Valutazione della percezione del rischio di tromboembolismo venoso (TEV) nei Reparti di Medicina Interna e d’Urgenza della Regione Lazio
Introduzione
La trombosi venosa profonda (TVP) e/o l’embolia polmonare (EP), cumulativamente indicate con il termine di tromboembolismo venoso (TEV), rappresentano la prima causa di morbosità e mortalità prevenibile tra i pazienti ospedalizzati e un problema rilevante dopo la dimissione ospedaliera.
La trombosi venosa profonda degli arti inferiori e l’embolia polmonare, per la loro frequenza e per il possibile esito infausto, sono condizioni che coinvolgono costantemente i Dipartimenti di Medicina ma spesso non sono tempestivamente sospettate e ciò determina la sottostima della loro reale incidenza, la diagnosi tardiva e conseguenze negative sulla morbilità e sulla mortalità (1).
Il TEV costituisce la terza causa di morte cardiovascolare dopo l’infarto e l’ictus; ogni anno in USA si verificano 60.000-200.000 decessi a seguito di embolia polmonare (2).
In Italia la stima è di 100 nuovi casi per anno/100.000 (3).
E’ caratteristica del TEV la mancanza di segni premonitori, fino all’80% delle EP decorre senza segni di esordio. Da qui nella maggior parte dei casi il sospetto clinico non viene posto a fronte di una elevata mortalità: il 10% dei pazienti muore nella prima ora dall’inizio dei sintomi.
I rilievi autoptici dimostrano l’alta prevalenza di TVP: 1 paziente su 100 ospedalizzati muore di EP (4, 5).
In considerazione di quanto sopra, emerge l’opportunità che ogni ospedale si doti di protocolli di profilassi; anche le ultime raccomandazioni dell’ACCP 2008 sollecitano la necessità di specifiche linee guida di profilassi e di strumenti che ne facilitino e verifichino la costante applicazione.
La patogenesi del TEV coinvolge la triade : stasi venosa, vasodilatazione degli arti inferiori e alterazioni della coagulazione. Alla patogenesi concorrono fattori genetici e fattori acquisiti.
La trombofilia ereditaria dovrebbe esser sospettata in pazienti con episodi ricorrenti di TVP, storia familiare, età inferiore ai 45 anni e comunque in assenza di apparenti fattori di rischio acquisiti. Le cause genetiche e acquisite spesso interagiscono e questo rende difficile decidere quali pazienti studiare per la trombofilia ereditaria.Tra i fattori genetici possiamo distinguere delle mutazioni più comuni quali quella del fattore V di Leiden , della protrombina o la mutazione in omozigosi del gene della reduttasi del metilentetraidrofolato; forme rare sono la carenza di antitrombina o di Proteina C o di Proteina S. Forme molto rare la disfibrinogenemia, omocistinuria (Homozygous homocystinuria). Esistono poi delle forme di probabile natura genetica: elevati livelli di fattore VIII, fattore IX, fattore XI o fibrinogeno. Va ricordato che soltanto una minoranza di pazienti affetti da tromboembolia venosa mostra predisposizione genetica e che alcuni di questi pazienti non svilupperanno mai una alterazione della coagulabilità del sangue clinicamente evidente.
I fattori di rischio acquisiti sono rappresentati da interventi chirurgici, traumi, immobilizzazione protratta, lunghi viaggi, età avanzata, obesità, fumo di sigaretta , neoplasie, pregresso TEV, gravidanza e puerperio, contraccettivi orali o terapia di sostituzione ormonale nel periodo post- menopausale, resistenza alla proteina C attivata non legata ad alterazioni del gene del fattore V, positività per anticorpi antifosfolipidi, forme lievi-moderate di iperomocisteinemia (6).
Complessivamente i difetti di inibitori naturali della coagulazione (AT III, pC, pS) sono presenti in meno dell’1% della popolazione generale e in meno del 10% di pazienti non selezionati con TEV. In un terzo dei pazienti con TEV è diagnosticabile un difetto trombofilico; la determinazione dell’omocisteinrmia basale può permettere l’identificazione di una ulteriore quota di pazienti pari ad almeno il 10%, ottenendo una resa diagnostica globale superiore al 40% dei casi (7).
