NUOVI ANTIAGGREGANTI PIASTRINICI
Enrico Bologna
Specialista in Medicina Interna, Gastroenterologia e Patologia generale.
Già Primario Ospedale Fatebenefratelli, Isola Tiberina, Roma.
Libero docente in Patologia Medica, Università di Roma “Sapienza”.
La doppia antiaggregazione con ASA e un inibitore del recettore di ADP rappresenta l’attuale trattamento dei soggetti con sindrome coronarica acuta. Questa associazione comporta però vari inconvenienti (alto rischio residuo, sanguinamenti, variabilità imprevedibile). Per questi motivi sono allo studio numerosi nuovi farmaci diretti contro altri bersagli piastrinici (recettori, enzimi, glicoproteine). In questa nota viene presentata una breve rassegna su queste nuove molecole.
Summary
Dual antiplatelet therapy with ASA and ADP receptor inhibitors is the current standard of treatment in acute coronary syndromes. This treatment, however, is associated with important limitations (high residual risck for ischemic events, bleeding and unpredictable variability of effects). Hance newer antiplatelet drugs are in development to target other platelet receptors, enzymes and glycoproteins. A short overwiew of these new drugs is presented.
La tappa iniziale della trombosi è costituita dalla attivazione delle piastrine, che si realizza attraverso tre vie principali rappresentate 1) dalla sintesi di trombossano A2 (TXA2) a partire da acido arachidonico, sintesi mediata dalla cicloossigenasi 1 (COX-1), e dal legame di TXA2 al suo recettore; 2) dall’attivazione del recettore piastrinico P2Y12 ad opera di Adenosina disfosfato (ADP); 3) dall’attivazione del Protease-Activated Receptor-1 (PAR-1) ad opera della trombina (quest’ultimo meccanismo è considerato più potente dei due precedenti). Altri agenti che contribuiscono (peraltro in misura molto limitata) all’attivazione delle piastrine sono Adrenalina, Prostaglandina E, Serotonina e varie chemochine.
La partecipazione delle piastrine alla formazione del trombo, di cui sono il principale costituente, avviene in tre fasi. Quella iniziale è rappresentata dalla adesione e dalla distensione delle piastrine sulle fibre collagene presenti nel subendotelio, quando queste vengono esposte al flusso sanguigno in conseguenza di un danno endoteliale. Sulla superficie piastrinica si trovano almeno tre tipi di glicoproteina che agiscono come recettori sensibili al collageno. L’adesione è determinata prevalentemente dall’interazione diretta del collageno con la glicoproteina piastrinica GP Ib/V/IX e il fattore con Willebrand (vW), mentre l’interazione tra collageno subendoteliale e recettori piastrinici GP VI e GP Ia-IIa, che induce la liberazione dalle piastrine adese di ADP e TXA2, mentre l’attivazione di GP IIb/IIIa, cioè del recettore ad alta affinità per il fibrinogeno, stabilizza l’adesione con altre piastrine e con la parete vascolare13. La seconda fase (estensione), fondamentale per il processo trombotico come per quello emostatico, è indotta dall’ADP e dal TXA2 liberate nella fase iniziale, che richiamano altre piastrine circolanti, e dalla trombina, da cui dipende la trasformazione del fibrinogeno in fibrina. L’attivazione delle piastrine da parte di ADP e TXA2 avviene per interazione con i recettori piastrinici P2Y1 e P2Y12 per ADP, TPα e TPβ per TXA2,
; a questa interazione cui consegue anche diminuzione di cAMP piastrinico e potenziamento dell’attivazione di GPIIb/IIIa32. La trombina, che agisce legandosi al Protease-Activated Receptor (PAR-1), è l’agonista piastrinico più potente; la capacità attivante sulle piastrine si realizza a concentrazioni di gran lunga inferiori a quelle richieste per l’attivazione della cascata emocoagulativa12 33.
La terza fase (perpetuazione) è costituita dall’aggregazione piastrinica con espressione di sostanze procoagulative ed infiammatorie che danno luogo al trombo costituito da un core piastrinico circondato da un coagulo ricco di fibrina17.
