NOTIZIARIO Marzo 2012 N°3
"DEPRESSIONE COME MALATTIA SISTEMICA"
parte III°
A cura di:
Giuseppe Di Lascio e Susanna Di Lascio
Con la collaborazione di:
Bagalino Alessia, Bauzulli Doriana, Di Lascio Alessandro, Di Lascio Susanna, Levi Della Vida Andrea, Melilli Simonetta, Pallotta Pasqualino, Sesana Giovanna, Stazzi Claudio, Zimmatore Elena
QUADRI CLINICI DELLA DEPRESSIONE
L'inquadramento clinico della depressione si pone, soprattutto ai fini dell'intervento terapeutico, il problema di definire la soglia tra normalità e patologia. A tale proposito, già l'uso diversificato della terminologia corrente, inclusi i molti aggettivi, complica tale condizione. In effetti, comunemente si riferisce alla depressione lo stato di pura e semplice demoralizzazione o tristezza, sperimentata dalla quasi totalità degli uomini in qualche fase della vita. I medici, invece, pronunciano nel suo caso una condizione di vera e propria patologia. Tale dato determina, quindi, già in partenza un possibile difetto di comunicazione medico/paziente. Generalmente, la maggior parte delle persone affette da disturbo depressivo maggiore si presenta al controllo clinico con un aspetto normale. Solo nei casi più gravi si può constatare una mancanza d'igiene o un'alterazione del peso. Si può rilevare un ritardo psicomotorio, come rallentamento o perdita dei movimenti spontanei, oltre a un appiattimento o perdita di reattività, tanto da influire come espressione emotiva. Si possono aggiungere agitazione psicomotoria o irrequietezza. Il linguaggio, se non normale, può essere lento, monotono, privo di spontaneità e di contenuti. L'esordio può essere brusco con improvvisa o rapida comparsa della sintomatologia, o graduale con presenza di sintomi prodromici, quali: labilità emotiva, astenia, insonnia, cefalea, ridotto interesse sessuale, scarso appetito, difficoltà di concentrazione, diminuito interesse nelle normali attività. La fase di stato è caratterizzata da una sintomatologia piuttosto uniforme nei diversi episodi. Sono individuabili alcune varietà fenomeniche, con la melanconia, i sintomi psicotici, l'ansia, l'agitazione, le espressioni catatoniche. Sono spesso riconoscibili variazioni circadiane dei sintomi dell'umore con oscillazioni dell'intensità dei sintomi entro le ventiquattro ore e con più frequente miglioramento serotino. Le complicanze sono, in genere, caratterizzate da gesti autolesivi e si aggiungono solitamente all'abuso di alcolici, di benzodiazepine e di stimolanti. Le complicanze di natura medica sono spesso la disidratazione, gli squilibri idroelettrolitici, le malattie fisiche intercorrenti.
La durata della malattia è variabile, da quattro a sei mesi di media, e in rapporto anche all'intervento terapeutico, ma è possibile la cronicizzazione. La risoluzione può essere brusca, soprattutto nelle forme che fanno parte di un disturbo bipolare, graduale con attenuazione progressiva della sintomatologia, fluttuazione della gravità e ritorno ai precedenti livelli di adattamento. Gli esiti possono prevedere la risoluzione incompleta con il persistere di sintomi residui. Si può, peraltro, assistere a un episodio singolo oppure a una forma ricorrente con due o più episodi depressivi maggiori, ricordando che per considerare separati gli stessi eventi deve intercorrere tra loro almeno un intervallo di due mesi consecutivi durante il quale non devono essere soddisfatti i criteri per un episodio depressivo maggiore. La valutazione di una sindrome depressiva deve, d'altra parte, tener conto: della gravità sintomatologica, della disabilità, della comorbidità, dell'età, dell'adattamento e disponibilità alle cure, dei fattori stressanti, del supporto, della cronicità.
Il quadro clinico dell'episodio depressivo maggiore
Il quadro clinico dell'episodio depressivo maggiore è riportato nel DSM-IV-TR (American Psychiatric Association. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder, Text Revision. 4th Edition. Washington, DC: American Psychiatric Association; 2000). È definito come una sindrome per due settimane di almeno cinque dei seguenti sintomi che causano clinicamente uno stress significativo o menomazione nel campo sociale, lavorativo o di altre importanti aree funzionali, ma con almeno uno riguardante lo stato d'animo depresso o la perdita d'interesse o di piacere:
- Umore depresso, ma anche irritabile per i bambini e gli adolescenti.
