LA VALUTAZIONE CLINICA ED ECOCARDIOGRAFICA DELLA CARDIOPATIA IPERTENSIVA
Giancarlo Gambelli (a), Michele Paradiso (b), Elisabetta Amici (c), Antonio Terranova (d), Paolo G. Pino (d)
a) Cardiologo, Roma
b) UOS Diagnostica-Terapeutica del Sistema Neurovegetativo, Ospedale San Giovanni Battista, ACISMOM, Roma
c) UOC Cardiologia Riabilitativa, Policlinico Luigi Di Liegro, Roma
d) Cardiodiagnostica Non Invasiva, UOC Cardiologia I, Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini, Roma
Riassunto
La cardiopatia ipertensiva si manifesta con adattamenti strutturali e funzionali del miocardio che conducono, specie nelle donne di eta` >65 anni, verso l’insufficienza cardiaca prevalentemente di tipo diastolico. La frazione di eiezione ventricolare sinistra (FE), considerata lo specchio effettivo della funzione sistolica, rappresenta invece un indicatore meno strettamente correlato a tale complesso rimodellamento, responsabile della molteplicita` degli aspetti clinici. Soprattutto, non appare corretto affidare al solo valore del 50% di FE il significato discriminante tra funzione conservata e non conservata. Considerazioni critiche di tipo anatomico e funzionale sulla struttura dei ventricoli, sul loro modo di contrarsi e rilasciarsi, supportano la necessita` di riconsiderare l’eccessiva valorizzazione di tale parametro.
La moderna ecocardiografia, con il Doppler tessutale e con lo speckle tracking, puo` fornire i mezzi per oggettivare e quantificare questa revisione.
Abstract
Hypertensive heart disease and heart failure with normal left ventricular ejection fraction. Role of conventional and advanced echocardiography in the assessment of left ventricular dysfunction
Introduction: Hypertensive heart disease is manifested by structural and functional adaptations of the myocardium that lead to heart failure, mainly diastolic, especially in women older than 65 years.
The ejection fraction of the left ventricle, which is considered an image of systolic function, represents instead an indicator less closely related to the complex ventricular remodeling, responsible for the variety of clinical aspects of hypertensive heart disease. Above all, it seems to be incorrect that the boundary between function ‘‘preserved’’ or ‘‘not preserved’’ is reflected only in the value of the ejection fraction of 50%. Anatomical and functional considerations of the structure of the ventricles and of the way in which they contract and release, suggest a need to reconsider the excessive value that is currently ascribed to this parameter.
Modern echocardiography with tissue Doppler and speckle tracking, may provide the means to objectively evaluate and quantify this new point of view.
L’abbinamento ipertensione arteriosa sistemica ed ipertrofia miocardica caratterizza il danno d’organo cardiaco che viene classificato come cardiopatia ipertensiva, anche se evidenze cliniche morfologiche e strumentali oggi dimostrino una realtà molto più complessa e variegata.
Da molti studi epidemiologici sulla cardiopatia ipertensiva e dalla evoluzione tecnologica delle metodiche ultrasonografiche sono emersi, negli ultimi anni, dati particolarmente interessanti in vari settori, fra cui in particolare la medicina di genere, la clinica, la valutazione strumentale con ultrasuoni.
MEDICINA DI GENERE
Da quando, nelle casistiche per studi epidemiologici, sono contemplate uguali proporzioni di uomini e donne, sempre più frequentemente viene rilevata una notevole diversità clinica fra i due sessi; diversità clinica che si radica nel differente patrimonio ormonale sessuale.
Il sovraccarico di pressione genera un incremento dello stress parietale ventricolare sinistro sistolico e questo rappresenta lo stimolo adeguato per una replicazione in parallelo dei sarcomeri nei miociti. Ma fra organismi maschili e femminili esistono diversità di risposta biologica, tutte tendenti a mantenere una funzione cardiaca più efficiente nel sesso femminile.
Intanto, è già interessante il modo diverso di invecchiare del cuore dell’uomo e di quello della donna, in assenza di una effettiva disfunzione cardiaca (1). E’ stato calcolato che il cuore dell’uomo perde un grammo di peso per ogni anno di età, cui corrisponde la perdita di 64 milioni di miociti all’anno; in compenso il volume dei miociti ventricolari aumenta di 158 μm³/anno nel cuore sinistro e di 167 μm³/anno nel cuore destro. Nessun cambiamento nel tempo invece si verifica nel cuore femminile. La finalità ipotizzata delle modificazioni morfologiche del cuore umano maschile sarebbe quella di un adattamento reattivo dei miociti stessi alla loro apoptosi.
