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I nuovi anticoagulanti

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I nuovi anticoagulanti

Enrico Bologna

Specialista in Medicina Interna, Gastroenterologia e Patologia generale.
Già Primario Ospedale Fatebenefratelli, Isola Tiberina, Roma.
Libero docente in Patologia Medica, Università di Roma “Sapienza”.


Riassunto

Gli inconvenienti del trattamento anticoagulante in prevenzione cardiovascolare sono rappresentati per i cumarinici dalla necessità di controllo periodico di laboratorio a causa delle variazioni individuali della farmacocinetica e dalle numerose interazioni alimentari e farmacologiche e, per le eparine, dalla necessità di somministrazione parenterale. Sono stati resi recentemente disponibili nuovi anticoagulanti orali  (Apixaban, Dabigatran and Rivaroxaban) efficaci almeno quanto i cumarinici ma molto più maneggevoli anche se notevolmente più costosi. Di queste molecole sono qui descritte le principali caratteristiche farmacologiche e i risultati clinici.

Summary

Traditional anticoagulants used for prevention or treatment of thromboembolic disease have limitations: narrow therapeutic index, drug and food interactions requiring periodic laboratory monitoring for cumarin derivatives, parenteral administration for heparins. Newer oral anticoagulants  acting by direct inhibition of Thrombin and Factotor Xa (Apixaban, Dabigatran and Rivaroxaban) have been shown to have  a more favourable bleeding profile than Warfarin and at least as efficacious, but much more expensive. The main pharmacologic and clinical properties are here reported.

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Gli anticoagulanti che da oltre mezzo secolo vengono utilizzati per la prevenzione o il trattamento delle malattie tromboemboliche sono i derivati cumarinici (Warfarina e Acenocumarolo), che ostacolano la coagulazione in quanto antagonisti della Vit. K), e l’eparina con i suoi omologhi che, legandosi all’Antitrombina III, inattivano vari fattori della coagulazione. I cumarinici, accanto al vantaggio di essere attivi per via orale, presentano l’inconveniente di una stretta finestra terapeutica tra efficacia anticoagulante e rischio emorragico; essi sono inoltre gravati non solo da profonde differenze interindividuali della cinetica dovute a varianti genomiche degli enzimi metabolizzanti del sistema P450, soprattutto di CYP2C9, ma anche da molteplici interazioni farmacologiche ed alimentari. I pazienti che ne fanno uso sono perciò costretti a frequenti controlli di laboratorio, oltre che a limitazioni alimentari ed a rischi in caso di molti altri trattamenti farmacologici; ma nonostante queste cautele, il mantenimento dei valori di INR entro l’intervallo raccomandato (2,0 – 3,0) è ottenuto in poco più della metà dei casi. D’altra parte tutte le eparine, accanto alla necessità di somministrazione parenterale, sono meno efficaci nell’inattivare la trombina presente nel trombo, che può continuare ad accrescersi durante il trattamento. Particolarmente rilevanti sono le limitazioni dell’eparina non frazionata, dipendenti da variabile biodisponibilità e da imprevedibili anomalie di legame alle proteine plasmatiche e ai siti di azione.

Per questi motivi grande impegno è stato posto nella ricerca di nuovi anticoagulanti orali, e varie nuove molecole sono state poste in commercio o sono in avanzata fase di sperimentazione; in Italia due di queste molecole sono disponibili, pur con limitazioni normative all’impiego. Esse sono Dabigatran, inibitore diretto della trombina, e Rivaroxaban, inibitore diretto del fattore Xa. Nella fig. 1, ove il fenomeno della emostasi è sintetizzato graficamente, sono indicati i punti di azione di queste molecole.