- Riduzione d'interesse o anedonia, come perdita di piacere per quasi tutte le attività.
- Significativa variazione del peso o disturbi dell'appetito, ma per i bambini anche fallimento nell'aumento ponderale previsto.
- Disturbi del sonno con insonnia o ipersonnia.
- Agitazione o rallentamento psicomotorio.
- Fatica o perdita di energia.
- Percezione d'inutilità o eccessivo senso di colpa.
- Ridotta capacità di pensare o concentrarsi, incertezza.
- Pensieri ricorrenti di morte, di suicidio.
- Rifiuto interpersonale di lunga data, tentativo di suicidio o piano specifico per il suicidio.
Per soddisfare i criteri della depressione maggiore, questi sintomi devono rappresentare un cambiamento e presentarsi per la maggior parte della giornata. La depressione minore è, a tale riguardo, simile a quella maggiore per presenza di due settimane dell'umore depresso o dell'anedonia. Tuttavia, il paziente lamenta minori disturbi rispetto ai cinque necessari per la diagnosi della forma maggiore. Per altro verso, la distimia è caratterizzata dall'umore depresso per la maggior parte della giornata e per la maggior parte dei giorni, come riferito dallo stesso paziente e/o da chi lo osserva, per almeno due anni, con presenza almeno di due dei seguenti sintomi: scarso appetito o polifagia/bulimia, bassa autostima, insonnia o ipersonnia, scarsa concentrazione o difficoltà nel prendere decisioni, senso di stanchezza e sentimenti di disperazione. I pazienti con distimia, in genere, hanno un minor numero di quei sintomi necessari per la diagnosi della depressione maggiore. Tra il DSM-IV e l'ICD-10 ci sono molte somiglianze nella definizione di un episodio, ma la struttura della diagnosi è un po' diversa, poiché il primo sistema fa un uso molto più esteso degli indicatori diagnostici, mentre il secondo concettualizza episodi di depressione maggiore che vanno da lievi a gravi, con diverse soglie del sintomo.
Inoltre, il DSM-IV prevede criteri d'inclusione e di esclusione più specifica non contenuti nell'ICD-10. Altre condizioni incluse nella sindrome possono essere: il diminuito interesse o piacere in almeno uno dei sintomi o l'umore depresso, il disagio significativo o la compromissione delle funzioni sociali, della professione o di altre importanti aree, la mancanza di azioni dirette scatenanti da parte di sostanze o condizioni mediche generali, assenza di criteri che soddisfino un episodio misto, come quelli maniacali e depressivi, assenza persistente di giustificazione per lutto, presenza di marcata compromissione funzionale, preoccupazione morbosa con inutilità, ideazione suicidaria, sintomi psicotici o rallentamento psicomotorio, mancanza di sovrapposizione di schizofrenia, di disturbo schizofreniforme, di quello delirante o di NOS (psychotic disorder not otherwise specified).
In qualsiasi modo, il disturbo depressivo può essere classificato come lieve, moderato o grave e può verificarsi con o senza sintomi psicotici, che possono essere congruenti o incongruenti con lo stato dell'umore. Inoltre, la depressione può essere, come già riportato, in remissione totale o parziale e, quando dura più di due anni consecutivi, deve essere diagnosticata come cronica. I fattori di rischio per la cronicità sono, peraltro, l'età avanzata, la persistenza dei fattori stressanti, l'abuso di sostanze, la mancanza o l'inadeguatezza di trattamento, il temperamento, la predisposizione biologica.
Il disturbo depressivo con caratteristiche di malinconia
La forma con caratteristiche di malinconia si caratterizza, invece, per una perdita di piacere per quasi tutte le attività o per una mancanza di reattività agli stimoli solitamente piacevoli. Inoltre, si riscontrano obbligatoriamente almeno tre dei seguenti requisiti:
- umore depresso nettamente diverso dal sentimento di morte di persona cara,
- sintomatologia peggiore il mattino,
- risveglio due ore prima del solito,
- ritardo o agitazione psicomotoria,
- perdita di peso significativa o anoressia,
- senso eccessivo o inappropriato di colpa.
Il disturbo depressivo con caratteristiche catatoniche
Per suo canto, la diagnosi degli episodi depressivi con caratteristiche catatoniche richiede, secondo il DSM-IV-TR, almeno due delle seguenti condizioni:
- immobilità motoria sotto forma di catalessi o stupore,
- iperattività motoria che appare senza scopo e non in risposta a stimoli esterni,
- estremo negativismo o mutismo,
- movimento volontario peculiare, come atteggiamenti, smorfie, stereotipie e manierismi,
- ecolalia o ecoprassia.