Nelle condizioni di sovraccarico di pressione, a parità di sovraccarico, le donne sviluppano un maggior grado di ipertrofia (massa miocardica) e di adattamenti geometrici (spessori parietali, volumi) favorevoli del ventricolo sinistro, rispetto agli uomini (2-5). Analoghe differenze di rimodellamento ventricolare sinistro si osservano in laboratorio, producendo diversi modelli sperimentali di sovraccarico di pressione (6) o studiando nel tempo popolazioni di ratti spontaneamente ipertesi (7). Inoltre, le femmine, rispetto ai maschi, mantengono più a lungo una buona riserva contrattile, grazie alla minore componente di catene di miosina pesante nei miociti ipertrofici ed una più alta espressione di ATP nel reticolo sarcoplasmatico (7).
Nelle condizioni di sovraccarico di volume, il cuore della donna si rimodella su volumi inferiori e maggiore massa ventricolare, rispetto agli uomini, per analoghi livelli di impegno cardiaco; in sostanza nei cuori femminili l’adattamento al sovraccarico di volume si verifica essenzialmente con un minor grado di dilatazione ventricolare e quindi con il mantenimento di condizioni più favorevoli ad una buona funzione ventricolare (8,9)
CLINICA
Come tutte le forme di cardiopatia organica, anche la cardiopatia ipertensiva, se non è interrotta da un evento aritmico grave, evolve progressivamente verso l’insufficienza cardiaca (HF). Malgrado i meccanismi di rimodellamento ventricolare, istochimico dei miociti e geometrico delle pareti ventricolari, si sviluppa progressivamente un quadro di insufficienza cardiaca, che abitualmente è stato attribuito a dilatazione ventricolare e riduzione della frazione di eiezione ventricolare sinistra (FEVS).
Negli ultimi 20 anni però, le ricerche epidemiologiche in campo di insufficienza cardiaca hanno dimostrato che, almeno nel 50% dei casi, si tratta di quadri di insufficienza cardiaca caratterizzati dal rilievo strumentale di una FEVS ³ 50%, valore considerato arbitrariamente (ma universalmente riconosciuto) come discriminante fra patologia e normalità (10-12). Pertanto, a differenza della condizione di insufficienza cardiaca con ridotta frazione di eiezione (HFREF, da Heart Failure Reduced Ejection Fraction in cui la FEVS è < 50%), si parla di insufficienza cardiaca con normale frazione di eiezione (HFNEF, da Heart Failure Normal Ejection Fraction in cui la FEVS è ³ 50%) e la stragrande maggioranza dei pazienti che ne soffrono hanno una cardiopatia ipertensiva, molto spesso inserita in un contesto di sindrome metabolica. Ma il dato più sorprendente, che poi ha motivato il grande interesse internazionale per la HFNEF, deriva dal fatto che, seguendo tutti i pazienti con HF di qualunque tipo per oltre tre lustri (10) trattati con i criteri aggiornati di terapia farmacologica, si è trovato una progressiva e significativa riduzione della mortalità cardiaca nei malati con HFREF, mentre in quelli con HFNEF la mortalità cardiaca è rimasta assolutamente invariata.
Questi rilievi hanno di conseguenza spinto ulteriormente a ricercare una giustificazione a tali differenze di risultati.
Il riconoscimento della HFNEF sul piano clinico non è difficile, per la associazione di segni e sintomi di HF in presenza di una FE³50%, di un’ombra cardiaca radiologica non ingrandita e di eventuali segni strumentali di disfunzione ventricolare sinistra diastolica. (13). In questi malati i miociti sono più voluminosi e contengono maggiori quantità di filamenti di actina e miosina; la miosina è rappresentata quasi tutta dalla isoforma V3, che fornisce contrazioni più potenti ma più lente delle isoforme V1 e V2, con rallentato rilasciamento; la titina (14), terzo filamento del citoscheletro miocitario, è presente nella sua forma più rigida, a differenza di quanto avviene nella HFREF in cui prevale la forma più elastica. Infine l’attività delle metalloproteinasi (MMPs) sul connettivo interstiziale sembra efficacemente contrastata dai rispettivi inibitori tessutali (TIMPs), cosicché viene favorita la crescita di robuste travate connettivali nel contesto delle pareti miocardiche, che diventano più spesse e più rigide (15).