Se è sempre valida la distinzione tra cause genetiche e cause acquisite di trombofilia è però da sottolineare come le nuove acquisizioni sui polimorfismi genetici (fattore V Leiden, protrombina G20210A) abbiano portato ad una ridefinizione della malattia tromboembolica venosa da modello unicausale (evento legato alla presenza di un unico fattore di rischio genetico) a modello multicausale (evento trombotico legato all’interazione tra difetti multigenici e situazioni a rischio).
Tale modello di interazione gene-gene e gene-ambiente è inoltre esemplificato dal rischio trombotico associato ad aumentati livelli di omocisteinemia, che a loro volta possono derivare dalla presenza di sistemi enzimatici difettivi per polimorfismi genetici soprattutto in particolari situazioni acquisite quali carenze vitaminiche (8, 9, 10).
TEV e MALATTIE MEDICHE
Negli ultimi anni accanto ai classici fattori di rischio legati agli interventi chirurgici, specie ortopedici, stanno assumendo un ruolo sempre maggiore le malattie internistiche, verosimilmente a ragione della elevata incidenza di comorbilità. Il rischio di TEV nel paziente medico è pari a quello chirurgico, ma la profilassi è largamente insufficiente.
Condizioni mediche riconosciute a rischio di TEV sono: scompenso cardiaco, affezioni respiratorie acute, immobilizzazione, malattia infiammatoria intestinale, sepsi, neuropatie acute (5). Deve inoltre essere sempre considerata la presenza di fattori di rischio predefiniti come età, neoplasia, obesità, pregresso TEV, terapia estro-progestinica, insufficienza venosa cronica, insufficienza respiratoria cronica.
Da qui emerge come il paziente internistico, spesso già di per sé a rischio di TEV per la condizione che ha determinato il ricovero, abbia un rischio cumulativo incrementato dalla concomitante presenza di fattori di rischio associati. Studi clinici su casistiche ampie come MEDENOX, ARTEMIS e PREVENT hanno dimostrato che questa categoria di pazienti presentano spesso una associazione di fattori di rischio e che la profilassi adeguata comporta una drastica riduzione degli eventi di TEV (11).
Alcuni dati che riportiamo di seguito aiutano a comprendere la dimensione del problema. Tra pazienti con esordio non ospedaliero di TEV, il 36,8 % era stato ospedalizzato nei tre mesi precedenti, la metà era stata ospedalizzata per ragioni mediche e solo la metà era stata sottoposta a chirurgia. La profilassi del TEV è stata largamente insufficiente: oltre il 40% dei pazienti non aveva ricevuto alcuna profilassi durante l’ospedalizzazione (profilassi 59,7%; 42,8% profilassi farmacologica, 16,9% solo meccanica). La breve durata dell’ospedalizzazione (4 giorni pazienti internistici,7,4 giorni pazienti chirurgici) non giustificava l’omissione della profilassi. Non è irragionevole supporre che una migliore profilassi ospedaliera sarebbe stata utile poiché i 2/3 dei casi di TEV si sono verificati nel primo mese, e il 41% nelle prime due settimane (12).
Possiamo concludere che tutti i pazienti ricoverati per una patologia medica acuta dovrebbero essere valutati per la profilassi antitrombotica.
RAZIONALE
La prevenzione del rischio tromboembolico va sempre ricercata nel paziente medico. Da qui il nostro studio rivolto a valutare nei pazienti ricoverati in Reparti di Medicina Interna e di Urgenza la reale percezione del rischio di tromboembolismo venoso.
Esistono numerose scale di valutazione validate per il riconoscimento dei fattori di rischio di TEV che sono però caratterizzate da rilevanti differenze in particolare alcune scale considerano fattori di rischio che non vengono presi in esame da altre, ponendo di fatto il medico internista, anche se attento al problema TEV, davanti a una scelta talvolta complessa .