Il disturbo depressivo distimico
Il disturbo distimico ripete gli stessi criteri della depressione maggiore, ma deve soddisfare alla presenza di due o più sintomi persistenti per almeno due anni in cui si sono avvicendati episodi depressivi per più di due mesi alla volta. Per i bambini e gli adolescenti può valere il termine di un anno A volte è indicato semplicemente come distimia e descritto dal punto di vista sintomatologico dal paziente e da chi lo osserva come umore depresso per la maggior parte delle ventiquattro ore in quasi tutti i giorni per almeno due anni. Quando depresso il paziente presenta due o più dei seguenti sintomi: insonnia o ipersonnia, scarsa energia o astenia, bassa autostima, scarso appetito o iperfagia, difficoltà di concentrazione o nel prendere decisioni, sentimenti di disperazione. Durante i primi anni di malattia deve essere escluso un episodio depressivo maggiore e così pure un episodio maniacale misto o ipomaniacale. Peraltro, la malattia non deve manifestarsi esclusivamente durante il corso di un disturbo psicotico cronico, come schizofrenia o disturbo delirante e deve essere escluso l'effetto di sostanze come droghe o farmaci, come pure una condizione medica generale come l'ipotiroidismo. Comunque, la condizione deve causare un disagio clinicamente significativo o la compromissione della funzione sociale, lavorativa o di altre aree importanti.
Il disturbo depressivo psicotico
Il DDM grave può manifestarsi anche in forma psicotica o con manifestazioni di perdita di contatto con la realtà, inclusi i deliri e stati d'animo congruenti o incongruenti. Le forme congruenti sono spesso coerenti con i classici temi depressivi d'inadeguatezza personale, di colpa, di malattia o di punizione meritata. Quelle incongruenti, invece, non sono coerenti con questi tipici temi. Le manifestazioni psicotiche nel decorso del DDM rappresentano un'emergenza psichiatrica che richiede spesso il ricovero in ospedale qualificato.
Mauricio Tohen dell'University of Texas e collaboratori, con l'obiettivo di valutare precocemente e guidare accuratamente la diagnosi, la prognosi e il piano di trattamento dei pazienti con importanti malattie mentali, hanno seguito 56 pazienti con DDM con caratteristiche psicotiche, secondo il DSM-IV, in modo prospettico e sistematico (J Affect Disord. 2012 Vol. 136, Issue 1 , Pages 1-8 , January). Hanno, così, studiato il decorso, i predittivi della remissione sintomatica, del recupero funzionale e dei nuovi episodi e il rilievo della stabilità diagnostica. In quarantanove dei cinquantasei casi seguiti per ≥ 2 anni il 59% manteneva la diagnosi iniziale, la maggior parte ha raggiunto la remissione sindromica (86%), l'84% il recupero, il 58% la remissione dei sintomi e solo il 35%, diciassette casi su quarantanove, il recupero funzionale. Il recupero era seguito precocemente dall'insorgenza di subacuzie con punteggi più bassi della depressione iniziale e con l'assenza delle caratteristiche psicotiche incongruenti. Entro i due anni, il 45%, ventidue casi su quarantanove, sperimentava nuovi episodi, più precoci nei casi d'esordio nei più giovani e con punteggi più alti CGI (Clinical Global Impression-Severity). La diagnosi DSM cambiava nel 41% dei casi: in forma bipolare nel 33% o in disturbi schizoaffettivi nel 12%, che rispettivamente facevano seguito precocemente a caratteristiche simil-maniacali o schizofreniche. In conclusione, entro due anni della prima ospedalizzazione il 41% dei pazienti con iniziale diagnosi di depressione psicotica, secondo i criteri del DSM-IV, virava verso la forma bipolare o dei disordini schizoaffettivi. Il 59%, mantenendo la diagnosi iniziale nei due anni, per circa la metà sperimentava nuovi episodi, per il 42% rimaneva sintomatico e nei due terzi non riusciva a ritrovare il recupero funzionale precedente.
La depressione atipica
Le caratteristiche della depressione atipica sono, invece, la reattività dell'umore e l'esclusione dei sottotipi malinconico e catatonico e in aggiunta per almeno due settimane di due o più condizioni seguenti:
- significativo incremento ponderale o aumento dell'appetito,
- ipersonnia,
- paralisi plumbea con sensazione di pesantezza e di braccia e gambe di piombo,
- quadro duraturo d'ipersensibilità al rifiuto interpersonale, non limitato agli episodi di alterazione dell'umore, che determina una compromissione sociale e lavorativa significativa.
