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LA  VARIABILITA’  DELLA  RISPOSTA  AGLI  ANTIAGGREGANTI  PIASTRINICI

Enrico Bologna

Specialista in Medicina Interna, Gastroenterologia e Patologia generale.
Già Primario Ospedale Fatebenefratelli, Isola Tiberina, Roma. 
Libero docente in Patologia Medica, Università di Roma “Sapienza”.


La comparsa di eventi cardiovascolari in corso di trattamento con farmaci antiaggreganti viene spesso attribuita ad una  “resistenza” ai farmaci stessi. In realtà gli antipiastrinici, quando vengono somministrati in prevenzione secondaria, riducono gli eventi cardiovascolari non fatali di circa il 25% e quelli fatali di circa il 15%. Per quanto riguarda in particolare i soggetti con sindrome coronarica acuta, un esempio viene dai risultati dello studio CURE, in cui è stata valutata l’efficacia preventiva del trattamento con Clopidogrel ed Aspirina in 15.567 soggetti con infarto del miocardio senza elevazione del segmento ST. L’end point combinato (morte, infarto del miocardio o ictus) nel successivo periodo di osservazione è stato rilevato nel 9,3% dei pazienti trattati e nell’11,4% dei controlli: quindi una riduzione del rischio relativo di circa il 20%. Nonostante questo beneficio del trattamento antiaggregante, peraltro, oltre il 9% dei pazienti hanno presentato un evento ischemico nei dodici mesi successivi (95).

 

 Questa incompleta risposta non è molto dissimile da quelle che si osservano con altri farmaci utilizzati in prevenzione cardiovascolare, come beta-bloccanti, statine, ACE-inibitori e sartani. Per tutti questi farmaci, quindi, un insuccesso non autorizza a parlare di resistenza. In ambito di malattie cardiovascolari, in particolare, l’inefficacia di un trattamento preventivo può dipendere da una grande varietà di fattori e non solo dall’incapacità di un singolo farmaco di agire sul proprio bersaglio. Cause comuni di “resistenza” ai farmaci antiaggreganti sono costituite da inosservanza, sottodosaggio, difettoso assorbimento digestivo, trombocitosi, situazioni di forte iperaggregabilità piastrinica (come presenza di gravi lesioni aterosclerotiche soprattutto in soggetti diabetici) e forse fumo (76). Altre cause, riferibili ai singoli farmaci, sono rappresentate da polimorfismi genetici degli enzimi preposti alla biotrasformazione, ed all’effetto di farmaci interferenti.

In realtà l’unica giustificazione a parlare di resistenza ad un antiaggregante potrebbe venire dalla conferma mediante un esame di laboratorio che un determinato farmaco non è in grado di svolgere il proprio effetto in un determinato paziente. Quale che sia l’espressione più corretta per indicare la mancata o ridotta risposta al trattamento antiaggregante, rimane indiscutibile la necessità di conoscere le spiegazioni di questo fenomeno, le cui conseguenze sul piano pratico possono essere di grande rilievo. Varie osservazioni indicano infatti che la ridotta risposta al trattamento con farmaci antiaggreganti  è correlata con un maggior rischio di eventi avversi cardiovascolari, in particolare infarti del miocardio e trombosi di stent coronarici (10).

E’ interessante a questo proposito una recentissima ricerca, condotta su 174 pazienti venuti all’osservazione per infarto del miocardio, in ciascuno dei quali la risposta piastrinica all’aspirina (ASA) è stata confrontata con l’entità del rischio vascolare (età avanzata, ipertensione arteriosa, dislipidemia, pregressi eventi cardiovascolari) . Non è stata rilevata alcune significativa correlazione fra risposta in vitro ad ASA e presenza di condizioni di rischio cardiovascolare (6). Gli autori, in base a questa osservazione, ritengono che la mancata efficacia di ASA sia da considerare non già una espressione di vera resistenza ma piuttosto la conseguenza di un accelerato turnover piastrinico con più rapida immissione in circolo di elementi giovani e quindi con più rapida ricostituzione di COX-1, cioè dell’enzima alla cui inibizione si deve l’effetto antiaggregante di ASA.

