NOTIZIARIO Marzo 2010 N°3
A cura di Giuseppe Di Lascio
Con la collaborazione di:
Bagalino Alessia, Bauzulli Doriana, Di Lascio Alessandro, Di Lascio Susanna, Levi Della Vida Andrea, Melilli Simonetta, Pallotta Pasqualino, Sesana Giovanna, Stazzi Claudio, Zimmatore Elena
FOSFORO SERICO COME MARKER DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE
Ravi Dhingra e coll. del Framingham Heart Study, sulle basi della dimostrazione di studi sperimentali sui topi, che, privi dei geni che regolano il metabolismo del fosforo, sviluppano invecchiamento precoce, l'arteriosclerosi, e calcificazione vascolare, considerando che, allo stesso modo, i pazienti con malattia renale cronica, o postinfanfartuati, ma con funzionalità renale normale, presentano un'associazione tra i livelli di fosforo elevato con tutte le cause di mortalità e/o un aumento di eventi cardiovascolari, hanno voluto rispondere al quesito se, in una comunità campione, senza alta prevalenza di una malattia renale cronica o infarto miocardico, i livelli serici di fosforo potessero rispondere a un aumento di malattia cardiovascolare sopra un range di riferimento (Arch Intern Med 2007; 167:8-79-885). A tale proposito, gli AA. hanno raccolto prospetticamente, nel corso di un follow-up medio di 16 anni, informazioni su 3.368 partecipanti allo studio Framingham Offspring, inclusa la fosforemia basale, la calcemia, oltre l'incidenza di malattia cardiovascolare. L'aumento dei livelli serici di fosforo si è associato a un aumentato rischio di eventi cardiovascolari, 524 dei quali si è verificato durante il periodo di studio, fino anche dopo aggiustamento per i prestabiliti fattori di rischio, i livelli di PCR, la velocità di filtrazione glomerulare (F.G.) e gli altri marcatori della malattia renale. I quartili di fosforemia più alti presentavano il rischio di malattia cardiovascolare del 50% maggiore rispetto al quartile più basso. Peraltro, le persone con funzionalità renale normale hanno presentato un rischio aumentato della stessa entità del campione globale. Da notare, che i livelli serici di calcio non hanno dimostrato alcuna associazione con il rischio cardiovascolare. Come possibile spiegazione si può avanzare che l'iperfosforemia potrebbe inibire la sintesi di vitamina D, la cui inadeguatezza favorisce la malattia vascolare e la calcificazione coronarica. Ma potrebbe, la stessa iperfosforemia, promuovere direttamente la malattia vascolare secondo una sua proprietà di facilitare la deposizione minerale nelle cellule muscolari lisce vascolari con consequenziale calcificazione coronarica. Ma anche i livelli di ormone paratiroideo, secondariamente aumentati per l'iperfosforemia, possono causare uno stato pro-infiammatorio.
INTEGRAZIONI DI CALCIO/VITAMINA "D" ED EVENTI CARDIOVASCOLARI
J udith Hsia e coll. della George Washington University, Washington, hanno valutato il rischio di eventi coronarici e cerebrovascolari nel trial randomizzato del Women's Health Initiative di calcio e vitamina D su 36.282 donne in postmenopausa dai 50 ai 79 anni di età, di 40 sedi cliniche, trattate con 500 mg di carbonato di calcio e 200 UI di vitamina D due volte il giorno o placebo (Circulation. 2007;115:846-854). Durante i sette anni di follow-up, l'infarto miocardico o la morte per malattia coronarica sono stati confermati in 499 donne del gruppo del calcio/vitamina D e in 475 del gruppo placebo (HR 1.04; IC 95%, 0,92-1,18). L'ictus è stato confermato in 362 donne assegnate al calcio/vitamina D e in 377 del gruppo placebo (HR 0.95; IC 95%, 0,82 a 1,10). Nelle analisi dei sottogruppi, le donne con più elevata assunzione di calcio totale (dieta più supplementi) al basale non hanno presentato un rischio più alto di eventi coronarici (P = 0.91 per confronto) o d'ictus (p = 0.14 per confronto), se assegnato al gruppo di calcio/vitamina D. In conclusione, il trattamento per un periodo di sette anni di calcio/vitamina D non ha dimostrato aumento né diminuzione del rischio coronarico o cerebrovascolare in donne sane in postmenopausa.
