Una nuova prospettiva nel trattamento delle ipercolesterolemie
Enrico Bologna
Specialista in Medicina Interna, Gastroenterologia e Patologia generale.
Già Primario Ospedale Fatebenefratelli, Isola Tiberina, Roma.
Libero docente in Patologia Medica, Università di Roma “Sapienza”.
A new approach to treating hypercholesterolemia.
The lipid hypothesis of atherosclerosis is well wstablished and multiple studies confirm the benefit of lowering LDL-C to very low values. A quantum leap in this direction may be close at hand with a new weapon: a monoclonal antibody against Proprotein Convertase Subtilisin/Keksin type 9 (PCSK9). The normal function of PCSK9 is to decrease LDL-C receptor levels, so the inhibition of PCSK allows this receptor to remove more LDL-C from circulating blood. The results of fase 2 and 3 studies confirm this effect.
L’”ipotesi lipidica” della patogenesi dell’aterosclerosi, formulata oltre 35 anni fa ha trovato negli anni successivi numerose conferme nell’utilità della riduzione delle concentrazioni plasmatiche del colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità (LDL-C), utilità che appare tanto maggiore quanto più intensa è la riduzione di LDL-C. Dopo i risultati del Lipid Research Clinics Coronary Prevention Trial del 198417 18 molti altri studi relativi a trattamenti effettuati con modalità e con farmaci diversi hanno confermato i vantaggi della riduzione delle LDL-C. Ad esempio la somministrazione di Colestipol e Ac. nicotinico è apparsa capace di favorire la regressione delle placche coronariche, regressione documentata con angiografia coronarica quantitativa nello studio CholesteroLLowering Atherosclerosis Study (CLAS) 1 2; significativa riduzione di LDL-C fu ottenuta nel Program on the Surgical Control of the Hyperlipidemias (POSCH ), nel quale il by-pass ileale determinò una riduzione del 37,8% di LDL-C e significativa diminuzione della letalità cardiovascolare a cinque anni 4 5.
Risultati altrettanto favorevoli sono stati successivamente registrati con l’uso di statine. Nello studio The Pravastatin or Atorvstatin Evaluation and Infarction Therapy-Thrombolysis in Myocardial infarcrtion 22 (PROVE-IT-TIMI-22) fu dimostrato che nei soggetti con sindrome coronarica acuta la cui concentrazione di LDL-C veniva portata a valori inferiori a 40 mg/dL la frequenza di eventi cardiaci maggiori era statisticamente più bassa rispetto ai soggetti in cui il trattamento aveva portato a concentrazioni di LDL-C comprese tra 80 e 100 mg/dL 19. Ad analoghe conclusioni portò lo studio Justification for the Use fo Statins intervention: an Intervention Trial Evaluating Rosuvastatin (JUPITER), in cui i soggetti nei quali LDL-C era portato a valori inferiori a 50 mg/dL presentarono una minor frequenza di eventi cardiovascolari rispetto all’intera popolazione dei soggetti trattati 8.
Una conferma del ruolo determinante delle LDL-C nel danno vascolare, d’altra parte è fornita dall’osservazione che i soggetti con ipobetalipoproteinemia familiare, caratterizzata da concentrazioni plasmatiche di LDL-C comprese tra 50 e 80 mg/dL, presentano un rischio cardiovascolare inferiore alla media pur in presenza di altre conduzioni sfavorevoli 16 .
Le preoccupazioni che inevitabilmente sorgono nei confronti di trattamenti farmacologici volti a raggiungere valori molto bassi di LDL-C sono di due ordini. Il primo è rappresentato dal timore che questi valori siano inferiori alle necessità fisiologiche, considerando i molteplici ruoli svolti dal colesterolo. A questa preoccupazione si può contrapporre una osservazione pubblicata quasi trenta anni fa. Fibroblasti umani posti in coltura estraggono LDL dall’ambiente tramite i propri recettori fino ad internalizzare la quota di colesterolo sufficiente alle proprie necessità, raggiunta la quale i recettori vanno incontro a down-regulation. In questa coltura la concentrazione di colesterolo sufficiente a saturare i recettori è 2,5 mg/dL. Poiché il gradiente di concentrazione di LDL tra plasma e liquido interstiziale è circa 10:1, si può dedurre che una concentrazione plasmatica di LDL pari a 25 mg/dL è sufficiente per il fabbisogno dei fibroblasti; un valore più elevato potrebbe ovviamente essere necessario per altre cellule 3 . D’altra parte si deve considerare che la concentrazione plasmatica di LDL in vari mammiferi è prossima a questi valori e che anche nell’uomo la concentrazione di LDL alla nascita è molto bassa: 40 – 50 mg/dL.