In questa nota verranno richiamati  brevemente i fondamenti fisiopatologici dell’aggregazione piastrinica,  i  vari metodi di studio disponibili per valutarla, le proprietà farmacologiche degli antipiastrinici e le cause che possono ridurne l’efficacia.

 

Fisiopatologia dell’aggregazione piastrinica

In corrispondenza di lesioni dell’endotelio le piastrine vengono a contatto con componenti del connettivo subendoteliale (micro fibrille, laminine, collageno) che costituiscono una sede di adesione e di attivazione e cioè uno stimolo alla secrezione di Trombossano A2 (TXA2) e alla liberazione di Adenosina Disfosfato (ADP).  Queste due sostanze inducono l’attivazione di altre piastrine, amplificando così la risposta allo stimolo. TXA2, prodotto a partire da arachidonato mediante la via della Cicloossigenasi, diffonde attraverso la membrana plasmatica e, per la sua brevissima emivita,  stimola altre piastrine limitatamente alla sede della lesione. L’ ADP liberato dai granuli densi piastrinici agisce su due recettori  purinergici piastrinici, P2Y1 e P2Y12, determinando vari fenomeni fra cui ulteriore formazione di TXA2, aumento della concentrazione di calcio nel citosol delle piastrine, inibizione della sintesi di cAMP e attivazione di un recettore rappresentato da una integrina di superficie, la Glicoproteina IIb/IIIa (GpIIb/IIIa).

L’attivazione di questo recettore consiste in una modificazione conformazionale cui consegue un forte aumento dell’affinità di legame con il fattore von Willebrand (VW) e con il fibrinogeno. Ogni molecola di fibrinogeno può legarsi a due recettori GPIIb/IIIa e può quindi stabilire un legame tra due piastrine, dando inizio all’aggregazione. Poiché sulla superficie di ogni piastrina sono presenti da  40.000 a 80.000 copie di questo recettore, nella sede di attivazione si possono formare estesi aggregati che vengono poi stabilizzati da una rete di fibrina. Va sottolineato che l’attivazione del recettore GPIIb/IIIa è di fondamentale importanza nella fisiopatologia dell’aggregazione piastrinica poiché costituisce la tappa finale comune di tutte le vie di attivazione piastrinica.

 

Valutazione della funzione piastrinica

La valutazione della funzione piastrinica può essere effettuata con numerosi metodi, molto differenti  per complessità, affidabilità e costo: dal tempo di sanguinamento al tromboelastogramma, dall’aggregometria alla misura di molecole liberate dalle piastrine attivate o aggregate. Il metodo più diffuso fra i precedenti è l’aggregometria con metodo turbidimetrico, introdotta circa 50 anni fa da Born, in cui il plasma ricco di piastrine, ottenuto centrifugando a bassa velocità il sangue citratato, viene ruotato in una provetta posta fra una sorgente luminosa e una fotocellula. L’aggiunta di un agonista (ADP. collageno, adrenalina ristocetina) determina aggregazione delle piastrine con conseguente aumento della trasmissione di luce(7). Il grafico risultante permette di misurare l’aggregazione e di metterne in evidenza gli eventuali difetti . Il metodo turbidimetrico, che per molti anni ha rappresentato rappresenta il gold standard per la valutazione della funzione piastrinica, è però laborioso, di interpretazione difficile e non del tutto standardizzato. Si ritiene inoltre che esso sottostimi l’entità e la durata dell’inibizione esercitata dagli antagonisti di GpIIb/IIIa e sia poco sensibile alla formazione di microaggregati e quindi alle fasi iniziali dell’aggregazione o alla preesistenza di aggregati (8, 23, 54, 90).