La depressione stagionale
Sotto altro aspetto, il disturbo dell'umore può essere caratteristicamente legato a un rapporto regolare temporale dell'anno. Si dovrebbero in tal caso dimostrare almeno due episodi del disturbo depressivo, sostanzialmente più numerosi di quelli non stagionali. Peraltro, i disturbi affettivi stagionali sono caratterizzati più propriamente da sintomi atipici, come l'ipersonnia e l'aumento dell'appetito. Nei bambini la diagnosi è resa più difficile dal fatto che l'evento stressante generale della scuola ricorre ogni inizio d'autunno.
La depressione nell'adolescente
Nell'adolescente la depressione si può manifestare in forma atipica rendendo più difficile la diagnosi. Possono manifestarsi idee di morte, irritabilità,
disturbi dell'alimentazione. Sono frequenti comorbidità, come i disturbi d'ansia nel 46% dei casi, la distimia nel 36%, l'ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder) nel 35%, i disturbi della condotta nel 31%.
La depressione nella donna
Come già in precedenza riportato, già nell'adolescenza inizia a verificarsi una differenza d'incidenza della depressione tra uomo e donna la quale arriva a presentare una prevalenza fino al 25% in un qualche momento della vita, dimostrando anche una progressiva accentuazione del divario con l'altro sesso con l'avanzare dell'età. La donna, infatti, soffre di depressione più dell'uomo dai diciotto ai quarantaquattro anni e in specie dopo i venticinque. Tra i quarantaquattro e i sessantacinque anni la differenza si riduce per ricrescere dopo tale periodo della vita. Peraltro, la donna spesso è afflitta più frequentemente da altri sintomi, come l'ansia, i disordini del sonno, gli attacchi di panico e i disordini alimentari. Nella donna la sintomatologia della depressione, in genere, non è uniforme nel tempo e sono presenti più comunemente pessimismo, senso d'impotenza, angoscia continua, eccessiva preoccupazione con negativismo, indecisione, bassa autostima, anedonia, irascibilità, difficoltà di concentrazione, disturbi della memoria, senso di scarsa energia, appetito scarso o eccessivo, insonnia o ipersonnia, riduzione della libido, percezione d'immagine negativa del proprio corpo, soprattutto nelle più giovani. Non sono infrequenti disturbi fisici, dolori cronici e sintomi digestivi. Le alterazioni dell'umore, ricondotte alle variazioni dei livelli ormonali della sfera sessuale, sono state oggetto di studio per la valutazione delle possibili cause della depressione nella donna in ragione della sua maggiore frequenza nelle fasi e nelle età in cui si verificano i cambiamenti con impronta neuroendocrina come la pubertà, il ciclo mestruale, la gravidanza, il parto e a menopausa. Così pure, sembrerebbe che l'uso delle pillole contraccettive sia anch'esso associato alla malattia. Nelle donne assumono, di poi, un certo rilievo la mancanza di lavoro e l'obbligo di rimanere a casa a curare i bambini ma anche il divorzio o la separazione, soprattutto se vi sono problematiche economiche e legali di affido della prole.
La depressione post-partum
Molte donne, in effetti, e in particolare se adolescenti o a basso reddito, presentano sintomi depressivi durante la gravidanza. Le evidenze della ricerca hanno collegato il disturbo a fattori di rischio, quali l'abuso d'alcol e di droga e il fumo, che possono portare a gravidanze con risultati sfavorevoli. Più comune e studiata è, invece, la depressione che interviene insidiosamente dopo il parto, costituendo un problema potenzialmente molto grave. In effetti, in questo periodo la maggioranza delle donne tende a presentare uno stato transitorio disforico dell'umore e circa il 13% di soggetti di ogni estrazione culturale e razziale è afflitta da una vera forma di DDM, definita nella comunità scientifica come depressione post partum in caso d'insorgenza fino a un anno dall'evento. Tale condizione, peraltro tipicamente sotto diagnosticata in più della metà dei casi, causa generalmente una grave sofferenza e può influire anche negativamente socialmente e cognitivamente sul bambino. I risultati più seri sono relativi, in effetti, alla turbativa del matrimonio con possibilità di portare al divorzio e anche al suicidio, ma anche all'abbandono dei minori o al loro abuso e infanticidio. Nei bambini di madri depresse è possibile che si verifichi l'insicurezza, la bassa autostima e anche la riduzione delle capacità intellettuali o dello sviluppo del linguaggio.