IPOVITAMINOSI "D" E FATTORI DI RISCHIO CV
David Martins e coll. della Charles R Drew University of Medicine and Science hanno utilizzato i dati NHANES, raccolti tra il 1988 e il 1994 per valutare il legame tra i livelli di vitamina D e i fattori di rischio cardiovascolare (Arch Int Med 2007; 167:1159-1165). La prevalenza corretta per obesità, diabete, elevati livelli serici di trigliceridi e pressione alta sono risultati significativamente più elevati nel quartile più basso della 25-idrossivitamina D serica rispetto a quelli del quartile più alto e le donne, gli anziani e le minoranze etniche hanno dimostrato livelli più bassi di vitamina. Nel complesso, più della metà di quasi tutti i sottogruppi esaminati mostrava livelli insufficienti di 25-idrossivitamina D, anche per gli standard attuali (<30 ng/mL).
CARENZA DI VITAMINA D ASSOCIATA CON UN AUMENTO DELLA MORTALITÀ
Harald Dobnig e coll. del Medical University of Graz, Austria), prendendo atto che il 50% - 60% delle persone non hanno lo status di vitamina D soddisfacente, in ragione probabilmente a fattori come l'urbanizzazione, le nuove tendenze demografiche, la ridotta attività all'aperto, l'inquinamento atmosferico e l'oscuramento globale e che la produzione cutanea di vitamina D diminuisce con l'età, ribadendo che recenti studi hanno mostrato l'associazione tra i livelli di bassa 25 (OH) D con importanti fattori di rischio cardiovascolare, sostenendo i risultati precedenti che hanno dimostrato gli effetti positivi della vitamina D e suoi analoghi sulla fibrinolisi, lipidi nel sangue, trombogenicità, rigenerazione endoteliale e la crescita delle cellule muscolari liscie, insieme di fattori che sostengono fortemente gli effetti benefici della 25-idrossivitamina D sul sistema cardiovascolare, peraltro, indipendenti del metabolismo del calcio, osservando che ci sono pochi studi sull'associazione della vitamina D endogena con il grado di mortalità totale e cardiovascolare, hanno eseguito uno studio prospettico di coorte su 3.258 pazienti, arruolati per angiografia coronarica nello studio LURIC, seguiti per una media di 7,7 anni (Arch Intern Med 2008; 168:1340-1349). Durante lo studio sono deceduti 737 soggetti (22,6%), di cui 463 per cause cardiovascolari. I risultati durante il follow -up hanno mostrato che i due quartili inferiori di 25-idrossivitamina D basale (in media, 7,6 e 13,3 ng/mL) e, soprattutto quelli nel quartile più basso, presentavano un rischio significativamente più elevato di mortalità per tutte le cause.
Simili risultati si sono ottenuti per la mortalità cardiovascolare, approssimativamente raddoppiata nel quartile più basso rispetto a quello più alto, mentre i livelli minimi di 25-idrossivitamina D erano significativamente correlati con gli indicatori d'infiammazione (CRP e IL-6), con lo stress ossidativo (livelli dei fosfolipidi del siero e del glutatione) e con le cellule di adesione (livelli di molecole di adesione delle cellule vascolari-1 e di molecole di adesione intercellulare-1). Tali risultati hanno dimostrato che un basso livello di 25-idrossivitamina D può essere considerato un indicatore di rischio per tutte le cause di mortalità nelle donne e negli uomini, a prescindere dal grado di malattia coronarica visto all'angiografia. Peraltro, l'associazione elevata con i marker dell'infiammazione nello studio suggerisce proprietà anti-infiammatorie della vitamina "D" e le conseguenze legate allo stress ossidativo e a una maggiore adesione delle cellule suggeriscono che i bassi livelli di vitamina D possono influenzare negativamente la funzione vascolare biologica in molteplici modi. Ma potrebbero invocarsi altri meccanismi riguardanti gli effetti sulla mortalità relativa al basso livello di vitamina D comprendenti le MMP (metalloproteinasi di matrice) che hanno dimostrato di influenzare la produzione e la stabilità della placca, la maggiore suscettibilità alle calcificazioni arteriose o un aumento del messaggero renina-espressione di RNA.