Ben prima che questi aspetti della fisiopatologia piastrinica fossero noti, il trattamento antiaggregante piastrinico ha preso le mosse da una osservazione compiuta nel 1950 da un medico di famiglia californiano, il dott. Lawrence Craven, che aveva rilevato una elevata frequenza di emorragie in soggetti tonsillectomizzati che a scopo antalgico facevano un uso eccessivo di Aspergum, tavolette di gomma da masticare contenenti 227 mg di acido acetilsalicilico (ASA). Egli prescrisse allora l’uso quotidiano di Aspergum a 8.000 soggetti considerati a rischio vascolare, rilevando in costoro una bassissima frequenza di eventi trombotici. La mancanza di un gruppo di controllo e la pubblicazione su riviste poco diffuse impedì a questa osservazione di essere considerata dalla comunità medica28. Va ricordato peraltro che osservazioni analoghe – e analogamente non controllate - erano venute, nello stesso periodo, da country physicians statunitensi relativamente a pazienti con artrite reumatoide trattati a lungo con elevate dosi di ASA, nei quali gli eventi vascolari erano particolarmente rari. Solo negli anni ’60 la dimostrazione in vitro dell’azione antiaggregante di ASA aprì la via alle sperimentazioni e all’uso clinico del farmaco.
Il trattamento antipiastrinico nella prevenzione primaria e secondaria della malattia aterotrombotica si basa attualmente, oltre che sull’uso di ASA, che inibisce la sintesi di TXA2, di vari antagonisti del recettore di ADP (P2Y12) quali Ticlopidina, Clopidogrel ed i più recenti Prasugrel e Ticagrelor cui sta per aggiungersi una nuova molecola, Elinogrel. Nelle sindromi coronariche acute e negli interventi percutanei sulle coronarie con o senza inserimento di stent la doppia antiaggregazione (ASA e un antagonista di P2Y12) costituisce l’attuale standard di trattamento, che però protegge solo parzialmente dalla ricorrenza di eventi trombotici. Vari importanti studi clinici hanno infatti dimostrato che queste associazioni sono gravate da un rilevante (circa 80%) rischio residuo di morte cardiovascolare, di infarto del miocardio o di ictus cerebrale, oltre che da un significativo rischio emorragico; quest’ultimo peraltro si osserva anche con l’uso di sola ASA a basse dosi34. Nella doppia antiaggregazione sanguinamenti maggiori possono verificarsi anche nel 2% dei casi e comportare un rilevante aumento della letalità. Questo rischio emorragico dipende dal fatto che l’inibizione dei recettori di TXA2 e ADP ostacola le fasi iniziali dell’attivazione piastrinica da cui dipende non solo la trombosi ma anche l’emostasi3 39 40 42. E’ anche necessario ricordare che, in una ricerca compiuta su 15.603 pazienti con malattia cardiovascolare in atto o con molteplici fattori di rischio seguiti per una mediana di 28 mesi il trattamento con ASA (76-162 mg/die) e Clopidogrel (75 mg/die) non ha mostrato significativi vantaggi rispetto al trattamento con solo ASA in termini di riduzione di infarto del miocardio, ictus o morte per cause cardiovascolari4.
L’incapacità di ottenere una più soddisfacente prevenzione antitrombotica con la doppia antiggregazione può essere attribuita a vari fattori, fra cui la presenza in circa il 10% della popolazione di polimorfismi genetici che modificano l’espressione di COX-1 rendendo meno efficace l’azione di ASA21.
Altri polimorfismi, la cui prevalenza varia secondo le etnie, riducono la capacità dell’isoenzima CYP2C19 di trasformare Ticlopidina e Clopidogrel nel metabolita attivo27.
Altra e probabilmente più frequente causa può essere rappresentata dalle interazioni che Ticlopidina e Clopidogrel (ma non gli altri antagonisti di P2Y12) subiscono ad opera di vari farmaci, in particolare degli antiacidi inibitori della pompa protonica, ampiamente utilizzati per la protezione gastrica, che inibiscono CYP2C19. Il motivo principale è però rappresentato dall’incapacità della doppia antiaggregazione con ASA e antagonisti di P2Y12 di ostacolare gli altri meccanismi di attivazione piastrinica e in particolare quello innescato dalla trombina, che è considerato il più potente.
Per la difficoltà o l’impossibilità di evitare le cause di insufficiente efficacia del trattamento con gli antipiastrinici attualmente disponibili la ricerca si è rivolta verso altri bersagli, primo fra tutti quello rappresentato dall’azione pro-aggregante della trombina.