La causa specifica della depressione post-partum è spesso non rilevabile, ma possono essere implicati vari fattori fisiologici e psicosociali, come un disturbo depressivo maggiore o l'ansia durante la gravidanza o una storia più remota di disturbo depressivo maggiore, un disturbo disforico premestruale, uno stress eccessivo della vita prima del concepimento, la mancanza di un sostegno sociale, i problemi coniugali, la povertà di risorse e la giovane età materna. Comunque, la malattia deve essere sostenuta da condizioni multifattoriali tra cui la rapida diminuzione dei livelli plasmatici di estrogeni e di progesterone dopo la gravidanza, l'ipotiroidismo post-partum o le malattie autoimmuni della tiroide, la privazione del sonno, e / o circostanze di vita difficili.
In effetti, al momento del parto nel plasma materno i livelli degli estrogeni e del progesterone cominciano a cadere rapidamente e, dato che alle concentrazioni fisiologiche sono ben noti i loro effetti neuropsichici, si è portati a supporre una loro azione anche in concomitanza della loro riduzione. Nei topi, i recettori GABAA del cervello, la cui stimolazione favorisce il rilassamento e la tranquillità, sono down-regolati durante la gravidanza dai neurosteroidi derivati dal progesterone. Questi recettori poi subiscono un rapido rimbalzo nel post-partum ed è interessante notare che i topi con i recettori GABAA difettosi hanno un tasso significativamente più elevato di depressione post-partum con sintomi quali anedonia, essendo anche più propensi a trascurare i loro cuccioli o addirittura a loro cannibalismo. Alcuni studi, svolti a tale proposito con trattamento di progestinici sintetici o estrogeni trans dermici, sembrano confermare un vantaggio in tale malattia, per cui allo stato attuale sembrerebbe valida l'ipotesi eziologica tra steroidi placentari e depressione post partum. D'altro canto, altri studi hanno suggerito che i disturbi del sonno possono talvolta causare la depressione post partum, piuttosto che esserne un effetto. In effetti, in questo particolare periodo della loro vita le mamme non sempre possono dormire quando ne hanno bisogno perché devono prendersi cura dei loro bambini. Pertanto, queste donne, soprattutto se hanno tendenza alla depressione, possono risentire maggiormente della fatica. Comunque, in conclusione la depressione maggiore a volte causa l'insonnia, ma l'insonnia probabilmente contribuisce alla depressione post partum. La melatonina, ormone prodotto nel sonno dalla ghiandola pineale, comincia a crescere nel plasma nel momento dell'andare a dormire, raggiungendo il picco alle 3:00 circa per poi cadere a livelli quasi impercettibili. Bennett S della Johns Hopkins University Bloomberg School of Public Health, Baltimore e collaboratori, sulla base della scoperta nel 2001 che l'esposizione alla luce blu dello spettro visibile, della particolare lunghezza d'onda di circa 470 nm, sopprime la produzione della melatonina e che le neo mamme hanno bisogno di alzarsi durante la notte per prendersi cura dei loro bambini, proprio quando l'ormone è normalmente alto nel sangue, hanno arruolato in un piccolo trial clinico donne con depressione post-partum (Med Hypotheses. 2009 Aug;73(2):251-3. Epub 2009 Mar 28). Alcune pazienti sono state fornite di occhiali e di lampadine che bloccavano la luce blu. Altre sono state dotate di occhiali e lampadine colorate che sembravano, ma non bloccavano i raggi che causano la soppressione della melatonina. Quelle con gli occhiali veri mostravano un recupero nella malattia un po' più prontamente rispetto a quelle con gli occhiali e le lampadine placebo. In conclusione, tale studio darebbe valore all'ipotesi che il rischio di depressione post-partum può essere ridotto quando una neo mamma eviti di esporsi alla luce blu nelle alzate notturne per accudire il proprio bambino. Pertanto, a tutte le neo mamme si può consigliare di usare occhiali e lampadine che bloccano la luce blu al momento di alzarsi di notte poiché l'interruzione consequenziale della normale produzione di melatonina potrebbe diventare una concausa della depressione post partum.
I sintomi, come umore fluttuante, pianto, irritabilità e ansia, sono per la maggior parte transitori e relativamente miti nella depressione post partum, tuttavia, nel 10-15% dei casi determinano una forma invalidante e persistente di depressione e nello 0,1-0,2% dei casi vera e propria psicosi. Il quadro si risolve in genere spontaneamente entro le prime due settimane dopo il parto e, se lieve, risparmia le funzioni materne. Se intervengono i segni e i sintomi della depressione maggiore per più di due settimane con profonda tristezza, ansia o disperazione, possono realizzarsi, però, condizioni che interferiscono con le capacità funzionali della madre e con rischio di danno per se stessa e/o per il bambino.