CARENZA DI VITAMINA D: FATTORE DI RISCHIO PER IL CUORE?
Thomas Wang e coll. del Massachusetts General Hospital, Boston, sulla base che non meno da un terzo alla metà degli adulti anziani sani presenta una carenza di vitamina “D”, hanno studiato prospetticamente la relazione tra lo stato di essa per l'incidenza di eventi cardiovascolari in 1.739 persone prive di malattia cardiovascolare basale, di razza bianca, ambulatoriali, di età media di 59 anni; donne per il 55%, facenti parte del Framingham Offspring Study (Circulation. 2008;117:503-511).
Il 28% aveva livelli inferiori ai 15 ng/ml e il 9% livelli inferiori ai 10 ng/mL, soglie che caratterizzano i diversi gradi di carenza della vitamina. Durante un follow-up medio di 5.4 anni, 120 individui hanno sviluppato un primo evento cardiovascolare e, dopo aggiustamento per i tradizionali fattori di rischio, gli individui con livelli di 25-OH D inferiori ai 15 ng/mL avevano un aumentato rischio d'incidente di eventi cardiovascolari rispetto a quelli con livelli di 25-OH D superiori ai 15 ng/mL.
Il rischio maggiore, associato a carenza di vitamina, è stato particolarmente evidente tra gli individui affetti da ipertensione, nei quali i livelli di 25-OH D inferiori ai 15 ng/mL erano associati a un duplice rischio di eventi cardiovascolari, mentre non vi era alcuna correlazione nei partecipanti senza ipertensione.
MAGGIORI EVIDENZE SULL'AUMENTO DI MORTALITÀ IN CARENZA DI VITAMINA "D"
Michal L Melamed e coll. dell'Albert Einstein College of Medicine, Bronx, NY hanno seguito 13.331 adulti, dai 20 anni e oltre, (Arch Intern Med 2008; 168: 1629-1637) per esplorare l'associazione tra livelli di vitamina "D" e mortalità per tutte le cause, per il cancro e per gli accidenti cardiovascolari nella popolazione generale del NHANES III (Third National Health and Nutrition Examination Survey NHANES). I livelli di vitamina dei partecipanti sono stati raccolti tra il 1988 e il 1994 e gli individui sono stati seguiti per la mortalità passivamente sino al 2000. L'età, il sesso femminile, la razza non bianca, il diabete, il fumo in corso e il maggiore indice di massa corporea (IMC) sono risultati indipendentemente associati a un livello carenziale più elevato di vitamina (quartile inferiore di 25 [OH]D <17,8 ng/mL). Durante 8,7 anni di follow-up, ci sono state 1.806 morti, di cui 777 per malattia cardiovascolare e, dopo aggiustamento multivariato, il quartile più basso rispetto al più alto di vitamina (> 32,1 ng/mL) ha presentato un rapporto di tasso di mortalità di 1,26 (IC 95% 1,08-1,46) con un rischio attribuibile alla popolazione del 3,1%. Il rapporto del tasso di mortalità cardiovascolare tra il più basso quartile vs il più alto è stato 1,20 (IC 95% 0,87-1,64) e 0,91 per la mortalità per cancro (IC 95% 0,62-1,31). In conclusione i quartili con i più bassi livelli di vitamina "D" presentavano un rischio di mortalità per tutte le cause del 26% più elevato e un simile rischio di mortalità aumentato per malattia cardiovascolare, sebbene quest'ultimo non fosse statisticamente significativo. Non si evidenziava, invece, un'associazione tra bassi livelli di vitamina e la mortalità per cancro o altre cause di morte. Il rischio di mortalità per i quartili più bassi di vitamina "D" è stato più evidente in coloro senza malattia cardiovascolare all'inizio dello studio, rispetto a coloro che la dichiaravano nell'anamnesi, suggerendo che, forse, il ruolo della vitamina "D" nella malattia cardiovascolare si realizza prima che la malattia sia stabilita. Inoltre, come in altri studi, gli AA. hanno trovato che in alcuni sottogruppi dello studio, in particolare nelle donne, i livelli molto elevati di vitamina potevano essere dannosi, portando a consigliare 'livelli ottimali' con controlli periodici nella cura dell'osteoporosi, dell'obesità e delle minoranze etniche. Il consiglio più sensato, per chi vuole garantire il livello ottimale di vitamina, comunque, rimane quello di spendere dai 10 ai 15 minuti il giorno al sole e di mangiare cibi arricchiti, come il latte e pesce grasso.