Nel tentativo di superare questi difetti è stata sviluppata l’aggregometria su sangue intero. Con questo metodo il sangue viene ruotato a 37°C tra due elettrodi di platino, a cui aderiscono le piastrine; l’adesione aumenta dopo l’aggiunta di agenti agonisti. La massa piastrinica adesa agli elettrodi modifica l’impedenza, le xui variazioni vengono registrate dando luogo ad un grafico simile a quello turbidimetrico.  Questo metodo, che fornisce risultati simili a quelli del metodo turbidimetrico, è però considerato più attendibile di questo nel controllo dei trattamenti con antipiastrinici (56, 59, 86).

Una misurazione più accurata può essere ottenuta con la citometria a flusso e con i metodi basati sulla deviazione della luce, che sono però complessi e inadatti all’uso clinico.

Una misura rapida dell’efficacia di un trattamento antiaggregante  è fornita da un metodo (VerifyNow Assay), molto diffuso in USA, nel quale il sangue intero citratato viene posto in una cartuccia contenente perline rivestite di fibrinogeno e un peptide attivante i recettori della trombina; l’attivazione delle piastrine determina l’esposizione dei recettori GpIIb/IIIa che vengono legati in misura inversamente proporzionale all’entità dell’efficacia antiaggregante del trattamento. Questo metodo, semplice e ben standardizzato, presenta il vantaggio di offrire una valida misurazione del blocco dei recettori piastrinici nei pazienti trattati con antagonisti di GPIIb/IIIa, la cui efficacia clinica si considera adeguata quando il blocco stesso supera l’80% (22). Di questo metodo esistono altre due versioni destinate a valutare l’efficacia antiaggregante di ASA (agonista è acido arachidonico) e di inibitori di ADP (agonista è ADP) (15, 47, 82).

Un altro parametro che potrebbe essere utile per valutare lo stato di attivazione delle piastrine è rappresentato dal volume piastrinico medio, quale è fornito dalle letture automatiche in citometria a flusso. Utilizzate per l’esecuzione degli esami emocromodìcitometrici. Già da alcuni anni è noto che volumi piastrinici medi elevati si osservano nei fumatori, nei diabetici e nei soggetti con sindrome coronarica acuta (45, 65, 70). In pazienti con pregresso infarto acuto del miocardio il volume piastrinico medio, misurato 6 mesi  dopo l’episodio, è correlato con il rischio di eventi ischemici a 2 anni (55); analoga correlazione è stata rilevata con la restenosi a sei mesi in soggetti sottoposti ad angioplastica coronarica (94). Uno studio condotto su oltre 1.400 pazienti infartuati sottoposti a rivascolarizzazione coronarica percutanea intraluminale ha dimostrato che i valori basali del volume piastrinico medio erano predittivi di decesso o reinfarto entro un anno (30). Nei soggetti destinati ad angioplastica coronarica il pretrattamento con Clopidogrel , che riduce il rischio di eventi coronarici, determina riduzione del volume piastrinico medio (85)

 

Farmacologia clinica degli antipiastrinici

Numerosi farmaci sono in grado di ostacolare l’aggregazione interferendo con le funzioni piastriniche che la rendono possibile. Essi possono essere raggruppati  in quattro classi secondo la capacità di agire su:

-sintesi delle prostaglandine: Acido acetilsalicilico (ASA), altri FANS, Sulfinpirazone

-produzione di cAMP: Dipiridamolo, Cilostazolo

-recettore P2Y12 : Tienopiridine (Ticlopidina, Clopidogrel, Prasugrel), non tienopiridine (Ticagrelor, Cangrelor).

-recettore GPIIb/IIIa (Abciximab)

In questa nota la  discussione riguarderà soprattutto i  farmaci attualmente più utilizzati nella pratica clinica e cioè ASA, Clopidogrel e Prasugrel, con cenni su Ticagrelor, Dipiridamolo e Cilostazolo.

