). Il livello di attività fisica si associava con un minor rischio di cancro CTNNB1 -negativo (HR multivariato = 0.93, IC 95%: 0,87-1,00 per incremento di dieci MET-h/sett.; P trend = 0.044 ). Lo stesso non si rilevava con il rischio di cancro CTNNB1 positivo (HR multivariata = 0.98, IC 95%: 0,91-1,05 per incremento di dieci MET-h/sett.; P trend = 0.60).
In conclusione, secondo gli Autori i risultati confermavano che l'obesità e l'inattività fisica erano associate con un rischio più elevato di cancro colorettale ma soltanto per il CTNNB1–negativo, rappresentato dal 54% dei casi esaminati, e non per quello CTNNB1 positivo, riprodotto dal restante 46%. Inoltre, indicavano che il bilancio energetico e lo stato metabolico esercitavano il loro effetto in uno specifico percorso di carcinogenesi meno probabilmente dipendente dall'attivazione WNT/CTNNB1. Questo studio evidenziava, invero, l'importanza dell’eterogeneità del tumore generalmente considerato come una singola malattia. In effetti, se i medici fossero in grado di identificare le persone inclini a sviluppare il cancro CTNNB1-negativo allora sarebbe possibile raccomandare più fortemente l'attività fisica.
Ma Y della Tongji University, Shanghai, People’s Republic of China e collaboratori hanno condotto una revisione sistematica degli studi prospettici sull'associazione dell’obesità con il rischio di cancro colorettale (PLoS ONE, 2013 - 8(1): e53916. doi:10.1371).
Tra il 1992 e il 2012 erano stati pubblicati quarantuno studi con misurazione del BMI (body mass index), coinvolgendo un totale di 85.935 casi su 8.115.689 partecipanti. Di questi studi, diciassette erano stati condotti negli Stati Uniti, dodici in Europa, sette in Asia, quattro in Australia e uno in Canada. I tredici studi con misurazione della WC (waist circumference) erano stati pubblicati tra il 1995 e il 2012 con un totale di 6.546 casi su 817.449 partecipanti. Di questi, sette erano stati condotti negli Stati Uniti, tre in Europa e tre in Australia. La maggior parte degli studi aveva fornito stime di rischio che in trentasei erano aggiustate per l’età, in trentadue per il fumo, in ventitré per l’attività fisica, in ventitré per il consumo di alcol. Un minor numero di studi era stato aggiustato: nove per l'assunzione di calorie, otto per l’uso di FANS / Aspirina, sette per l’assunzione di folati, sei per quella del calcio, sei per il diabete. Pochissimi erano stati adeguati per lo screening del cancro del colon retto.
In sintesi, i risultati di questa meta-analisi di studi prospettici dimostravano che i livelli di BMI e WC erano entrambi associati positivamente con il rischio di cancro del colon retto in uomini e donne di differenti aree geografiche e in diverse sedi anatomiche. Tuttavia, secondo gli Autori i dati disponibili erano ancora scarsi ed erano auspicabili ulteriori studi longitudinali per stime più precise e una migliore comprensione del ruolo dell'obesità nei meriti della carcinogenesi della malattia.
Marc Bardou dell’INSERM Dijon, France e collaboratori hanno, per loro conto, esaminato come l'obesità potesse promuovere il cancro del colon retto e il suo comportamento, tentando di quantificare l'impatto dei trattamenti medici e chirurgici ed evidenziando i cambiamenti metabolici a essi associati (Gut 2013;62:933-947).
Gli Autori identificavano, così, tutte le metanalisi, revisioni sistematiche, studi caso-controllo, di coorte o osservazionali che avevano valutato la prevalenza del cancro del colon, o del retto o del colon retto in obesi rispetto ai soggetti non obesi.