ADOLESCENTI CON BASSA VITAMINA "D" PIÙ PREDISPOSTI AI FATTORI DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE
Jared P Reis e coll. del Johns Hopkins Medical Institutions, Baltimore, sulla base che crescenti evidenze indicano la carenza di vitamina D negli adulti, ma non negli adolescenti, come possibile aumento del rischio d'ipertensione, diabete e malattia cardiovascolare, hanno analizzato i dati di 3.577 adolescenti dai 12 ai 19 anni, nel 51% maschi, che hanno partecipato al NHANES 2001-2004 (National Health and Nutrition Examination Survey) (AHA 49th Annual Conference on Cardiovascular Disease Epidemiology and Prevention; March 11, 2009; Palm Harbor).
Gli adolescenti presentavano 25 (OH) D media nel siero di 24,8 ng/mL e quelli con i livelli nel quartile più basso (<15 ng / mL) dimostravano, con maggiore probabilità, la sindrome metabolica, l'iperglicemia e l'ipertensione, rispetto a quelli con i livelli nel quartile più alto (> 26 ng / mL).
La media dei livelli di vitamina è stata più bassa negli afro-americani (15,5 ng /mL), intermedia negli americani del Messico (21,5 ng/mL) e più alta nei bianchi (28,0 ng/mL), probabilmente per la differente presenza di melanina nella pelle. Bassi livelli di vitamina sono stati, anche, fortemente associati con il sovrappeso e l'obesità addominale (p <0,001 per entrambi), probabilmente per sequestro della sostanza nel tessuto adiposo. Secondo alcune ricerche, la carenza di vitamina negli adulti e negli adolescenti è aumentata considerevolmente negli ultimi 20 anni, come, peraltro, riportato nel marzo 2009 dal National Health and Nutrition Examination Survey 1988-1994 and 2001-2006 negli Stati Uniti. I dati di tale studio hanno riportato che la prevalenza d'ipovitaminosi 25 (OH) D nel siero, sotto gli 11 ng/mL, è passata dal 2,6% del 1988 – 1994 al 9,2% del 2005-2006. La prevalenza nel corso del periodo 2001-2006 è salita al 28% sino al 40% in caso di definizione di soglie di 20 ng/ml e al 70% sino all'80% in caso di cutoff di 30 ng/ml. L'American Academy of Pediatrics, in ragione di ciò, raccomanda, infatti, di seguito un apporto giornaliero di vitamina pari a 400 UI, che può derivare dal consumo di latte, pesce azzurro o cibi fortificati o dall'esposizione dai 10 ai 15 minuti al sole. Da notare, però, che altri esperti suggeriscono fabbisogni di almeno 1000 UI il giorno.