La trombina, originata dalla scissione della protrombina ad opera del fattore Xa, è una serina-proteasi tripsino-simile che svolge un ruolo fondamentale nella cascata emocoagulativa convertendo il fibrinogeno solubile in fibrina; la trombina inoltre agisce sulle piastrine di cui promuove l’aggregazione attivando specifici recettori di membrana (Protease-Activated Receptors, PAR) accoppiati alla Proteina G (G-Protein Coupled Receptors, GCPR). A differenza da tutti gli altri GCPR, che vengono attivati dal legame con un agonista solubile, i PAR sono attivati dalla scissione proteolitica del terminale azoto che scopre un ligando ancorato al recettore da cui origina l’invio del segnale1. L’attuale alto interesse per questi recettori deriva da ricerche sperimentali che hanno dimostrato che i PAR sono determinanti per le fasi di estensione e di perpetuazione del processo trombotico, mentre non intervengono nell’adesione piastrinica facente parte della fase iniziale dell’emostasi e della trombosi, né interferiscono con la formazione di fibrina. La speranza di ottenere una maggiore inibizione piastrinica senza incorrere in un eccessivo rischio di sanguinamento ha spinto a ricercare farmaci antagonisti dei PAR.
Nell’uomo sono stati finora identificati 4 tipi di PAR: essi sono presenti sulle cellule endoteliali, sulle cellule muscolari lisce vascolari, sulle piastrine e su altre cellule circolanti. PAR-1 e PAR-4 sono espressi sulle piastrine e sono entrambi attivati dalla trombina; il ruolo funzionale di PAR-3, anch’esso attivato dalla trombina, non è stato ancora definito mentre PAR-2 non è attivato dalla trombina24 25 38.
Benché tanto PAR-1 quanto PAR-4 sia in grado di indurre secrezione e aggregazione piastrinica, l’interesse si è diretto quasi esclusivamente verso PAR-1 in quanto questo recettore è capace di attivare le piastrine a concentrazioni di trombina cento volte minori rispetto a PAR-48.
Due inibitori selettivi di PAR-1 attivi per via orale sono attualmente in studio: Vorapaxar (SCH530348, Merck), oggetto di due ricerche di fase III, mentre Atopaxar (E5555, Eisai) è in corso di valutazione in studi di fase II.
Vorapaxar (3-fenilpiridina triciclica sintetica), è un antagonista competitivo non peptidico di PAR-1 caratterizzato da elevata selettività e basso peso molecolare. Per la sua specificità non ostacola l’aggregazione indotta da altri agenti quali ADP, acido arachidonico o collageno e pertanto non impedisce l’intervento delle piastrine nell’emostasi 23.
Nello studio di fase II Trombin Receptor Antagonist Percutaneous Coronary Intervention (TRA-PCI) sono state valutate la sicurezza e l’efficacia di Vorapaxar (alle dosi di 10, 20 e 40 mg il primo giorno, seguite da dosi giornaliere di 0,5, 1,0 e 2,5 mg per 59 giorni) associato a trattamento standard (ASA, Clopidogrel ed eparina o bivalirudina) in pazienti destinati a trattamento coronarico percutaneo non urgente. Gli effetti di questa associazione sono stati confrontati con quelli del solo trattamento standard2. Nei pazienti successivamente sottoposti a PCI non si sono rilevate differenze significative nella comparsa di emorragie maggiori o minori tra quelli trattati con associazione standard e quelli con associazione standard e Vorapaxar. Benché lo studio non fosse progettato per la valutazione degli esiti clinici ma solo della sicurezza, eventi cardiovascolari maggiori sono stati registrati nell’8,6% dei soggetti trattati con associazione standard e nel 5,7% di quelli che avevano ricevuto anche Vorapaxar, con una differenza peraltro non significativa. In questo stesso studio è stato inoltre dimostrato che una elevata inibizione (≥80%) dell’aggregazione piastrinica viene più rapidamente ottenuta con la dose di carico di 40 mg di Vorapaxar, mentre l’inibizione stessa viene mantenuta per tutto il periodo di studio con dosi giornaliere di 1,0 e 2,5 mg. Meno rapida ma altrettanto intensa e durevole è l’inibizione ottenuta senza dose di carico e con dosi giornaliere di 2,5 mg25.
Risultati analoghi a quelli osservati nello studio TRA-PCI sono stati ottenuti in uno studio giapponese di fase II su soggetti con sindrome coronarica acuta senza elevazione di ST destinati a PCI: il rischio emorragico è apparso simile nei soggetti trattati con terapia antiaggregante standard con o senza Vorapaxar, mentre la frequenza di infarto del miocardio non fatale è risultata significativamente minore (16,9% contro 42,9%, p<0,013) nei pazienti trattati anche con Vorapaxar20.