Acido acetilsalicilico(ASA)

Il farmaco è rapidamente assorbito e distribuito (Vd circa 10 L); ad opera delle esterasi presenti nella mucosa digestiva, negli eritrociti e in molte altre strutture è idrolizzato a salicilato (attivo), che successivamente viene coniugato nel fegato. La biodisponibilità è 50-75%, l’azione farmacologica inizia entro un’ora, l’emivita plasmatica di eliminazione è 15-20 minuti per ASA e dose-dipendente per salicilato (3 ore per dosi fino a 600 mg, 5-6 ore per dosi di 1 g). L’escrezione avviene con le urine, per il 75% come acido salicilurico e per il 10% come acido salicilico.

L’azione antiaggregante dell’ASA dipende dall’acetilazione irreversibile di un residuo serina in posizione 529 dell’enzima Ciclo-ossigenasi 1 (COX-1) presente nelle piastrine (13, 66,67). L’inattivazione di COX-1 ad opera di ASA impedisce la trasformazione di arachidonato in  TXA2, di cui viene così prevenuta  la potente azione vasocostrittrice e proaggregante. Dopo l’acetilazione le piastrine, prive di nucleo,  non sono in grado di rigenerare la propria dotazione enzimatica e quindi il deficit di COX-1 è irreversibile; solo le piastrine immesse in circolo dopo il contatto con ASA sono in grado di produrre normalmente TXA2.

Per questo meccanismo ASA, nonostante  la breve emivita plasmatica, determina un effetto antiaggregante che perdura per tutta la vita (7-10 giorni) delle piastrine circolanti al momento dell’assunzione del farmaco. E’ stato dimostrato che l’inattivazione di COX-1 è completa con dosi giornaliere di ASA pari a 160 mg (64).

Vari studi clinici hanno dimostrato che la comparsa di eventi trombotici in corso di trattamento con ASA riguarda una quota di pazienti compresa tra 5 e 40% e che questa mancata risposta non può essere prevenuta con l’aumento della dose (32, 33, 100).

Dipiridamolo(Aggrenox Boheringer Ingeìheim, cp 200 + 25 mg)

Inibisce la captazione piastrinica di adenosina con aumento del contenuto in cAMP, che ostacola l’azione aggregante di molti mediatori. E’ una base debole poco solubile, la cui biodisponibilità per via orale è modesta e piuttosto variabile (30-60%) soprattutto in rapporto al pH gastrico e al tempo di svuotamento dello stomaco: la biodisponibilità è infatti ridotta nell’acloridria, dagli inibitori della secrezione cloridrica e dagli antiacidi. L’eliminazione (emivita 10-12 ore) avviene prevalentemente previa glicuronazione. Attualmente poco utilizzato , è disponibile, in forma a cessione protratta, in una associazione precostituita con ASA a pronta cessione; per migliorare la biodisponibilità il preparato contiene anche acido tartarico.

I principali effetti avversi di Dipiridamolo sono rappresentati da esacerbazione di angina pectoris in soggetti coronaropatici, cefalea, vertigini, ipotensione arteriosa.

Tienopiridine

Rapidamente ed ampiamente assorbite dopo somministrazione orale, le Tienopiridine subiscono nella parete intestinale e nel fegato processi di biotrasformazione operati da enzimi del Citocromo P50 che danno luogo alla formazione di vari metaboliti, per la maggior parte inattivi.

Il meccanismo dell’azione antiaggregante di questi farmaci, completamente differente da quello proprio dell’ASA, consiste nell’inibizione selettiva e irreversibile dei recettori di ADP (P2Y12) cui consegue il blocco della via finale comune dell’aggregazione rappresentata dall’attivazione dei recettori della glicoproteina IIb/IIIa (73).  A causa di questo meccanismo di azione gli antipiastrinici attivi sul recettore P2Y12 sono i farmacvi più largamente impiegati nei soggetti ad alto rischio. E’ importante notare che tutte e tre le Tienopiridine sono profarmaci che, per  azione di enzimi appartenenti al Citocromo P450, danno luogo a metaboliti intermedi attivi; sono questi che si legano ai recettori piastrinici P2Y12 inibendo irreversibilmente l’azione di ADP.