Da questo insieme di rilievi essenzialmente morfologici si delinea, nei malati con HFNEF, una funzione ventricolare sinistra caratterizzata da una buona contrazione miocardica, ma con seri problemi nella fase di rilasciamento diastolico, che, comunque, appare ben più complessa della semplice disfunzione diastolica del miocardio ipertrofico. Del resto la maggiore complessità traspare indirettamente anche dal fatto che la ricerca farmacologica sta mettendo a punto schemi terapeutici ben diversi da quelli che si usano solitamente per correggere la disfunzione diastolica del miocardio ipertrofico. Stanno emergendo infatti gli inibitori della 5-fosfo-diesterasi (16,17) per ridurre l’ipertrofia miocardica e l’ipossia subendocardica di natura microvascolare, l’alagebrium (ALT-711) per combattere la deposizione miocardica e perivascolare degli AGE (Advanced Glication Endproducts) che aumentano la rigidità miocardica e vasale, il pioglitazone per migliorare il rapporto fosfocreatina/ATP intracellulare. Studi tutti che ancora necessitano di ulteriori conferme per un uso estensivo, ma che si spera possano rispondere positivamente all’interrogativo posto dalla ricerca epidemiologica.
VALUTAZIONE STRUMENTALE CON ULTRASUONI
L’ecocardiografia ha contribuito in prima fila alla migliore conoscenza della fisiopatologia miocardica in generale, nell’ambito della cardiopatia ipertensiva in particolare. Troppo lungo sarebbe ricordare quante promesse abbia mantenuto, dalla stima della massa ventricolare sinistra, alle valutazioni delle pressioni di riempimento del ventricolo sinistro nelle varie condizioni patologiche, alla misura incruenta dei gradienti transvalvolari. Una cosa, però, non può fare, perché esula dalle sue caratteristiche tecniche incruente: la misura della contrattilità miocardica. D’altra parte, questo parametro dipende strettamente dall’interazione di tre fattori variabili nel tempo ed in ogni singolo cuore: precarico, postcarico e capacità contrattrattile dei miociti, e nessuno dei tre fattori è misurabile direttamente con gli ultrasuoni. Si è data grande fiducia alla frazione di eiezione, ipotizzando che il dato complessivo riflettesse l’azione combinata dei tre fattori, ma se questi restano ignoti, il derivato complessivo non è confrontabile nemmeno nel breve tempo e neppure nello stesso paziente. E’ stato comunque stabilito nei laboratori di tutto il mondo che una frazione di eiezione ³50% del ventricolo sinistro rappresentasse una garanzia accettabile di funzione cardiaca sistolica “normale” e, come tale, applicabile per distinguere in una popolazione chi avesse una funzione sistolica efficiente o meno. Su questa approssimazione si basa tutto il castello della suddivisione dei pazienti con segni e sintomi di HF nei due gruppi: con funzione sistolica normale o ridotta.
La continua evoluzione tecnologica però, oggi mette a disposizione dei cardiologi nuove metodiche di indagine con ultrasuoni sul muscolo cardiaco, consentendo l’analisi della deformazione miocardica (strain), durante il ciclo cardiaco e secondo i tre assi spaziali, e l’analisi della rotazione cardiaca lungo il suo asse longitudinale attraverso la visione del suo comportamento in tre piani di scansione ad esso perpendicolari (basale, medioventricolare, apicale) per valutare il fenomeno della torsione sistolica (twisting) (18).
Senza addentrarsi in dettagli tecnici specifici, in questa sede non pertinenti, basta sapere che è possibile seguire durante il ciclo cardiaco, fotogramma per fotogramma, gli spostamenti dei vari raggruppamenti di pixel o macchie (speckles) che compongono determinate e prescelte aree di interesse di un ecocardiogramma bidimensionale. In questo modo si possono ottenere fini informazioni sulle deformazioni spaziali dei miociti che nel loro complesso costituiscono le singole aree di interesse selezionate. Le deformazioni sono riconducibili all’allungamento e all’accorciamento delle strutture muscolari comprese nelle aree di interesse, ossia lo “strain”, segmentario o globale, lungo i tre assi spaziali: longitudinale, radiale, circonferenziale. Di tale deformazione si può conoscere anche la velocità con cui si verifica e se essa avviene in senso orario o antiorario lungo l’asse longitudinale del cuore.