Un secondo motivo di preoccupazione è rappresentato dal timore che le dosi di statina necessarie per ridurre in misura così intensa LDL-C espongano i pazienti ad un eccessivo rischio degli effetti avversi che questi farmaci possono provocare. Si deve però considerare che, negli studi clinici sopra ricordati, le più marcate riduzioni di LDL-C non hanno comportato un significativo aumento di effetti avversi.
Per quanto riguarda l’uso delle statine, d’altra parte, si deve ricordare che questi farmaci, inibendo la HMG CoA reduttasi e quindi la produzione di Mevalonato, riducono non solo la sintesi di colesterolo ma anche quella di derivati prenilati, in particolare le proteine Rho-A e Rac-1, da cui dipende la produzione di molteplici sostanze potenzialmente causa di disfunzione endoteliale ( ET-1, PAI-1, tPA, eNOS, NAD(P)H ossidasi ed altre ancora). A queste proprietà pleiotropiche va attribuita la capacità delle statine di ridurre il rischio vascolare in tempi molto più brevi di quelli registrati con la somministrazione di colestiramina, acido nicotinico o con il by-pass ileale 4.
Attualmente, sulla base di alcuni degli studi clinici sopra ricordati, appare sempre più giustificato l’obiettivo di ridurre a valori anche molto inferiori a 100 mg/dL la concentrazione plasmatica di LDL-C nei soggetti ad alto rischio cardiovascolare e in particolare nei diabetici, come del resto suggerito dalle linee-guida ATPIII. Considerando gli effetti avversi che le alte dosi di statine possono determinare. sono in corso intense ricerche su nuovi farmaci ipocolesterolemizzanti capaci di pervenire a questo obiettavo senza esporre i pazienti agli inconvenienti propri delle statine o comunque di permetterne l’uso in associazione e perciò a dosi meno rischiose.
Fra tali ricerche sono di particolare interesse quelle relative all’inibizione dell’enzima Proprotein convertase subtilisin/kexin type 9 (PCSK9).E’ questo un enzima con attività endopeptidasica, analogo a quelli rilevati in altre specie oltre quella umana, che è inattivo appena sintetizzato per la presenza di una sezione della catena peptidica che ne impedisce l’azione. La proprotein convertase rimuove questa sezione della catena attivando l’enzima. L’interesse per PCSK9 deriva dalla sua attività nell’omeostasi del colesterolo 14 . Questa attività è dimostrata dall’osservazione di soggetti in cui il deficit di PCSK9 per difetto genetico comporta ridotti livelli di LDL-C 11. PCSK9, infatti, si lega al recettore delle LDL(LDLR) inducendone la degradazione 14. LDLR è un recettore presente sulla membrana degli epatociti che riconosce l’apolipoproteina B 100 contenuta nello strati esterno dei fosfolipidi esistenti alla superficie delle LDL, come anche l’apolipoproteina E presente nei remnants dei chilomicroni e nelle IDL Poiché questo recettore ha la funzione di legare le molecole delle lipoproteine quale prima tappa della loro endocitosi e successiva degradazione negli epatociti, l’inibizione di PCSK9 comporta maggiore attività dei LDLR e di conseguenza riduzione della concentrazione plasmatica di LDL-C.
Nel 2012 sono stati pubblicati i risultati di uno studio condotto con un anticorpo monoclonale (SAR 236553) che si lega in modo specifico a PCSK9 facendo così aumentare l’attività dei LDLR. In questo studio fu dimostrato che SAR236553 determina una riduzione di LDL-C più intensa di quella ottenuta con la somministrazione di rispetto a Atorvastatina, 80 mg/die15.