Nell’aprile 2012 sono stati pubblicati i risultati di uno studio di prevenzione secondaria condotto con Vorapaxar in 26.449 pazienti con storia di infarto del miocardio, ictus cerebrale o arteriopatia periferica destinarti ad essere trattati per una mediana di 30 mesi con il farmaco alla dose di 2,5 mg/die, o con placebo. L’end point composito primario di efficacia era rappresentato da morte per cause cardiovascolari, infarto del miocardio o ictus. Al termine del secondo anno il comitato di controllo ha raccomandato l’interruzione dello studio in pazienti con pregresso ictus per rischio di emorragia cerebrale. Al termine della ricerca l’end point primario si era verificato nel 9,3% dei pazienti trattati con Vorapaxar contro il 10,7 nei controlli (p< 0,001). Considerando anche gli eventi coronarici richiedenti rivascolarizzazione gli eventi furono osservati nell’11,2% dei pazienti trattati con Vorapaxar contro il 12,4% nei controlli. Sanguinamenti lievi o moderati furono registrati nel 4,2% dei trattati contro il 2,5% dei controlli (p<0,001); fu rilevato in particolare un aumento delle emorragie cerebrali nei trattati rispetto ai controlli (1,0% contro 0,5%, p<0,001)29. In base a questi risultati Vorapaxar appare capace di ridurre il rischio di morte cardiovascolare e di eventi ischemici al prezzo di un aumentato rischio di sanguinamenti, incluse emorragie cerebrali.
Atopaxar, un altro antagonista di PAR-1, è stato oggetto di due studi clinici di fase II pubblicati nel 2011. La sicurezza e l’efficacia di questo inibitore di PAR-1 sono state valutate nello studio J-Lancelot , in cui sono stati arruolati 241 pazienti con sindrome coronarica acuta e 263 soggetti ad alto rischio coronarico randomizzati a ricevere terapia standard e Atopaxar o terapia standard e placebo. Nei pazienti con sindrome coronarica acuta il trattamento con Atopaxar (tutte le dosi) si è associato ad una frequenza di emorragie maggiori, minori e minime simile a quella osservata nei soggetti trattati con placebo (5,0% contro 6,6%); analoga osservazione è stata compiuta nei pazienti ad alto rischio coronarico (emorragie di tutte le entità nell’1,5% nei trattati e nei controlli). Nei pazienti che avevano ricevuto Atopaxar si è inoltre rilevata una maggiore frequenza di elevazione delle transaminasi rispetto ai controlli (23,3% contro 11,5% nei pazienti con sindrome coronarica acuta e 10,2% contro 1,5% nei pazienti coronaropatici, ma in entrambi i casi la differenza non ha raggiunto la significatività statistica). Il trattamento con Atopaxar si è inoltre associato ad un aumento parzialmente dose-dipendente del QTc che è risultato significativo nei soggetti coronaropatico (p=0.03) e non in quelli con sindrome coronarica acuta (p= 0,074)19.
Nello studio LANCELOT ACS sono state valutate la sicurezza e l’efficacia di Atopaxar associato a trattamento standard (ASA e Clopidogrel o Ticlopidina) in confronto con placebo associato a trattamento standard. La ricerca è stata condotta su 603 pazienti con sindrome coronarica acuta senza elevazione di ST. Il trattamento con Atopaxar non si è associato a significativi aumento delle emorragie, ma nemmeno ad una significativa diminuzione degli eventi vascolari; solo il rilievo di ischemia all’ECG sec. Holter è risultato significativamente più raro nei soggetti trattati con Atopaxar (18,7% contro 28,1% nei controlli, p=0,02). Anche questo studio ha mostrato una elevazione dose-dipenfente delle transaminasi, mentre alle dosi più alte di Atopaxar (100 e 200 mg) è stato osservato un significativo allungamento del QTc31.
Da una recente metanalisi condotta su 41.647 pazienti arruolati in otto studi clinici controllati risulta che la somministrazione di antagonisti di PAR-1 si associa ad un significativo (p<0,001) rischio di emorragie di tutte le entità. Ugualmente significativa è la riduzione di infarto del miocardio, ma non quella di morte o di ìctus6. Ancora più negativi i risultati di un’altra recente metanalisi relativa a 42.355 pazienti arruolati in sette studi clinici controllati, dalla quale risulta che la somministrazione di un antagonista di PAR-1 comporta una riduzione non significativa della letalità ma un aumento significativo dei sanguinamenti9.