LEGAME GENETICO TRA LA VITAMINA "D" E SCOMPENSO
Robert Simpson e coll. dell'University of Michigan, Ann Arbor, MI, sulla base della grande quantità d'informazioni attuali sull'importanza della vitamina "D" per la salute cardiovascolare e della presenza nel tessuto cardiaco del recettore per la sostanza, per cui l'ipovitaminosi è stata associata in studi precedenti a maggiori rischi di malattie coronariche, influenzando, anche, la gravità e la progressione dell'insufficienza cardiaca congestizia, tenuto conto che l'enzima CYP27B1 è responsabile della bioattivazione della vitamina, ipotizzando che nello scompenso cardiaco ci sarebbe maggiore probabilità di incontrare una sua variante genetica, una mutazione che inibisce l'enzima e, di conseguenza, che ne riduce la conversione in ormone attivo, hanno selezionato i profili genetici di 617 persone, analizzando i polimorfismi funzionali di cinque geni candidati-CYP27B1, CYP24A1, VDR, REN, e ACE, coinvolti nella regolazione della produzione della vitamina e della sua attivazione (Pharmacogenetics 2009; 10:1789-1797). Dei 617 soggetti, 205 erano ipertesi con insufficienza cardiaca congestizia, 206 solo ipertesi e 206 sono serviti come controlli per età e sesso. L'analisi di regressione ha dimostrato che un polimorfismo di un singolo nucleotide (SNP) in CYP27B1 si è associato negli ipertesi con insufficienza cardiaca congestizia, mentre negli ipertesi omozigoti per l'allele C dello SNP rs4646536 si riscontrava un aumento più del doppio del rischio d'insufficienza cardiaca congestizia, (Odds Ratio 2.14, IC 95% 1,05-4,39). Per il rs4646536 il genotipo omozigote CC era presente nel 12,7% degli individui con ipertensione e insufficienza cardiaca e nell'8,7% di quelli con sola ipertensione senza chiari meccanismi di associazione delle due condizioni. I ricercatori, comunque, facendo notare che i partecipanti allo studio erano prevalentemente di razza bianca, hanno sollecitato ulteriori studi in diversi gruppi etnici per una conferma che porterebbe a considerare attentamente le mutazioni genetiche del CYP27B1 e permetterebbe di conoscere più adeguatamente il rischio dell'insufficienza cardiaca. A tale proposito, lo studio VITAL (Vitamin D and Omega-3 Trial), sponsorizzato dal National Institutes of Health ed i cui risultati sono attesi per il 2014, è in corso con l'obiettivo di valutare se la supplementazione di vitamina D e/o acidi grassi omega-3- in 20.000 soggetti può ridurre il rischio di sviluppare malattie cardiache, ictus o cancro.
LO STUDIO WHI CAD
Andrea Z. LaCroix e coll. del Fred Hutchinson Cancer Research Center, Seattle, Washington, hanno condotto lo studio "The Women's Health Initiative Calcium–Vitamin D Randomized Controlled Trial" su 36.282 donne in post-menopausa, dai 51 agli 82 anni, provenienti da 40 centri clinici statunitensi, assegnate a 1.000 mg di carbonato di calcio elementare e 400 UI di vitamina D3 il giorno o placebo per un follow-up medio di 7,0 anni ((J Gerontol A Biol Sci Med Sci. 2009 May;64(5):559-67). Lo HR per la mortalità totale era 0,91 (IC 95% 0,83-1,01), con 744 decessi in donne randomizzate a malattia coronarica vs 807 decessi nel gruppo placebo. Lo HR è stato nella direzione della riduzione del rischio, non significativa per l'ictus e la mortalità per cancro, ma vicino l'unità per la malattia coronarica e per altre cause di morte. Lo HR per la mortalità totale era 0,89 in 29.942 donne di età inferiore ai 70 anni (IC, 95% 0,79-1,01) e 0,95 in 6.340 donne di età compresa tra 70 e oltre (IC, 95% 0,80-1,12; valore di p per l'età d'interazione = ,10 ). Nessuna interazione statisticamente significativa è stata osservata per tutte le caratteristiche di base e gli effetti del trattamento non variavano significativamente da stagione a stagione. Nello studio la supplementazione non ha avuto un effetto statisticamente significativo sulla mortalità, ma i risultati hanno confermato la possibilità che gli integratori usati hanno potuto ridurre i tassi di mortalità nelle donne in post-menopausa. Questi dati, in effetti, non possono allo stato attuale fornire né particolare sostegno, né smentire le raccomandazioni per una maggiore dose di supplementazione di vitamina "D" per ridurre il cancro o la mortalità totale.
IPOVITAMINOSI "D" RAZZA E MORTALITÀ CARDIOVASCOLARE
Kevin Fiscella e coll. dell'University of Rochester School of Medicine, NY, considerando che le persone di colore hanno bassi livelli di vitamina "D" e che gli afro-americani hanno più alti tassi di malattie cardiovascolari rispetto alla popolazione bianca, hanno condotto uno studio retrospettivo di coorte, analizzando l'associazione di 25 (OH) D serica con i livelli di mortalità cardiovascolare e osservando il possibile contributo dei livelli della vitamina alla disparità tra neri e bianchi sulla mortalità cardiovascolare (Ann Fam Med 2010; 8:11-18).