In un altro studio 183 pazienti ipercolesterolemici in cui LDL-C era stato portato stabilmente a valori ≥ 100 mg/dL durante trattamento con Atorvastatina (da 10 a 40 mg/die da almeno 6 settimane) è stato aggiunta SAR236553, somministrato per via sottocutanea ogni due settimane a dosi di 50, 100 o 150 mg ovvero ogni quattro settimane a dosi di 200 o 300 mg. A tale trattamento fu alternato quello con placebo per un totale di dodici settimane. Furono registrate riduzioni di LDL-C del 20,5%, 53,6% e e 62,9% a due settimane con le dosi di 50, 100 e 150 mg. Alla dodicesima settimana la riduzione arrivò al 39,6%, 64,2% e 72,4%. Meno efficace risultò il trattamento effettuato ogni quattro settimane12.
Un altro anticorpo monoclonale contro PCSK9, (AMG 145 Evocolumab) è stato oggetto di quattro studi di fase 2 (LAPLACE-TIMI 57 7, MENDEL 9, RUTHERFORD 13, GAUSS 18, dai quali è risultato che questo anticorpo, da solo o in associazione con terapia ipolipemizzante standard, determina una riduzione significativamente maggior di LDL-C in pazienti ad alto rischio. Dei 1.359 pazienti randomizzati in questi quattro studi 1.104 sono stati arruolati nello studio randomizzato di fase 3 Open-label Study of Long-Term Evaluation Against LDL-C (OSLER) 10. Indipendentemente dal trattamento ricevuto nel precedente studio di fase 2, i pazienti sono stati randomizzati a essere trattati per 52 settimane con una dose di Evolocumab (420 mg s.c.) ogni 4 settimane in aggiunta alla terapia standard (statina e/o ezetimibe) ovvero con la sola terapia standard. Alla 52a settimana i pazienti trattati con Evolocumab fecero registrare persistenti diminuzioni di LDL-C superiori al 52% rispetto al trattamento ipolipemizzante standard, mentre quelli trattati con terapia standard restarono ai valori di partenza. Eventi avversi furono osservati nel 73,1% dei pazienti trattati con terapia standard (di cui eventi gravi 6,3%) e nell’81.4% (di cui eventi gravi 7,1%) nei pazienti trattati con Evolocumab aggiunto al trattamento standard. Lo Studio OSLER dimostra che l’aggiunta di un anticorpo monoclonale inibitore di PCSK9 come Evolocumab permette alla maggioranza dei pazienti di giungere a valori di LDL-C < 50 mg/dL con una bassa percentuale di interruzione del trattamento per effetti avversi (3,7%). I più importanti effetti avversi (disturbi muscolari, anomalie degli indici d funzione epatica) non sono apparsi più frequenti rispetto ai pazienti trattati con la terapia ipolipemizzante standard.. Reazioni in sede di iniezione sono stati osservati nel 5,2% dei casi, mentre non è stata rilevata comparsa di anticorpi neutralizzanti, mentre quella di anticorpi leganti è risultata rara, facendo prevedere una prolungata immunogenicità e quindi efficacia di Evolocumab.
La capacità di Evolocumab di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari dovrà essere confermata da studi di esito, come il Further Cardiovascular OutcomesResearch witj PCSK9 Inhibition in Subiects with Elevated Risk (FOURIER) 6. Da tali studi dovrà anche essere chiarito il dubbio sulla possibilità di effetti negativi sul sistema nervoso centrale, dato il ruolo che PCSK) svolge sulla differenziazione delle cellule di vari tessuti e in particolare dei neuroni corticali.17.
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9 KOREN MJ, SCOTT R, KIM JB & al: Efficacy, safety, and tolerability of a monoclonal antibody to proprotein convertase subtilisin/kexin type 9 as monotherapy in patients with hypercholesterolaemia
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10 KOREN MJ, GIUGLIANO RP, RAAL FJ & al: Efficacy and Safety of Longer-Term Administration of Evolocumab (AMG 145) in Patients With Hypercholesterolemia: 52-Week Results From the Open-Label Study of Long-Term Evaluation Against LDL-C (OSLER) Randomized Trial. Circulation 2014:129,234.
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