Sul NEJM del 2005 Kucher e e colleghi (13) propongono una scala in cui ciascun fattore di rischio viene pesato su una scala di punteggio numerico. Fattori di rischio maggiori sono cancro, pregresso TEV e ipercoagulabilità con un punteggio pari a 3. Fattore di rischio intermedio è la chirurgia maggiore cui è assegnato un punteggio pari a 2. Ai fattori di rischio minori (età’ avanzata, obesità, riposo a letto, terapia estroprogestinica in atto) viene assegnato un punteggio di 1. Si definisce a rischio tromboembolico il paziente con un punteggio complessivo uguale o maggiore a 4; cosi chi ha un fattore di rischio maggiore e almeno uno intermedio o minore rientra nella categoria di rischio .In assenza di fattori maggiori sono pazienti a rischio anche quelli che hanno almeno un fattore di rischio intermedio e due fattori di rischio minori . Per ipercoagulabilità si intende la positività di test di laboratorio inclusa la presenza di fattore V di Leiden, lupus anticoagulant e anticorpi anticardiolipina. Per chirurgia maggiore si intende un intervento chirurgico di durata uguale o superiore ai 60 minuti . Immobilizzazione a letto è inteso quella di tutti i casi non legati a patologia chirurgica . Età avanzata uguale o superiore ai 70 anni . Obesità si intende indice di massa corporea maggiore di 29 . Nella tabella n.1 sono riportati i criteri di rischio secondo Kucher e coll.
Esistono numerose altre scale di punteggio per la valutazione del rischio tromboembolico.
Tra le più più note e citate quella di Caprini (14) e quella di a Chopard (15) che rielabora scale già precedentemente pubblicate (16) e segue le raccomandazioni di ACCP del 2004. La scala di Chopard è rivolta esclusivamente ai pazienti con patologia medica acuta (tabella 2). Il cut off per l’indicazione ad effettuare tromboprofilassi è stato individuato nel punteggio pari a 3.
TAB. 1
CRITERI DI DEFINIZIONE DEL PAZIENTE A RISCHIO: SCORE > 4 FATTORE DI RISCHIO MAGGIORE: 3 PUNTI
FATTORE DI RISCHIO INTERMEDIO 2 PUNTI
FATTORE DI RISCHIO MINORE 1 PUNTO
Kucher N, Koo S et al. N Engl J Med 2005;352:969-977 |
TAB. 2 Chopard P et al. J Thromb Haemost 2006;4:915-916
Item | Punteggio | Item | Punteggio | |
Insufficienza cardiaca | 2 | Immobilizzazione (<30 min di camminata al giorno) per 3 giorni o più |
1 | |
Insufficienza respiratoria | 2 | Viaggio recente (>6 ore) | 1 | |
Ictus recente | 2 | Età >60 anni | 1 | |
Infarto miocardico recente | 2 | Obesità (BMI >30 kg/m2) | 1 | |
Malattia infettiva acuta (inclusa sepsi) |
2 | Insufficienza venosa cronica | 1 | |
Malattia reumatica acuta | 2 | Gravidanza | 1 | |
Neoplasia | 2 | Terapia ormonale (contraccettiva o sostitutiva) |
1 | |
Sindrome mieloproliferativa | 2 | Disidratazione | 1 | |
Sindrome nefrotica | 2 | |||
Storia di TEV | 2 | |||
Stato di ipercoagulabilità | 2 |
Attuale riferimento in ambito di prevenzione del TEV sono le Linee Guida ACCP 2008 (1) che pur fornendo circostanziate raccomandazioni cliniche basate sull’evidenza nello stesso tempo sottolineano la criticità nella scelta di metodi di valutazione del rischio tromboembolico e quindi di indicazione alla profilassi.
Nella edizione del 2008 vengono confermati i fattori di rischio già riconosciuti nella precedente edizione del 2004 (Tabella 3).
TAB. 3
FATTORI DI RISCHIO PER TEV
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Questa rapida rassegna di sistemi di valutazione del rischio di TEV nel paziente medico mette soprattutto in luce alcune criticità evidenziate dalle stesse ACCP 2008. Sebbene numerosi e riconosciuti siano i fattori di rischio individuali l’ ACCP sottolinea come i diversi score esistenti non siano del tutto sovrapponibili e inoltre come sia difficilmente valutabile il peso da attribuire alla associazione di più fattori di rischio nello stesso paziente .