I problemi di efficacia ed i rischi posti dal trattamento anticoagulante derivano dal fatto che gli eventi tromboembolici sono determinati, oltre che dall’avvio della  cascata emocoagulativa, da altri due processi che hanno luogo contemporaneamente ad essa, rappresentati dall’attivazione delle piastrine e dalla fibrinolisi. Queste tre componenti, anche se arbitrariamente trattate in modo separato soprattutto con finalità didattiche, sono strettamente collegate le une alle altre. Ad esempio, i due complessi di fattori coagulativi (Xa, Va, protrombina e  rispettivamente IXa, VII, X) vengono assemblati sulla superficie delle piastrine attivate, ove accelerano la generazione degli enzimi in forma attiva e dove trovano protezione dagli inibitori della coagulazione. Inoltre le piastrine contengono grandi quantità di inibitore dell’attivatore del plasminogeno tessutale (Plasminogen Activator Inhibitor-1, PAI-1), il che spiega la resistenza che il trombo arterioso, particolarmente ricco in piastrine, offre alla lisi da parte di Urochinasi o dell’attivatore tessutale del plasminogeno (tissue Plasminogen Activator, tPA). Per tali motivi la ricerca di nuovi anticoagulanti si è diretta verso molecole  capaci di agire in modo selettivo e specifico su singoli componenti della cascata emocoagulativa, in particolare Trombina e Fattore Xa.

Fig. 1. Schema della cascata coagulativa (Modif. da Ferguson JJ & al, Eur Heart J1998, Suppl D:D3-9.).

FT: fattore tessutale; PK: precallicreina; Kapm: callicreina ad alto peso molecolare; FL: fosfolipidi;

T: trombina.

 

INIBITORI DIRETTI DELLA TROMBINA

La Trombina, enzima finale della cascata emocoagulativa, è bersaglio di varie molecole anticoagulanti che su di essa svolgono il proprio effetto indirettamente, cioè interagendo con antitrombina III o con diversi cofattori (come è il caso di Eparina, Eparine a basso peso molecolare, Fondaparinux) ovvero direttamente sul sito attivo della Trombina. Alcune di queste ultime molecole (Desirudina, Lepirudina, Bivalirudina, Argatroban), non disponibili in Italia, sono attive solo per via parenterale e possono rendersi responsabili della produzione di anticorpi con imprevedibili conseguenze sull’effetto o con reazioni anafilattoidi; due di esse )Lepirudina e Argatroban), d’altra parte, trovano utile impiego nel trattamento della trombocitopenia indotta da Eparina. Di particolare interesse sono oggetto gli inibitori diretti della Trombina attivi per os. Uno di questi, Ximelagatran, pur essendosi dimostrato non inferiore rispetto a Warfarina nella prevenzione degli ictus in soggetti con fibrillazione atriale non valvolare, non è stato immesso in commercio per epatotossicità, che in alcuni casi ha avuto esito fatale (1; 15). La ricerca ha però messo a disposizione un altro inibitore diretto della Trombina che si è dimostrato privo di effetti avversi sul fegato: Dabigatran.

Dabigatran etexilato è un profarmaco che viene convertito da esterasi non specifiche nella forma attiva che si lega alla Trombina con alta affinità e specificità. L’emivita plasmatica è 12-14 ore e l’effetto massimo è raggiunto 2-3 ore dopo la somministrazione. L’eliminazione avviene prevalentemente dal rene; perciò le dosi devono essere ridotte nei nefropatici e negli anziani e l’uso del farmaco è controindicato quando il filtrato glomerulare è inferiore a 30 mL/min. Il farmaco (Pradaxa Boehringer Ingelheim, cp 75 e 110 mg) è stato approvato dalla Commissione Europea il 4 agosto 2011 per la prevenzione dell’ictus in soggetti con fibrillazione atriale non valvolare ed almeno un altro fattore di rischio per ictus. La dimostrazione dell’efficacia di Dabigatran etexilato in questa indicazione è stata data dallo studio RE–LY (Randomized Evaluation of Long–term anticoagulant therapy) (10), Si tratta di uno studio internazionale multi-centrico, randomizzato in doppio cieco  a gruppi paralleli che ha confrontato due dosi somministrate in cieco di Dabigatran etexilato (110 mg e 150 mg due volte al giorno) rispetto a warfarina in aperto. Nello studio sono stati randomizzati in totale 18.113 pazienti, con un'età media di 71,5 anni e un punteggio CHADS2 medio di 2,1. Per i pazienti randomizzati a Warfarina, la percentuale media del tempo nell'intervallo terapeutico di INR (valori compresi fra 2 e 3) era del 64,4 %. Lo studio RE–LY ha dimostrato che Dabigatran etexilato, alla dose di 110 mg due volte al giorno, non è inferiore a Warfarina nella prevenzione dell'ictus e dell'embolia sistemica in soggetti con fibrillazione atriale, mentre comporta un rischio minore di emorragie intracraniche, di sanguinamenti totali e di sanguinamenti maggiori. La dose di 150 mg due volte al giorno è risultata significativamente più efficace rispetto a Warfarina nel ridurre il rischio di ictus ischemico o emorragico, di morte vascolare, di emorragie intracraniche, di sanguinamenti totali. La prevalenza di sanguinamento maggiore nei pazienti trattati con questa dose non differiva significativamente da quella registrata con Warfarina.