A tal fine, hanno usato i dati di base del National Health and Nutrition Examination Survey, raccolti su 15.363 persone tra il 1988 e il 1994 (NHANES III) e i dati sulla mortalità da causa specifica fino al 2001 del National Death Index. I risultati hanno mostrato che i soggetti con 25 (OH) D nel quartile più basso (in media 13,9 ng/mL), rispetto a quelli dei tre quartili più alti (in media 21,6, 28,4 e 41,6 ng/mL), avevano un maggiore rischio aggiustato di morte cardiovascolare. Si documentava, peraltro, un effetto soglia con riduzione minima del numero di decessi cardiovascolari sopra il 25° percentile, mentre il quartile più basso aveva un rischio aggiustato di mortalità cardiovascolare del 40% in più, rispetto agli altri tre quartili di 25 (OH) D (IC 95% 16% -69%, p = 0,001). Il rapporto tra razza e mortalità cardiovascolare e il potenziale effetto di mediazione della 25 (OH) D sono stati esaminati in una serie di modelli codificati. Nel modello di regolazione solo per le variabili esterne (età, sesso, mese e regione), i neri hanno dimostrato una mortalità cardiovascolare significativamente più alta rispetto ai bianchi (rapporto tra tasso d'incidenti [IRR] 1,38). Quando è stata aggiunta la 25 (OH) D, c'è stata una significativa riduzione di circa il 60% del rischio associato con la razza nera (IRR 1,14) e, quando si sono sommati al modello la 25 (OH) D e il reddito, l'aumento del rischio nei neri è stato completamente eliminato (IRR 1,01), dimostrandosi, così, per questi due fattori una separata azione di effetto sulla mortalità cardiovascolare nei neri.
Bisogna considerare che, se vi sono limitati studi randomizzati e controllati per quanto riguarda l'impatto della supplementazione di vitamina D sulle malattie cardiovascolari, esistono meta-analisi di studi clinici randomizzati sulla supplementazione di vitamina "D" per altri scopi, come ad esempio il miglioramento della densità ossea e la riduzione delle fratture, con abbassamento della mortalità per tutte le cause. Altri studi hanno, anche, suggerito che la supplementazione della vitamina può essere associata a riduzioni della pressione arteriosa sistolica e della proteinuria tra i pazienti con malattia renale cronica, suggerendo che le statine rappresentano analoghi della vitamina D. Ci sono, difatti, molti studi che collegano i bassi livelli di vitamina "D" al diabete, all'ipertensione e alle malattie vascolari periferiche, tutti driver delle malattie cardiovascolari. Sulla base anche di tale studio, pur considerando che le raccomandazioni attuali consigliano un apporto di vitamina di 400 unità giornaliere, si può prendere atto che le dosi possono essere molto più elevate per avere un effetto più deciso sulla prevenzione cardiovascolare.
STATINA E LIVELLI DI VITAMINA "D"
José Luis Pérez-Castrillón e coll. del Department Internal Medicine, Rio Hortega Universitary Hospital, C/ Dulzaina Spain, con l'obiettivo di valutare la risposta del colesterolo e dei trigliceridi all'atorvastatina in base ai livelli di vitamina "D", hanno studiato 63 pazienti dai 37 ai 79 anni, 40 uomini e 23 femmine tutte in menopausa, con infarto miocardico acuto trattato con dosi basse (10–20 mg) e alte (40–80 mg) di atorvastatina, raggruppati in ordine ai valori inadeguati (<30 nmol / L), insufficienti (30-50 nmol / L) e normali (> 50 nmol/L) di 25-idrossivitamina D (25-OHD) (Int J Endocrinol. 2010; 2010: 320721). Nei pazienti con 25-OHD <30 nmol/L non ci sono state variazioni significative nei livelli di colesterolo totale (173 ± 47 mg/dL verso 164 ± 51 mg/dL), dei trigliceridi (151 ± 49 mg/dl verso 177 ± 94 mg/dL), del colesterolo LDL (111 ± 48 mg/dl verso 92 ± 45 mg/dL), mentre nei pazienti con carenti (30-50 nmol/L) e con normalità (> 50 nmol/L) si è registrata una buona risposta all'atorvastatina. Per il C-HDL si è registrato un aumento in tutti i gruppi.