Estel Gelabert dell'Universitat Autònoma de Barcelona e collaboratori, sulla base che il perfezionismo, pur generalmente associato in una prospettiva multidimensionale alla malattia depressiva, non risultava abbastanza chiarito nel periodo postnatale, hanno esaminato 122 donne con DDM post-partum, secondo lo Structured clinical interview for DSM-IV axis I disorders (SCID-I, DSM-IV), e 115 donne sane dopo il parto, utilizzando il FMPS (Frost Multidimensional Perfectionism Scale), strumento per la valutazione delle sei dimensioni di perfezionismo: la preoccupazione per gli errori, gli standard personali, le aspettative dei genitori, la critica dei genitori, il dubbio sulle azioni e l'organizzazione (J Affect Disord. 2012 Jan;136(1-2):17). Gli autori hanno considerato altre variabili, come la nevrosi, la storia psichiatrica, il sostegno sociale, gli eventi della vita, le combinazioni genotipiche, secondo l'espressione del trasportatore della serotonina (polimorfismi del 5-HTTLPR e dello Stin2 VNTR). La prevalenza di alto perfezionismo è stata maggiore nel gruppo DDM post-partum, rispetto a quello di controllo (34% vs 11%, p <0,001) e anche i modelli multivariati confermavano l'alto perfezionismo come fattore indipendentemente associato alla malattia. In particolare, l'alta preoccupazione per gli errori aumentava di oltre quattro volte la probabilità di DDM post-partum. (OR = 4,14, IC 95% = 1,24-13,81). La nevrosi, la positività della storia personale psichiatrica e la bassa espressione del genotipo della 5-HTT in uno dei loci erano identificate come fattori indipendenti. In conclusione, essendo l'alto grado di perfezionismo e, in particolare, l'alta preoccupazione per gli errori la dimensione della personalità associata alla DDM post-partum, ne derivava, secondo gli autori, la raccomandazione di valutazione attenta insieme con altri fattori per migliorare l'individuazione delle donne a rischio di depressione post-partum per gli interventi precoci a loro beneficio.
La depressione nell'anziano
Negli anziani la prevalenza della depressione è paragonabile a quella dei pazienti più giovani, ma, mentre nei giovani i fattori di rischio sono prevalentemente di ordine psicosociale, in essi le malattie fisiche giocano un ruolo importante. Queste, difatti, possono indurre la depressione attraverso meccanismi biologici, come l'ipotiroidismo, i farmaci antipertensivi, oppure psicologici, come la demoralizzazione. Ma anche la disabilità e le limitazioni funzionali e l'istituzionalizzazione hanno la loro parte. Comunque, la depressione nell'anziano è più disabilitante che nel giovane e più spesso è necessario protrarre in essi la durata del trattamento.
Il binomio depressione - demenza
Infine, va considerata il frequente binomio di depressione e demenza che rappresenta un particolare quadro clinico con delle caratteristiche peculiari. Infatti, in un sotto gruppo di depressi anziani si stabiliscono alterazioni morfofunzionali del SNC e anzi in alcune forme depressive a esordio tardivo si possono rappresentare manifestazioni precoci di demenza. Così che, la depressione nell'anziano può assumere aspetti di pseudo demenza con alterazioni reversibili delle funzioni cognitive della memoria, della concentrazione e dell'orientamento e con bradipsichismo. In caso di doppia diagnosi, la remissione dei sintomi depressivi nella demenza migliora la qualità di vita. La compliance e il miglioramento della performance cognitiva, per loro conto, influiscono sul tono dell'umore. Comunque, i segni e i sintomi sovrapponibili nella depressione con demenza sono: impoverimento dell'affettività, povertà del linguaggio, rallentamento, deficit della concentrazione, diminuzione degli interessi e delle attività, insonnia, apatia. Ciò non di meno, è possibile tracciare i caratteri differenziali distintivi tra la demenza classica e la pseudodemenza depressiva. Nel primo caso, difatti, l'insorgenza è insidiosa, la progressione è lenta, il paziente non è consapevole, sono presenti confabulazioni, il paziente sminuisce la disabilità, il comportamento è congruo all'entità del deficit, spesso v'è mancanza di risposte, vi sono peggioramenti notturni, l'umore è incongruo, vi sono scarsi sintomi vegetativi, i precedenti psichiatrici non sono frequenti, il rischio di suicidio è basso.