Una metanalisi di tre studi clinici ha dimostrato che Dabigatran, alla dose di 220 mg al giorno, non è inferiore a Enossaparina 40 mg/die per la prevenzione del tromboembolismo venoso dopo interventi di artroplastica del ginocchio e dell’anca, con un profilo di tossicità analogo (20). Nello studio di non inferiorità randomizzato e in doppio cieco RE-COVER, condotto su 2.539 pazienti con tromboembolia venosa acuta, l’effetto di Dabigatran (150 mg b. i. d.) è stato confrontato con quello di Warfarina (19). I risultati hanno dimostrato che una dose fissa di Dabigatran ha la stessa efficacia e lo stesso profilo di sicurezza di Warfarina nel trattamento del tromboembolismo acuto, senza richiedere controlli di laboratorio.

A differenza di Warfarina, la cui azione può essere interrotta somministrando Vit. K, per Dabigatran non esiste un antidoto. In caso di emorragia grave possono essere utilizzati concentrati di complesso protrombinico. La somministrazione di carbone attivato può essere utilizzata per impedire l’assorbimento del farmaco ancora presente nell’intestino. Comunque la sospensione del trattamento, data l’emivita di eliminazione di 12-14 ore, riporta alla norma il tempo di coagulazione più rapidamente rispetto a Warfarina.

Dabigatran, profarmaco la cui biotrasformazione non dipende dal sistema P450 e che pertanto non espone a rischi di interazione con farmaci inducenti o inibenti gli enzimi di tale sistemR, è però substrato della pompa di efflusso glicoproteina P (PgP), presente nell’epitelio intestinale, nei canalicoli biliari e nei tubuli renali, nei cui confronti molti farmaci esercitano azione inducente (Rifampicina, Fenotiazine, antipsicotici, immunosoppressivi, antimalarici) o inibente (calcio-antagonisti, antiaritmici, Ketoconazolo, Amiodarone, Claritromicina). Il farmaco è sensibile all’umidità che ne accelera la degradazione e deve perciò essere conservato in modo appropriato. In assenza di insufficienza renale e di interazioni l’effetto anticoagulante è ben prevedibile e non richiede controlli di laboratorio.

INIBITORI DEL FATTORE Xa

L’inibizione del fattore Xa può essere ottenuta sia in via indiretta con molecole iniettabili di origine biologica o di sintesi, attualmente in fase di studio (Idraparinux, Eparine a bassissimo peso molecolare), sia con inibitori diretti attivi per via orale (Rivaroxaban, Apixaban).

Rivaroxaban (Xarelto Bayer, cp 10 mg) è un inibitore diretto altamente selettivo che presenta buona biodisponibilità orale (80%), picco di concentrazione dopo 2,5-4 ore dalla somministrazione ed effetto abbastanza prolungato e prevedibile (salvo in caso di insufficienza epatica) da consentirne la monosomministrazione giornaliera senza controlli di laboratorio.  La cinetica del farmaco è prevedibile indipendentemente da età, genere, razza e peso. Il farmaco ha una struttura chimica analoga agli ossazolidinoni, ma nonostante la stretta somiglianza strutturale con Linezolid è del tutto privo di attività antibiotica.