I dati suggeriscono, pertanto, che, per ottenere livelli lipidici ottimali con l'atorvastatina nei pazienti con infarto miocardico acuto, le concentrazioni di vitamina "D" devono essere > 30 nmol/L e, quindi, il suo dosaggio dovrebbe essere previsto nei casi sospetti.
LA VITAMINA "D" RIDUCE IL LAVORO CARDIACO?
Robert K. Scragg e coll. dell'University of Auckland hanno esaminato i dati di oltre 27.000 adulti, che hanno preso parte al National Health and Nutrition Examination Surveys condotto tra il 1988 al 1994 e dal 2001 al 2006, per verificare se la vitamina "D" può proteggere contro le malattie cardiovascolari (Am J Cardiol 2010). I partecipanti con 25 (OH) D, di 10 ng/ml o meno nel siero, hanno dimostrato una frequenza cardiaca significativamente più rapida di 2,1 battiti al minuto con pressione arteriosa sistolica più alta di 1,9 mmHg, rispetto ai controlli con vitamina "D" di riferimento (almeno 35 ng/mL).
Per i soggetti con 25 (OH) D di 10-14,9 ng/ml, il corrispondente aumento della pressione sistolica era di 1,7 mm Hg. Nei soggetti con livelli di 10 ng/ml o meno il RPP (rate pressure product) aggiustato era più alto di 408, rispetto al gruppo di riferimento. Per quelli con livelli di 10-14,9 ng/mL, lo RPP era, invece, superiore del 245. Si dedurrebbe, quindi, che il cuore, nel caso di alti livelli di vitamina "D", si usura meno precocemente, lavorando in modo più efficiente a frequenza molto più bassa e risparmiandosi, pertanto, di spingere il sangue contro l'alta pressione aortica, rispetto al caso dei bassi livelli di vitamina.
SUPPLEMENTAZIONE DI CALCIO/VITAMINA "D" ED EVENTI CARDIOVASCOLARI
Judith Hsia e coll. del Department of Medicine, George Washington University, sulle premesse che la calcificazione vascolare o valvolare corrisponde ad aumentato rischio di eventi coronarici senza certezza della loro relazione con il consumo di calcio, hanno voluto valutare tale condizione nel Women's Health Initiative randomized trial (Circulation. 2007;115:846-854.). Hanno, così, randomizzato 36.282 donne in postmenopausa dai 50 ai 79 anni, trattate con carbonato di calcio 500 mg e vitamina D 200 UI due volte il giorno oppure con placebo. Durante i 7 anni di follow-up, l'infarto miocardico o la morte coronarica sono stati confermati in 499 donne del gruppo del calcio/vitamina "D" e in 475 assegnate al placebo (Hazard Ratio, 1.04; I.C. 95%= 0,92-1,18). L'ictus è stato confermato in 362 donne del gruppo calcio/vitamina "D" e in 377 assegnate al placebo (Hazard Ratio, 0.95; I.C. 95%, 0,82 a 1,10). Nelle analisi dei sottogruppi le donne con più elevata assunzione di calcio totale al basale (dieta più supplementi) non sono state a più alto rischio di eventi coronarici (P = 0.91 per interazione) o ictus (p = 0.14 per interazione), se assegnate al gruppo del calcio/vitamina D. In conclusione, la somministrazione di calcio/vitamina D non ha aumentato né diminuito il rischio coronarico o cerebrovascolare in donne sane in postmenopausa per un uso di 7 anni. Possibili spiegazioni potrebbero consistere in: (1) il background del calcio ha ridotto la capacità d'identificare l'effetto del trattamento; (2) la dose di vitamina è stata insufficiente; (3) la scarsa aderenza ai farmaci in studio ha attenuato qualsiasi effetto del trattamento; (4) la concomitante terapia ormonale in post-menopausa ha interferito con gli effetti del trattamento; (5) il progetto originale aveva la finalità di valutare gli effetti del calcio/vitamina per le fratture ma non per le malattie cardiovascolari; (6) il calcio e la vitamina non influiscono, di fatto, sul rischio cardiovascolare.