Visti i risultati delle sperimentazioni fino ad oggi compiute, la possibilità di ottenere una efficace antiaggregazione senza rischi emorragici con l’uso degli antagonisti di PAR-1 deve considerarsi preclusa? Per rispondere a questa domanda bisogna considerare che PAR-1 rimane un bersaglio promettente per il trattamento antitrombotico, ma anche che i recettori piastrinici della trombina svolgono ruoli molteplici nell’emostasi. I PAR sono infatti mediatori di altri effetti svolti dalla trombina, al momento meno ben definiti, come la regolazione del tono arterioso e dell’angiogenesi, l’espressione di geni tra cui quello del fattore tessutale, dell’attivatore del plasminogeno PAI-1 e di altri ancora10 14 26 37. Particolarmente importante - quanto finora poco considerato - appare il ruolo protettivo svolto dai PAR nei confronti della barriera endoteliale; questa protezione potrebbe venire annullata dall’inibizione globale dai PAR ottenuta con le molecole finora utilizzate ed esprimersi clinicamente con eventi emorragici. Si è accertato, infatti, che l’attivazione di PAR-1 ad opera di proteinasi diverse determina risposte differenti, e che alcune di queste possono consistere in alterazioni della struttura o della permeabilità endoteliali. Lo sviluppo di antagonisti di PAR-1 capaci di inibire selettivamente i segnali che inducono attivazione delle piastrine senza interferire con quelli che controllano l’integrità anatomo-funzionale dell’endotelio è certamente un obiettivo ambizioso, ma probabilmente obbligato per ottenere antagonisti di PAR-1 utilizzabili clinicamente in buona sicurezza35.
Una tappa importante in tutte le fasi della partecipazione delle piastrine alla trombogenesi è rappresentata dalla interazione con il collageno; per questo motivo sono allo studio farmaci capaci di ostacolare questa interazione. Come accennato, sulla superficie delle piastrine esistono almeno tre tipi di recettori che si legano al collageno: essi comprendono GP Ib/IX (che insieme al fattore vW forma un ponte tra le piastrine e le fibre collagene sub endoteliali scoperte dal danno endoteliale); GP Ia-IIa (che è il recettore principale per l’adesione) e GP VI (che interviene nell’attivazione delle piastrine). In studi sperimentali compiuti nel babbuino un anticorpo monoclonale murino che blocca il legame fra GP VI e fattore vW ha dimostrato di possedere una potente azione antitrombotica non accompagnata da sensibile rischio di emorragie o di trombocitopenia; questo anticorpo è pertanto destinato ad ulteriori studi18. Altri agenti in studio sono diretti contro GP Ib: si tratta di una proteina chimerica ricombinante e di un anticorpo monoclonale la cui efficacia appare promettente negli studi sperimentali7. Nell’intento di inibire l’interazione tra piastrine e collageno sono allo studio anche anticorpi monoclonali diretti contro specifici domini /sequenze/ del fattore vW; anche questi sembrano offrire una efficace azione antiaggregante senza rischi di sanguinamento15 16.
Tentativi di inibire il recettore di TXA2 (TPα) sono stati operati con vari farmaci. Teutrobant (S18886), inibitore reversibile di TPα attivo per os, in studi preclinici si è dimostrato capace di inibire la formazione del trombo provocando solo un moderato aumento del tempo di sanguinamento, ma non di ridurre l’estensione dell’infarto sperimentalmente indotto22. In un successivo studio di fase III (PERFORM) in cui Terutrobant è stato somministrato in associazione con ASA e confrontato con sola ASA il farmaco non ha soddisfatto i criteri di non inferiorità rispetto ad ASA in termini di efficacia e di sicurezza5.
Altri due inibitori di TPα (Z-335 e BM-573) sono in fase iniziale di valutazione11 41.
In conclusione, allo stato attuale della ricerca non sembra essere prossima la disponibilità di nuovi antiaggreganti capaci di svolgere una efficace prevenzione antitrombotica senza esporre i pazienti ai rischi di sanguinamento come anche a quelli di inefficacia. Fino a quando nuove molecole con tali caratteristiche non saranno entrate in uso, entrambi questi rischi resteranno inevitabili, ma potranno almeno in parte essere prevenuti con una attenta gestione del trattamento antipiastrinico, cioè evitando le interazioni farmacologiche e ove possibile utilizzando i metodi di valutazione dell’attività piastrinica adatti all’uso clinico. In casi particolari potrà essere utile la ricerca di polimorfismi genetici responsabili di ipo- o iperresponsività ai diversi antiaggreganti.
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