 Rivaroxaban è substrato della glicoproteina P e viene in parte metabolizzato da CYP3A4; la biodisponibilità del farmaco viene pertanto aumentata da tutti i potenti inibitori di questi due sistemi (antimicotici azolici, inibitori delle proteasi HIV), con accresciuto rischio emorragico. Gli induttori di glicoproteina P e di CYP3A4 (Rifampicina, Fenitoina, Carbamazepina, Fenobarbital), per contro, ne riducono biodisponibilità ed efficacia.

Nel settembre 2008 la Commissione europea ne ha autorizzato l’uso per la prevenzione del tromboembolismo venoso dopo chirurgia elettiva del ginocchio e dell’anca. Nel settembre 2011 la FDA ne ha raccomandato l’approvazione per la prevenzione dell’ictus in  soggetti con fibrillazione atriale.

Quattro studi clinici di fase III (Studi RECORD), relativi a un totale di oltre 12.000 pazienti, hanno dimostrato che Rivaroxaban (10 mg/os al giorno) ha efficacia non inferiore e forse superiore rispetto di 40 mg di enossaparina per la prevenzione di tromboembolie in soggetti sottoposti a chirurgia sostitutiva del ginocchio o dell’anca. Nei soggetti trattati con Rivaroxaban, d’altra parte, il rischio di sanguinamento è risultato maggiore e nei 6.000 pazienti trattati è stato registrato un caso di morte per tossicità epatica (7;12;13;20; 21).

 Una recentissima ricerca condotta su oltre 14.000 pazienti con fibrillazione atriale non valvolare arruolati in 1.178 centri di 45 paesi ha dimostrato che nella prevenzione di ictus ischemici o di eventi embolici sistemici Rivaroxaban non è inferiore a Warfarina, rispetto alla quale è meno spesso causa di emorragie intracraniche e di emorragie maggiori (16). Rivaroxaban è in corso di studio (fase III) anche per la prevenzione del tromboembolismo venoso in pazienti ospedalizzati per malattie mediche acute e di eventi cardiovascolari maggiori in soggetti con sindrome coronarica acuta.

Per il trattamento della trombosi venosa Rivaroxaban  (15 mg b.i.d. per tre settimane, poi 20 mg/die) è stato confrontato con Enossaparina seguita da Warfarina o Acenocumarolo per 3, 6 o 9 mesi in pazienti con trombosi venosa profonda acuta sintomatica. Lo studio fu completato con un confronto Rivaroxaban/placebo per ulteriori 6 o 12 mesi. L’efficacia di Rivaroxaban è risultata non inferiore rispetto al trattamento con cumarinici; nella continuazione del trattamento (602 pazienti) in confronto con placebo (594 pazienti) l’efficacia è risultata significativamente maggiore, con 4 casi di emorragia maggiore non fatale (6).

Attualmente è in corso lo studio multicentrico (52 paesi) MAGELLAN, relativo a pazienti medici acuti ultraquarantenni a rischio tromboembolico per insufficienza cardiaca o respiratoria o per infezioni. Verranno confrontati  Rivaroxaban (10 mg u.i.d, per 35±4 giorni) ed Enossaparina (40 mg  u.i.d  per 10±4 giorni ) relativamente alla capacità di prevenire trombosi venose profonde, embolie polmonari e letalità correlata; nel luglio 2010 erano stati arruolati già oltre 8.000 pazienti (3; 11).