Per comprendere il significato di queste informazioni in chiave funzionale miocardica, è necessario aggiornare i nostri ricordi anatomici di struttura del miocardio.
Tecniche molto sofisticate di dissezione del miocardio (19) hanno dimostrato che i ventricoli sono formati da un’unica larga banda muscolare formata da fasci disposti obliquamente. Banda che origina dall’anello valvolare dell’arteria polmonare per terminare attorno all’orifizio dell’aorta, dopo aver circondato gli orifici tricuspidale e mitralico con un movimento a spirale lungo l’asse longitudinale dei ventricoli. In tal modo i fasci obliqui che la compongono vengono a sovrapporsi in senso ortogonale nella formazione del ventricolo sinistro, allorché, dopo essere discesi dalla base alla punta (fasci superficiali) si riflettono su loro stessi per risalire e raggiungere l’ostio aortico (fasci profondi).
In definitiva, la parete miocardica del ventricolo sinistro è costituita da fasci di fibre muscolari sovrapposti con orientamento ad elica dal piano atrioventricolare alla punta: obliqui verso sinistra i fasci subepicardici, obliqui verso destra i subendocardici, orientamento circonferenziale per il fascio di fibre medioparietali. Quando una struttura siffatta si contrae (20) in sistole genera una torsione (twist) del ventricolo sul suo asse longitudinale, che, per effetto della maggior forza dei fasci obliqui esterni (hanno maggior raggio di curvatura), se vista dall’apice, avviene in senso antiorario nelle zone medioventricolari e puntali, in senso orario nelle zone basali. La cavità ventricolare sinistra dunque si riduce per un coordinato movimento di torsione bidirezionale orario/antiorario delle pareti, come torcendo uno straccio bagnato per liberarlo dall’acqua che lo impregna.
Il movimento sistolico coordinato di questi fasci muscolari rende ragione dello spostamento apparentemente concentrico dei segnali ecocardiografici che rispecchiano quello dell’endocardio ventricolare, a sua volta responsabile della riduzione sistolica del volume cavitario del ventricolo sinistro e quindi della sua frazione di eiezione. La complessità tridimensionale del movimento di spremitura ventricolare con la coordinata torsione in senso opposto delle porzioni basali e medio-apicali consente facilmente di mascherare durante la fase sistolica una disfunzione miocardica di entità moderata che non riduca la FEVS a meno del 50%. Al contrario, lo studio della deformazione parietale ventricolare, in queste condizioni cliniche, già dimostra la comparsa di riduzione funzionale soprattutto con la stima dello strain sistolico globale longitudinale, che misura più specificamente la funzione contrattile dei fasci subendocardici, i più precocemente esposti all’ipossia capillare in caso di ipertrofia ventricolare sinistra (21). Invece lo strain circonferenziale mostra una maggiore sensibilità diagnostica di insufficienza cardiaca iniziale utilizzando il minor coordinamento della fase diastolica (untwisting), grazie alle caratteristiche funzionali della già ricordata titina (14). Quando questa, in sistole, viene compressa a dimensioni inferiori a quelle sue proprie della condizione di riposo, essa perde la caratteristica capacità di ridistendersi di scatto all’inizio del rilasciamento miocardico per iniziare la distensione isovolumetrica. Viene così a mancare la fase della cd suzione ventricolare con rallentamento di tutta la fase diastolica successiva. In altre parole si avvia la disfunzione diastolica.
Valutazione della rotazione globale del ventricolo sinistro normale utilizzando la tecnica dello speckle tracking. Sezione trasversale dei ventricoli a livello papillare. Subito dopo il QRS dell’elettrocardiogramma di riferimento inizia la simultanea e coordinata rotazione antioraria dei vari segmenti.
Valutazione della rotazione globale del ventricolo sinistro utilizzando la tecnica dello speckle tracking in soggetto con cardiopatia ipertensiva e ipertrofia miocardica. Sezione trasversale dei ventricoli a livello papillare. In blu e` la curva dei volumi. L’inizio della rotazione dei vari segmenti appare scoordinato e sensibilmente ritardato dopo il QRS dell’elettrocardiogramma di riferimento.
Questi dati strumentali naturalmente richiedono ulteriori conferme su ampie casistiche, ma intanto fanno dubitare che il valore di una FEVS del 50% sia un dato affidabile per distinguere un cuore funzionalmente efficiente da uno disfunzionante, nascondendo esso già i segni latenti di ridotta funzione ventricolare, che poi si manifestano tardivamente con minori possibilità di recupero.
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