IPOVITAMINOSI "D" RAZZA E MORTALITÀ CARDIOVASCOLARE
Kevin Fiscella e coll. dell'University of Rochester School of Medicine, NY, considerando che le persone di colore hanno bassi livelli di vitamina "D" e che gli afro-americani hanno più alti tassi di malattie cardiovascolari rispetto alla popolazione bianca, hanno condotto uno studio retrospettivo di coorte, analizzando l'associazione di 25 (OH) D serica con i livelli di mortalità cardiovascolare e osservando il possibile contributo dei livelli della vitamina alla disparità tra neri e bianchi sulla mortalità cardiovascolare (Ann Fam Med 2010; 8:11-18).
A tal fine, hanno usato i dati di base del National Health and Nutrition Examination Survey, raccolti su 15.363 persone tra il 1988 e il 1994 (NHANES III) e i dati sulla mortalità da causa specifica fino al 2001 del National Death Index. I risultati hanno mostrato che i soggetti con 25 (OH) D nel quartile più basso (in media 13,9 ng/mL), rispetto a quelli dei tre quartili più alti (in media 21,6, 28,4 e 41,6 ng/mL), avevano un maggiore rischio aggiustato di morte cardiovascolare. Si documentava, peraltro, un effetto soglia con riduzione minima del numero di decessi cardiovascolari sopra il 25° percentile, mentre il quartile più basso aveva un rischio aggiustato di mortalità cardiovascolare del 40% in più, rispetto agli altri tre quartili di 25 (OH) D (IC 95% 16% -69%, p = 0,001). Il rapporto tra razza e mortalità cardiovascolare e il potenziale effetto di mediazione della 25 (OH) D sono stati esaminati in una serie di modelli codificati. Nel modello di regolazione solo per le variabili esterne (età, sesso, mese e regione), i neri hanno dimostrato una mortalità cardiovascolare significativamente più alta rispetto ai bianchi (rapporto tra tasso d'incidenti [IRR] 1,38). Quando è stata aggiunta la 25 (OH) D, c'è stata una significativa riduzione di circa il 60% del rischio associato con la razza nera (IRR 1,14) e, quando si sono sommati al modello la 25 (OH) D e il reddito, l'aumento del rischio nei neri è stato completamente eliminato (IRR 1,01), dimostrandosi, così, per questi due fattori una separata azione di effetto sulla mortalità cardiovascolare nei neri.
Bisogna considerare che, se vi sono limitati studi randomizzati e controllati per quanto riguarda l'impatto della supplementazione di vitamina D sulle malattie cardiovascolari, esistono meta-analisi di studi clinici randomizzati sulla supplementazione di vitamina "D" per altri scopi, come ad esempio il miglioramento della densità ossea e la riduzione delle fratture, con abbassamento della mortalità per tutte le cause. Altri studi hanno, anche, suggerito che la supplementazione della vitamina può essere associata a riduzioni della pressione arteriosa sistolica e della proteinuria tra i pazienti con malattia renale cronica, suggerendo che le statine rappresentano analoghi della vitamina D. Ci sono, difatti, molti studi che collegano i bassi livelli di vitamina "D" al diabete, all'ipertensione e alle malattie vascolari periferiche, tutti driver delle malattie cardiovascolari. Sulla base anche di tale studio, pur considerando che le raccomandazioni attuali consigliano un apporto di vitamina di 400 unità giornaliere, si può prendere atto che le dosi possono essere molto più elevate per avere un effetto più deciso sulla prevenzione cardiovascolare.