Apixaban è un inibitore diretto del fattore Xa con rapido assorbimento dopo somministrazione orale, emivita di eliminazione di 12 ore ed escrezione per il 20-30% renale e 45-55% fecale. Come Rivaroxaban è’ substrato della glicoproteina di trasporto P e dipende per la biotrasformazione da CYP3A4/5 e in minor misura da CYP1A2 (17). In 5.600 pazienti con fibrillazione atriale che per vari motivi non potevano far uso di Warfarina, Apixaban è stato confrontato con Aspirina nello Studio AVARROES, dimostrandosi capace, rispetto a questa, di ridurre il rischio di ictus o di embolia sistemica del 55% senza un rischio significativamente maggiore di emorragia. Lo studio fu interrotto precocemente per un evidente vantaggio di Apixaban (4).

Successivamente Apixaban, alla dose di 5 mg b.i.d.,  è stato oggetto di confronto, in uno studio randomizzato in doppio cieco (ARISTOTLE), con Warfarina a dose tale da mantenere INR fra 2,0 e 3,0 in 18.200 pazienti con fibrillazione atriale e almeno un altro fattore di rischio per ictus. I pazienti sono stati seguiti per una mediana di 1,8 anni; gli eventi considerati sono stati ictus ischemico o emorragico, embolie periferiche, episodi emorragici e morte per tutte le cause. In questi pazienti Apixaban è risultato significativamente superiore rispetto a Warfarina per  tutti questi eventi (9) Il 18 maggio 2011 La Commissione europea ha concesso alla Bristol-Myers Squibb/Pfizerl’autorizzazione all'immissione in commercio di Apixaban (Eliquis, cp 2,5 mg).

Un nuovo inibitore diretto del fattore Xa, Edoxaban (Diichi Sankyo), è stato recentemente presentato per l’immissione in commercio per la prevenzione della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare dopo interventi di chirurgia ortopedica maggiore. In questa indicazione Edoxaban (30 mg u.i.d.) è risultato non inferiore a Enossaparina (20 mg b.i.d) sia ai fini di prevenzione sia relativamente al rischio di eventi emorragici.

Attualmente sono in corso due studi di fase III. In uno Edoxaban è somministrato in due diversi dosaggi a confronto con Warfarina in oltre 21.000 soggetti con fibrillazione atriale, arruolati in oltre 1.400 siti in nord e sud America, Africa, Asia, Europa, Australia e Nuova Zelanda. L'arruolamento è iniziato alla fine del 2008 e la fine dello studio è prevista per la prima metà del 2012 (18).

In un altro studio  il farmaco sarà confrontato in 45 paesi con Eparina b.p.m./Warfarina nella prevenzione della tromboembolia venosa ricorrente in 7.500 soggetti con trombosi venosa profonda e/o embolia polmonare (HOKUSAI VTE trial) (2).

L’impiego di tutti gli anticoagulanti comporta un aumentato rischio di emorragia. Mentre per cumarinici ed eparina il deficit coagulativo può essere corretto somministrando un antidoto (Vit. K, plasma fresco e complesso protrombinico per Warfarina; Protamina per Eparina), dei nuovi anticoagulanti solo per Rivaroxaban è possibile correggere rapidamente il deficit coagulativo con l’infusione di complesso protrombinico concentrato, che risulta invece inefficace per Dabigatran (5)

In caso di emorragia nei soggetti trattati con le altre molecolesi può ricorrere ad agenti emostatici (antifibrinolitici, fattore VII ricombinante) o a metodiche di rimozione (emodialisi, emoperfusione, plasmaferesi).

Una valutazione completa e attendibile dei nuovi anticoagulanti orali non è probabilmente ancora possibile, soprattutto considerando che si tratta di farmaci destinati a trattamenti la cui durata è di gran lunga maggiore rispetto a quella delle sperimentazioni finora condotte. E’ però già possibile formulare alcune considerazioni. Sappiamo che gli eventi embolici di origine cardiaca sono responsabili di circa il 20% degli ictus ischemici e che la causa più comune di essi è la fibrillazione atriale, condizione destinata a divenire sempre più frequente con l’aumentare della durata di vita. Analoga previsione può farsi per altre affezioni favorenti gli eventi tromboembolici quali l’insufficienza cardiaca, l’insufficienza respiratoria, l’immobilizzazione protratta, gli interventi sulle arterie, l’impianto di pacemaker. Sappiamo che per tutte queste condizioni l’uso di anticoagulanti rappresenta il trattamento più efficace in prevenzione secondaria e in molti casi anche in prevenzione primaria. Fino ad oggi era possibile scegliere tra il trattamento eparinico, che in quanto iniettivo è ben poco adatto ad un uso prolungato, e quello con i cumarinici, che però sono di più difficile gestione e richiedono periodici controlli di laboratorio.