Così le Linee Guida suggeriscono anziché l’approccio individualizzato che talvolta può scoraggiare il clinico, un sistema più maneggevole che preveda la suddivisione dei pazienti in categorie di rischio per TVP. I pazienti medici sono stati così raggruppati dall’ACCP in due categorie di rischio: basso o moderato in base al grado di mobilizzazione del paziente (Tabella 4).
BASSO RISCHIO Pazienti medici mobilizzati |
TVP <10 |
EP SINTOMATICA < 1 |
STRATEGIE PREVENTIVE Nessuna misura specifica, mobilizzazione precoce |
RISCHIO MODERATO Pazienti medici allettati |
10-40% |
1-4 |
EBPM, ENF ogni 8 ore, fondaparinux |
TAB. 4: tabella adattata per pazienti medici in assenza di profilassi e strategie suggerite.
Per quanto riguarda la realtà italiana la SISET , Società Italiana per lo Studio dell’Emostasi e della Trombosi ha pubblicato nel 2004 le linee guida sulla profilassi del TEV in Medicina Interna. La raccomandazione è quella di effettuare trombo profilassi in pazienti di età > 60 anni allettati per patologia medica acuta (soprattutto per insufficienza respiratoria,infezioni e scompenso cardiaco) (17).
Per quanto riguarda la realtà regionale, nel 2007 Laziosanità e ASP hanno prodotto una linea guida regionale sulla Profilassi del Tromboembolismo Venoso post chirurgico. Nel documento rivolto alla profilassi nel paziente chirurgico trova spazio anche la patologia medica acuta come fattore di rischio e viene raccomandato che tutti i pazienti ricoverati per Acuzie siano valutati individualmente per rischio di TEV, secondo le linee guida SIGN. Queste ultime Linee Guida individuano come categoria a rischio tutti i pazienti ricoverati per una patologia medica acuta che richieda più di tre giorni di allettamento. In questi pazienti andrebbe ricercata la concomitante presenza di fattori di rischio individuali, questi ultimi sovrapponibili a quelli evidenziati da ACCP (età, pregresso TEV,..), per meglio definire la categoria di rischio (18).
Nella nostra regione emerge la necessità di sviluppare linee guida per la profilassi del TEV di esclusiva pertinenza dell’area medica attraverso strategie aziendali per la stratificazione del rischio. Le linee guida SISET del 2004 già rimarcavano questo aspetto evidenziando come nei pazienti di tipo medico il rischio di TEV sia meno ben definito che in quelli chirurgici anche in considerazione dell’estrema eterogeneità dei pazienti studiati. (SISET 2004)
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La molteplicità di scale di rischio esistenti fa comprendere come nella pratica clinica corrente la decisione di effettuare la tromboprofilassi sia per lo più fondata sull’esclusivo giudizio del medico e vi sia quindi la necessità di sviluppare e implementare criteri basati sull’evidenza e di standardizzare le indicazioni per la prevenzione del tromboembolismo venoso (19).
In relazione alle differenze esistenti fra le varie scale abbiamo ritenuto necessario effettuare una revisione di tutti i fattori di rischio considerati nelle varie linee guida al fine di proporre uno strumento utile a stimare in modo più attendibile il rischio di TEV.
A tal fine abbiamo redatto una scheda che, pur di facile compilazione, contiene tutti i principali fattori di rischio messi in evidenza nelle principali linee guida destinate a calcolare il rischio di TEV.
Lo scopo è quello di verificare, in base alla nostra casistica, la possibilità di divergenze nella valutazione del rischio a seconda della scala utilizzata e conseguentemente delle indicazioni alla profilassi.
Dalla nostra ricerca si potrebbero anche ottenere delle indicazioni sul valore delle diverse scale in rapporto alla realtà clinica nella nostra regione.
METODOLOGIA
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Progetto dello studio
- Studio osservazionale, trasversale, no profit, volto a verificare la percezione del rischio di tromboembolismo venoso nei Reparti di Medicina Interna e d’Urgenza del Lazio.
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Obiettivo primario
- Valutare nei Reparti di Medicina Interna e d’Urgenza della nostra regione la percezione del rischio di TEV calcolata in base alla percentuale di impiego della terapia anticoagulante.