Nel secondo caso, invece, l'insorgenza è improvvisa, la progressione è rapida, il paziente è consapevole, vi sono disturbi della memoria, v'è l'enfasi della disabilità, il comportamento spesso è incongruo rispetto all'entità del deficit, le risposte sono evasive e globali (per es. "non so"), non vi sono variazioni notturne, l'umore è decisamente depresso, sono frequenti i sintomi vegetativi, vi sono precedenti psichiatrici, il rischio di suicidio è elevato.
La sindrome ansioso-depressiva e la depressione con disturbo di panico.
Tra gli altri particolari quadri clinici si considerano la depressione con manifestazioni ansiose, come la sindrome ansioso-depressiva, e la comorbidità con il disturbo di panico.
Sindrome depressiva e sindrome della bruttezza immaginaria
Va anche considerata la possibilità di un quadro clinico caratteristico, derivante dall'associazione saltuaria della sindrome depressiva maggiore con il BDD (Body dysmorphic disorder), o sindrome dismorfica, malattia mentale originariamente denominata dismorfofobia, che colpisce in egual misura ambo i sessi e occasionalmente anche bambini e adulti più anziani. Riconosciuta in Europa oltre 100 anni fa, è anche conosciuta come la sindrome della bruttezza immaginaria. Pur con prevalenza ancora sottostimata, si considera che dall'uno al due per cento della popolazione mondiale potrebbe soddisfare i criteri per la sua diagnosi. Il BDD è un tipo di disturbo somatoforme in cui la persona s'interessa esclusivamente all'immagine del proprio corpo, manifestando una percezione e un'eccessiva preoccupazione per una possibile anomalia delle proprie caratteristiche fisiche. Il malato si affligge per difetti del suo aspetto e della funzione del proprio corpo o si lamenta vagamente delle condizioni generali con rimbalzo negativo di disagio psicologico e compromissione della vita sociale e professionale. Il BDD, in genere, si verifica in tal grado da causare una grave depressione emotiva e ansia con il possibile sviluppo di altri disturbi d'ansia, di ritiro o d'isolamento sociale. Si può anche instaurare nello 80% dei malati una fobia sociale e un'ideazione suicidaria, mentre in casi estremi si può perfino inserire un quadro di dissociazione.
I malati, intrisi di continua ansia e stress per il difetto immaginario percepito, spendono molto tempo per concentrarsi su di esso, sia per osservarsi e controllarsi, sia per nascondere l'imperfezione, attenti al confronto con gli altri, cercando disperatamente di ottenere miglioramenti anche dagli interventi di chirurgia estetica. Purtroppo, quest'ultimo ricorso spesso si dimostra nei risultati peggiorativo, non solo in caso d'insoddisfazione ma anche di gradimento. Nella prima ipotesi, infatti, alcuni pazienti protestano anche violentemente con il proprio chirurgo, nel secondo, invece, cominciano a focalizzare la loro attenzione su un'altra parte del corpo e a diventare preoccupati per un nuovo difetto.
Katharine A. Phillips della Brown University e collaboratori hanno eseguito nei meriti uno studio retrospettivo su 200 persone con BDD, di cui il 3% aveva richiesto e il 21% ottenuto un trattamento di chirurgia estetica minimamente invasivo (Ann Plast Surg. 2010 July; 65(1): 11–16).
Quasi tutti, però, avevano continuato nei sintomi con alcune preoccupazioni sviluppate sul rinnovato aspetto. Gli autori riportavano anche che in un sondaggio di 265 chirurghi plastici 178, il 65 per cento, aveva dichiarato di trattare i pazienti con BDD ma con un miglioramento solo nell'uno per cento dei casi. Questi dati, uniti alle segnalazioni di cause legali e di violenza, di tanto in tanto subita dai chirurghi, porterebbero a considerare il BDD una controindicazione per il trattamento cosmetico. I ricercatori, difatti, sulla base dei loro risultati, si sono sentiti autorizzati a concludere che la loro analisi forniva nuove e più dettagliate informazioni sul gradimento e sull'esito delle procedure chirurgiche minimamente invasive con chiara necessità di approfondimento con altri studi prospettici. In attesa, gli autori raccomandavano maggiore consapevolezza da parte dei medici sul fatto che i trattamenti psichiatrici del BDD, come gli inibitori della ricaptazione della serotonina e la terapia cognitivo-comportamentale, avrebbero maggiore efficacia per ciò che può essere ritenuta una malattia debilitante. Difatti, trattare il disturbo dal punto di vista psichiatrico si rivelerebbe, di certo, una scelta migliore rispetto alla chirurgia.