Ticlopidina(Tiklid Sanofi Aventis, Ticlodone SigmaTau e generici, cp 250 mg)

La biotrasformazione di Ticlopidina, non completamente nota, dà luogo alla formazione di almeno 13 metaboliti per lo più inattivi e di uno attivo. La concentrazione plasmatica massima di Ticlopidina è raggiunta 1-3 ore dopo la somministrazione orale di una dose di 250 mg, mentre la concentrazione plasmatica stazionaria si ha dopo 3-5 giorni di somministrazioni ripetute (250 mg ogni 12 ore); l’emivita di eliminazione è di 13 ore. Le concentrazioni sieriche del farmaco non si correlano con l’entità dell’inibizione piastrinica, che infatti dipende dal metabolita attivo la cui cinetica non è però del tutto nota.

Attualmente l’impiego di Ticlopidina trova un limite in rari ma importanti effetti avversi come la neutropenia, che impone regolari controlli ematologici, e la porpora trombotica trombocitopenica (83).

 

Clopidogrel(Plavix Sanofi Pharma Bristol-Myers Squibb, cp 75 mg)

E’ disponibile in Italia da alcuni anni e prescrivibile a carico del SSN con piano terapeutico. Il farmaco, con biodisponibilità orale di circa il 50%, subisce la biotrasformazione su due vie: una converte l’85% del profarmaco in un metabolita deesterificato inattivo: l’altra, attraverso due tappe dipendenti prevalentemente dall’attività di CYP2C19, CYP1A2, CYP3A4/5 eCYP2B6, porta alla formazione di un metabolita tiolico attivo. Varianti genetiche o altre anomalie di  CYP2C19 e forse  di altri enzimi CYP possono essere all’origine di minor produzione di metabolita attivo e quindi di minor efficacia di Clopidogrel. In condizioni normali la concentrazione plasmatica massima del metabolita attivo è raggiunta un’ora circa dopo la somministrazione ed aumenta in modo dose-dipendente, ma meno che dose-proporzionale, fino a dosi di 600 mg, oltre le quali non presenta significativi aumenti. Circa il 40% di una dose di 75 mg è eliminato con le urine, il 35-60% con le feci.

Rispetto a Ticlopidina Clopidogrel presenta un rischio minore di effetti avversi  e il vantaggio di permettere un più precoce inizio dell’effetto antiaggregante mediante la somministrazione di una dose di carico (11)

 

Prasugrel(Efient Eli Lilly, cp 5 mg)

E’disponibile  in Italia da circa un anno e prescrivibile a carico del SSN con piano terapeutico in soggetti con  infarto del miocardio o sindrome coronarica acuta senza elevazione del segmento ST sottoposti a angioplastica coronarica percutanea.

A differenza di Clopidogrel, Prasugrel viene dapprima esterificato a formare un composto intermedio (tiolattone), che è poi convertito in metabolita attivo mediante un singolo passaggio governato da CYP3A4 e CYP2B6 e, in minor misura, da CYP2C9 e CYP2C19; a differenza da Clopidogrel, questo passaggio non appare influenzato da polimorfismi enzimatici. Prasugrel   presenta  assorbimento e biotrasformazione particolarmente rapidi: il metabolita attivo raggiunge il picco di concentrazione plasmatica dopo circa 30 minuti ed ha emivita media di 7 ore ma molto variabile (2-15 ore). La concentrazione plasmatica aumenta in misura dose-dipendente e dose-proporzionale fino a dosi di 60-80 mg; non è segnalato accumulo del metabolita dopo 10 giorni di somministrazione. Circa il 70% di una dose di 15 mg è eliminato con le urine, il 25% con le feci (93, 96). Per queste caratteristiche farmacocinetiche Prasugrel inibisce l’aggregazione indotta da ADP più rapidamente e più nettamente di Clopidogrel in soggetti sani e in coronaropatici (98).