I nuovi anticoagulanti orali, originariamente sviluppati con l’intento di sostituire i cumarinici con molecole più maneggevoli, sono forse giunti oltre questo obiettivo. Infatti Apixaban, Dabigatran e Rivaroxaban, di cui all’inizio si ricercava  solo la non-inferiorità rispetto a Warfarina per prevenire gli eventi tromboembolici dopo interventi ortopedici maggiori, in studi condotti su differenti popolazioni di soggetti con fibrillazione atriale hanno dimostrato di possedere in questa indicazione un miglior profilo di sicurezza relativamente al rischio emorragico oltre che una efficacia almeno pari a quella del cumarinico di confronto. Particolarmente favorevole appare la capacità dei nuovi anticoagulanti di indurre un minor rischio di ictus emorragico rispetto a Warfarina, vantaggio questo verosimilmente riferibile alla specificità di azione propria di queste molecole (14). Sono inoltre da attendersi possibili ulteriori progressi con gli altri inibitori diretti di Xa attualmente in fase di studio (Edoxaban, Betrixaban, Razaxaban e altri ancora).

Tutto ciò considerato, al momento attuale i nuovi anticoagulanti si possono ritenere preferibili a Warfarina nel trattamento dei pazienti con fibrillazione atriale? Se questa superiorità si basa principalmente sulla possibilità di affrancare i pazienti dai periodici controlli di laboratorio, si deve considerare che l’esigenza di tali controlli è meno stringente nella quota di soggetti in cui il valore di INR si mantiene abitualmente stabile durante trattamento con il cumarinico. Inoltre, anche se la più breve emivita dei nuovi anticoagulanti ne rende più rapidi l’inizio e la fine dell’effetto, la mancanza di un antidoto di facile e rapida utilizzazione, che è invece disponibile per i cumarinici, può rappresentare un ostacolo. Per quanto riguarda il rischio di interazioni, i nuovi anticoagulanti sono esenti da quelle prodotti da alimenti, ma non da quelle indotte da farmaci capaci di modificarne il trasporto o la biotrasformazione. Un altro aspetto non trascurabile è quello dei costi, che – anche mettendo in conto la spesa per i controlli di laboratorio -  appaiono maggiori per le nuove molecole. In realtà una recente ricerca farmacoeconomica condotta negli USA indica che, in pazienti ultrasessantacinquenni con fibrillazione atriale e rischio di ictus aumentato (CHADS2 ≥ 1), il trattamento con Dabigatran, al prezzo praticato nel Regno unito, presenta un rapporto costo-efficacia per QALY (QualityAdjusted Life Years) sensibilmente migliore rispetto al trattamento con Warfarina (8). Considerando però che iparametri utilizzati per questo tipo di valutazione farmacoeconomica sono fortemente variabili in base alle normative e ai costi propri di ciascuna organizzazione sanitaria, un tale confronto può valere solo per il paese nel quale è stato effettuato; in Italia, attualmente, possiamo solo confrontare, in base ai prezzi riportati nel Prontuario farmaceutico nazionale e a dosi standard, il costo giornaliero: per la prevenzione in soggetti con fibrillazione atriale: esso è 0,07 - 0,14 € con Warfarina (5 – 10 mg/die)  contro circa 7,70 € per Dabigatran (75 mg b.i.d.) o Rivaroxaban (10 mg/die).

Tab. 1  Caratteristiche principali degli anticoagulanti orali a confronto.

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