Dal loro canto Sabine Wilhelm del Massachussets General Hospital e collaboratori, avendo già in un precedente studio rilevato che modulando la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) si può ottenere un sostanziale aiuto a ridurre la gravità dei sintomi e la depressione nel BDD, hanno arruolato dodici persone di ambo i sessi con malattia, secondo i criteri del DSM-IV-TR (Behavior Therapy, (2011). 42 (4), 624-633). I partecipanti, divisi in modo casuale in due gruppi di trattamento, il primo con diciotto sedute di terapia CBT e il secondo con ventidue, sono stati incoraggiati a valutare i loro pensieri negativi e di disadattamento e i comportamenti d'isolamento, individuando le risposte adattative e robuste, impegnandosi anche in compiti a casa. Prima e dopo il trattamento, sono stati utilizzati per la valutazione la BDD-YBOCS (Yale-Brown Obsessive Compulsive Scale Modified for BDD), la CGI (Clinical Global Impression), la BABS (Brown Assessment of Beliefs Scale), il BDI-II (Beck Depression Inventory-II) e il CSI (Client Satisfaction Inventory). I risultati hanno rivelato una riduzione della gravità dei sintomi del BDD e della delusione con il miglioramento dei sintomi depressivi e il mantenimento di elevati tassi di soddisfazione. Tali dati suggerirebbero, invero, il trattamento modulare della CBT per il BDD, come pratica strategia di trattamento ben accolta ed efficace.
PROGNOSI DELLA DEPRESSIONE
Negli anziani la depressione si associa spesso con altre patologie croniche, peggiorandone i risultati sino alla mortalità e al suicidio con un onere sanitario considerevole. In effetti, la prognosi della depressione a esordio tardivo è più grave e tende a dipendere molto dall'handicap fisico o di malattia e dalla mancanza di un adeguato supporto sociale. Già Wulsin LR dell'University of Cincinnati e collaboratori selezionarono cinquantasette studi dai quali dedussero che la depressione sembrava aumentasse il rischio di morte per malattie cardiovascolari, specialmente negli uomini, ma non per cancro. (Psychosom Med 1999;61:6–17). Pur tuttavia, gli autori segnalavano nella loro ricerca che la variabilità nei metodi di studio aveva impedito una più rigorosa meta-analisi del rischio. Di poi Saz P dell'Hospital Clínico Universitario di Zaragoza, Spain e Michael E. Dewey dell'University Hospital, Nottingham, UK su ventuno riferimenti bibliografici ritrovarono quote di odds ratio di mortalità nei depressi di 1,73 (IC 95% 1,53-1,95) con una debole riduzione per le donne (Int J Geriatr Psychiatry 2001;16:622–30). In seguito, William W. Eaton della Johns Hopkins University, Baltimore e collaboratori, sulla base delle recensioni eseguite in letteratura, hanno elaborato una tavola di confronto della mortalità in caso di depressione e di altri disturbi mentali con i soggetti normali (Epidemiol Rev 2008;30:1–14).
Gli autori hanno anche elaborato una tabella relativa alla disabilità comprendente la depressione maggiore e gli altri disturbi mentali.
Peter H Millard della St George's, University of London ha suggerito, peraltro, per la prognosi della depressione ad insorgenza tardiva la regola dei terzi, affermando che, indipendentemente dal trattamento, circa un terzo dei pazienti raggiunge la remissione, un altro terzo rimane sintomatico nella stessa condizione e il restante terzo subisce un peggioramento (Br Med J (Clin Res Ed). 1983 August 6; 287(6389): 375–376). I dati attuali, invero, dimostrerebbero almeno una recidiva in circa il 60% di questi pazienti con persistenza o ricorrenza continua fino al 40% di essi. In essi è stato segnalato, peraltro, il doppio del rischio di sviluppare decadimento cognitivo lieve con probabilità di sfociare nella vera demenza. Fattori che possono influire sulla prognosi negli anziani sono, peraltro, la percezione psicologicamente stressante della malattia medica, soprattutto se causa d'invalidità, diminuita capacità d'indipendenza e rottura della reti sociali. Purtroppo, altri fattori di rischio psicosociali s'inseriscono nella tarda età, come: il ridotto supporto sociale, il carico della badante, la solitudine, il lutto, gli eventi di vita negativi. Probabilmente anche gli effetti di fattori neurochimici, come il cortisolo e altre sostanze correlate allo stress, si sommerebbero all'insieme.