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Obiettivi secondari
- Confrontare il rischio di TEV in relazione all’impiego dei principali score a nostra disposizione (NEJM, Chopard, ACCP08) e la loro correlata prescrizione terapeutica.
- Formulare un protocollo per la stima del rischio di TEV, condivisibile dagli operatori dei centri partecipanti allo studio.
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Raccolta dei dati
- Verrà effettuata una giornata di reclutamento per ogni ospedale, nei due reparti, ipotizzando 30 ospedali coinvolti nella Regione Lazio, e 25/30 posti letto per ospedale, ci aspettiamo di analizzare i dati per un totale di 800 pazienti circa.
Criteri di inclusione:
- Tutti pazienti ricoverati in Unità di Medicina Interna e d’Urgenza della Regione Lazio. Saranno arruolati i pazienti ricoverati da almeno 36 ore.
Criteri di esclusione:
- Ricovero iniziato da meno 36 ore
- Età < 18 anni
- Cartella clinica non sufficiente per l’adeguato inserimento dei dati
- Pazienti con TEV in atto
- Pazienti con mezzi meccanici di profilassi antitrombotica
- Pazienti con recente chirurgia maggiore (≤ 60gg)
- Pazienti ricoverati per trauma maggiore
- Pazienti con controindicazione alla trombo profilassi
- La prima fase che prevede la raccolta dei dati in un’unica giornata stabilita dai ricercatori delle singole Unità Operative, in accordo con il Centro coordinatore.
- La seconda fase, di 4 settimane, prevede l’invio via mail /fax o posta della scheda raccolta dati e la verifica della compilazione dei dati.
- La terza fase, di 8 settimane, è volta alla analisi, alla elaborazione dei dati ed alle considerazioni conclusive.
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Metodi:
Compilazione, da parte dei medici ricercatori delle Unità Operative partecipanti allo studio, della scheda raccolta dati.
Elaborazione statistica:
A seguito della codifica dei dati e del loro inserimento su supporto elettronico, saranno calcolate le statistiche di base (medie e frequenze) per la descrizione del campione osservato.
La percezione del rischio sarà calcolata in base alla frequenza di prescrizione di terapia anticoagulante.
Durata complessiva dello studio: 12 settimane
Lo studio sarà suddiviso in 3 fasi per una durata temporale complessiva di 8 settimane:
Organizzazione dello studio
Lo studio, proposto dall’AMEC Lazio, prevede un Comitato Tecnico Scientifico a cui è affidata la fase di organizzazione e il corretto svolgimento dello studio stesso sino alla elaborazione dei dati ed alla stesura delle considerazioni conclusive.
Responsabile dello studio: dott. Giovanni Maria Vincentelli, Coordinatore AMEC Lazio
I componenti del Comitato Tecnico Scientifico sono:
Prof. Enrico Bologna, Prof. Claudio Di Veroli, Dr. Maria Rosaria Pirro, Dr. Giovanni Maria Vincentelli, referenti AMEC
Prof. Filippo Alegiani, referente per i Reparti di Medicina Interna
Prof. Massimo De Simone, referente per i Reparti di Medicina di Urgenza
Il ruolo di Centro Coordinatore viene affidato al Dipartimento delle Discipline Mediche dell’Isola Tiberina Roma.
Centri partecipanti: Reparti di Medicina Interna e d’Urgenza della Regione Lazio
Prima dell’inizio dello studio sarà organizzato un incontro tra i Centri partecipanti durante il quale il coordinatore del progetto illustrerà il protocollo, la metodologia e le modalità di compilazione della scheda raccolta dati.
Bibliografia:
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- Tapson , Current Therapy 2005
- Giuntini C et al. Pulmonary Embolism: Epidemiology, Pathophysiology, Diagnosis, and Management. Chest 1995;107:3S-9S
- Gossage, Current Therapy 2003
- Geerts WH, Pineo GF, Heit JA, et al. Prevention of venous thromboembolism: the Seventh ACCP Conference on Antithrombotic and Thrombolytic Therapy. Chest 2004; 126: 338S –400S.
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- Giornale Italiano di Nefrologia / Anno 26 S-46, 2009 / pp. S14-S19 Le trombofilie congenite. De Stefano Istituto di Ematologia, Università Cattolica, Roma
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