Dalle 3.732 citazioni iniziali selezionavano venti metanalisi, cinque recensioni, 113 studi osservazionali e cinquanta ulteriori articoli di supporto. In Europa circa l'11 % dei casi del cancro colorettale (CRC) erano stati attribuiti al sovrappeso e all’obesità. I dati epidemiologici indicavano che l'obesità era associata a un aumentato rischio di cancro al colon nel 30-70% negli uomini, mentre l'associazione era meno consistente nelle donne. Esistevano tendenze simili per adenoma del colon-retto, anche se il rischio appariva più basso. Il grasso viscerale, o l'obesità addominale, sembrava essere più preoccupante di quella dovuta al grasso sottocutaneo e ogni aumento del BMI di 1 kg/m2 conferiva ulteriore rischio (HR 1,03). L'obesità poteva essere associata agli esiti peggiori del cancro, come ricorrenza del tumore primario o di mortalità. Diversi fattori, tra cui una ridotta sensibilità ai regimi terapeutici antiangiogenici, avrebbero potuto spiegare queste differenze. Fatta eccezione per infezione della ferita, l'obesità aveva un impatto significativo sulle procedure chirurgiche. I meccanismi sottostanti che collegavano l'obesità al CRC erano ancora oggetto di dibattito, ma la sindrome metabolica, l’insulino-resistenza e le modifiche nei livelli delle adipocitochine sembravano assumere una grande importanza. Altri fattori biologici come il microbiota intestinale o gli acidi biliari stavano emergendo. Pur tuttavia, molti interrogativi restavano ancora senza risposta.
Ningqi Hou dell’University of Chicago, USA e collaboratori hanno compiuto una revisione sistematica della letteratura dal 1980 al 2013 sui fattori dietetici e di stile di vita di rischio per la prevenzione e la chemioprevenzione del CRC (colorectal cancer) in una popolazione ad alto rischio (Chin Clin Oncol 2013;2(2):13).
Gli Autori hanno, così, rilevato prove convincenti che l'assunzione di aglio, caratterizzato da un elevato contenuto di composti organosolforici e di flavonoidi, di vitamina B6 e di magnesio, la vita attiva, il mantenimento di un peso sano e di vita salutare, evitando o riducendo la carne rossa, l’alcool e il fumo, così come la terapia ormonale sostitutiva nelle donne poteva risultare in una significativa protezione contro lo sviluppo del cancro del colon-retto.
Meno consistenti erano le evidenze per la frutta e le verdure come per le fibre e l’acido folico, il pesce e gli acidi grassi omega-3, il selenio, i latticini, il calcio e la vitamina D. Per le popolazioni ad alto rischio, l'aspirina dimostrava una protezione contro lo sviluppo degli adenomi del colon e del CRC, mentre una dose minima efficace rimaneva poco chiara.
In conclusione, il cancro del colon-retto poteva essere prevenuto nella popolazione generale attraverso interventi sulla dieta e sullo stile di vita. L'aspirina risultava una buona scelta come agente di chemioprevenzione tra gli individui ad alto rischio.
Gregory P Tarr dell’University of Otago, New Zealand e collaboratori hanno voluto determinare la portata dei cambiamenti dello stile di vita autoriferiti in persone a maggior rischio di CRC e l'associazione di questi report con l’ansia, il rischio e le variabili basate sulla conoscenza (BMC Gastroenterology 2014, 14:22).
Gli Autori hanno, così, selezionato in modo casuale 250 partecipanti con colonscopia di prevenzione, sulla base di una storia familiare di CRC. In conformità a un’intervista telefonica, è stata valutata una scala a quattro punti registrando la conoscenza dei fattori di rischio, del rischio personale e della preoccupazione a causa della storia familiare. L’ansia generale è stata valutata utilizzando la scala GAD-7. I risultati aggiustati sono stati ottenuti utilizzando la regressione logistica ordinale.
Si registravano così 148 partecipanti con il 79,7% che riportava almeno un cambiamento sano. I più frequentemente segnalati erano il cambiamento della dieta e dell'attività fisica con il 63% per le fibre, il 54% per la frutta e le verdure, il 47% per la carne rossa, il 45% per l'attività fisica. I cambiamenti nel consumo di tabacco con il 25%, dell’alcol con 26% e del peso corporeo con 31% erano meno probabili. Le persone erano più propense a segnalare il cambiamento sano con più bassi livelli di ansia generalizzata, con maggiore preoccupazione a causa della storia di famiglia, o con una maggiore conoscenza dei fattori di rischio percepiti del CRC. La percezione del rischio e quello dovuto alla storia di famiglia non erano associati ai cambiamenti sani.



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