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notiziario giugno 2011 n°5 - SOLE E SALUTE - Caldo e malattie cardiovascolari

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Indice
notiziario giugno 2011 n°5 - SOLE E SALUTE
Le radiazioni solari
Condizioni che incidono sulla variazione delle radiazioni UV
I tipi di pelle sulla base della reattività al sole
Radiazioni solari e prevenzione del rischio
Radiazioni solari, colpo di sole e colpo di calore
Ondate di calore e decessi soprattutto metropolitani
Le categorie dell'indice di Thom
Caldo e malattie cardiovascolari
Caldo e diabete mellito, obesità, asma bronchiale
Caldo e sclerosi multipla, LES, rosacea
Caldo e farmaci
Livelli di rischio delle condizioni meteorologiche e indirizzi utili
Tutte le pagine

Caldo e malattie cardiovascolari

In definitiva, per quanto riguarda le malattie croniche più diffuse, si può affermare che gli ipertesi possono non avvertire alcuna sensazione spiacevole con il caldo, oppure possono accusare un forte senso di spossatezza, talvolta associato ad una difficoltà a mantenere l'equilibrio del corpo. In effetti, il caldo tende a ridistribuire la massa sanguigna con la vasodilatazione cutanea e la possibile disidratazione. I valori pressori, in linea generale, tendono a ridursi anche significativamente sia per quanto riguarda la pressione sistolica sia la diastolica. In casi di valori di massima inferiori ai 100 mm Hg, può ricorrere astenia o vertigini e, in condizioni particolari, svenimento o sincope vaso depressiva, in genere preceduta da malessere generale, nausea, sudorazione. In tali casi è opportuno sdraiare il paziente e correggere prontamente il livello d'idratazione. Da notare che negli ipertesi l'uso degli antipertensivi diuretici può portare più facilmente alla disidratazione, mentre i beta-bloccanti possono ostacolare il processo di raffreddamento del corpo, impedendo al cuore di battere più velocemente. D'altro canto, la riduzione eccessiva della pressione diastolica, consequenziale alla vasodilatazione, associata all'aumentato tono simpatico e, quindi, della frequenza cardiaca, può incidere negativamente sul flusso coronarico.
In tale evenienza, una forma di angina stabile può virare in instabile con pericolo per il paziente, soprattutto se con storia di precedente infarto miocardico. Peraltro, il ricorso ai nitroderivati in tali casi, pur con il vantaggio di risolvere le crisi anginose, può mascherare forme anche gravi di cardiopatia ischemica evolutiva. Inoltre, questi farmaci possono determinare ipotensione e la così detta sincope da nitroderivati, per cui con il caldo devono essere usati con estrema cautela.
I pazienti con scompenso cardiaco, sperimentando già un cuore in equilibrio precario, come da pompa in condizioni di scarse risorse contrattili, soffrono più facilmente il carico di un'ulteriore richiesta energetica, per cui nelle ondate di calore vedono peggiorare la dispnea anche durante attività modeste e addirittura a riposo e nelle ore notturne. È di più facile riscontro anche la presenza di edemi declivi e possono presentare più facilmente complicazioni tachiaritmiche, soprattutto se si associano la disidratazione e i disturbi elettrolitici. A tale proposito, conviene tener presente che l'amiodarone, farmaco antiaritmico ancora molto usato, si accumula anche nella cute, rendendola particolarmente sensibile alle radiazioni solari, anche indirette, per cui il suo uso controindica l'esposizione al sole. Il farmaco può determinare, infatti, fotosensibilizzazione e fotofobia nel 50-75% dei pazienti, pigmentazione grigiastra della cute, fino al 30% dei casi per aumento della concentrazione dermica di lipofucina, eruzioni cutanee, melanodermia delle parti scoperte, alopecia, vasculite cutanea, dermatite esfoliativa, necrolisi epidermica, eritema multiforme, sindrome di Stevens-Johnson, dermatite esfoliativa, neoplasia cutanea, prurito, esacerbazione della psoriasi. La reazione di fotosensibilizzazione con eritema, bruciore e edema, compare dopo alcuni mesi dall'inizio della terapia, è innescata dai raggi ultravioletti di tipo A e può persistere anche per 4-12 mesi dopo la sospensione del farmaco. Pur tuttavia, gli effetti collaterali dermatologici interessano solo il 15% circa dei pazienti e, in genere, non richiedono la sospensione della terapia.



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