Una limitazione dello studio è stata, di fatto, che le donne sono state autorizzate a continuare la loro supplementazione di calcio, proprio perché sarebbe stato non etico vietare l'uso concomitante del calcio per il lungo periodo del trial. Il consumo di calcio di base (dieta più integratori) è stato equilibrato tra i gruppi di trattamento e nessuna interazione significativa è stata osservata tra il consumo di calcio e la malattia coronarica e l'ictus.
È, DUNQUE, CERTO IL LEGAME DELLA VITAMINA "D" CON LE MALATTIE CARDIOVASCOLARI?
L'entusiasmo, derivato dall'ipotesi che la carenza di vitamina "D" potrebbe svolgere un ruolo nello sviluppo delle malattie cardiovascolari, ha stimolato, come descritto, un sempre crescente numero di ricercatori a raccomandare il largo uso della sua supplementazione nella popolazione generale, spesso a dosaggi superiori, rispetto a quelle storicamente raccomandate da parte delle autorità sanitarie.
In un primo documento Lu Wang e coll. del Brigham and Women's Hospital, Boston, hanno esaminato la letteratura scientifica alla ricerca specifica di documentazione relativa alla problematica, identificando sei studi prospettici che dimostrano le riduzioni di successivi eventi cardiovascolari tra gli adulti, tenendo la vitamina "D" al basale e altri quattro studi clinici controllati randomizzati con la vitamina "D" vs placebo (Ann Intern Med 2010; 152:315-323). Combinando insieme tutti i dati degli studi, è emerso che la supplementazione di vitamina "D" si è associata a una lieve riduzione, statisticamente non significativa, di eventi cardiovascolari (Rischio Relativo 0,90, IC 95% 0,77-1,05).
In un secondo documento Anastassios G Pittas e colleghi del Tufts Medical Center, Boston, hanno esaminato gli studi anglosassoni relativi ai livelli serici di 25 [OH] D e gli esiti cardiometabolici (Ann Intern Med 2010; 152:307-314.). In 10 studi la supplementazione di vitamina "D" è stata associata a una riduzione non significativa della pressione arteriosa sistolica, ma non ha avuto effetti evidenti sulla pressione arteriosa diastolica. L'incidente di malattia cardiovascolare si è correlato con la concentrazione di vitamina in cinque su sette analisi, ma non è stato riscontrato in quattro prove supplementari. Tre dei sei studi hanno riportato una maggiore incidenza di diabete nei gruppi con basso stato di vitamina "D" vs l'alto, ma otto non hanno trovato alcun collegamento tra la vitamina e la glicemia o l'incidente di diabete. Nel complesso, gli AA. concludono che l'associazione tra stato della vitamina "D" e gli esiti cardiometabolici è un dato ancora incerto.
In effetti, sono disponibili ancora pochi studi e, peraltro, con una notevole eterogeneità impedendo, per ora, conclusioni definitive.
Eliseo Guallar e Edgar R Miller della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, Baltimore in un editoriale concordano sul fatto che le prove a sostegno della supplementazione di vitamina "D", per migliorare la salute cardiovascolare, rimangono incerte, ma sostengono, anche; che le prove a favore sono di gran lunga più promettenti rispetto ad altre vitamine o integratori minerali (Ann Intern Med 2010; 152:327-329).
LO STUDIO VITAL
IL National Institutes of Health ha sponsorizzato lo studio VITAL (the VITamin D and OmegA-3 TriaL) in cui verranno studiati per cinque anni 20.000, tra donne di età dai 65 anni e oltre e uomini dai 60 e oltre, senza storia di cancro, malattie di cuore o ictus, per verificare se 2000 UI di vitamina D e/o 1 g di olio di pesce (grassi omega-3) possano ridurre il rischio di sviluppare queste malattie.