Ticagrelor

Approvato  per l’uso clinico dall’autorità europea nel dicembre 2010, differisce dalle altre due tienopiridine poiché stabilisce un legame reversibile con il recettore P2Y10 ed ha un più rapido inizio di azione. Ticagrelor è rapidamente assorbito per via orale, con biodisponibilità 36% e picco di concentrazione plasmatica a 1,5 ore, dando  origine ad un metabolita equiattivo con picco a 2,5 ore. La concentrazione plasmatica di entrambi è dose-dipendente. In uno studio condotto su 18.624 pazienti con sindrome coronarica acuta è stato osservato che nei pazienti trattati con questo farmaco la letalità e gli eventi cardiovascolari a un anno sono stati significativamente inferiori rispetto a quelli trattati con  Clopidogrel, mentre è risultata maggiore la frequenza di sanguinamenti non fatali (97).

 

Cangrelor

Questo inibitore non tienopiridinico  del recettore P2Y10  è risultato meno efficace di Clopidogrel in soggetti trattati con angioplastica coronarica percutanea. Per la possibilità di essere somministrato per via endovenosa, però,  è tuttora in sperimentazione per l’uso  a breve termine in fase preoperatoria.

Altri inibitori diretti attualmente in fase iniziale di studio sono PRT060128, BX667,BX048, Elinoprel. Come Cangrelor,  quest’ultima molecola riveste un particolare interesse pratico in quanto somministrabile anche per via endovenosa.

Cilostazolo  (Pletal Italfarmaco, cp mg 100)

Questo farmaco è un inibitore della fosfodiesterasi-3 che, aumentando la concentrazione di cAMP, esercita come Dipiridamolo azione antiaggregante e vasodilatatrice ed è perciò utilizzato nel trattamento delle arteriopatie obliteranti.

Dopo biotrasformazione ad opera di CYP3A4 e in minor misura di CYP1A2, 2C19 e 2D6 dà luogo ad almeno un metabolita attivo. L’emivita di eliminazione è 11-13 ore, l’escrezione è prevalentemente fecale. Il suo effetto si instaura molto lentamente (2-12 settimane).

Un recente studio ha dimostrato che, aggiunto al doppio trattamento antiaggregante con ASA e Clopidogrel, Cilostazolo potenzia l’inibizione dei recettori P2Y12 riducendo gli eventi cardiovascolari e le trombosi degli stent (2, 49).

 

Variabilità dell’effetto degli antipiastrinici

Una  ridotta efficacia della terapia con antipiastrinici può dipendere da varie condizioni, alcune delle quali comuni a tutti i farmaci e correggibili, come inosservanza e sottodosaggio, che nel trattamento antiaggregante sono più frequenti  di quanto comunemente si crede: in ricerche condotte in Germania su pazienti con ictus e negli Usa su soggetti coronaropatici è stata rilevata inosservanza al trattamento con clopidogrel  nel 38% e nel 22% (38, 76). Altri motivi di ridotta efficacia comuni a tutti gli antiaggreganti sono le trombocitosi, gli stati di marcata iperattività piastrinica quali si osservano in presenza di lesioni aterosclerotiche molte estese e/o gravi, di diabete mellito e, sembra, nei fumatori.

Per ciascuna molecola esistono inoltre specifiche cause di alterata risposta riferibili a condizioni che possono essere suddivise in genetiche e non genetiche, queste ultime rappresentate da malattie concomitanti o da interazione farmacologiche.

Per quanto riguarda l’efficacia ASA, la variabilità dell’azione antiaggregante è stata ipotizzata già nel 1966 quando, studiando gli effetti del farmaco sul tempo di sanguinamento, A. J. Quick osservò rilevanti differenze interindividuali di risposta a dosi diverse di aspirina (72). Nel 1990 fu osservato che la persistenza di una elevata reattività piastrinica in corso di trattamento con ASA si correlava con un maggior rischio di eventi ischemici nel quinquennio successivo ad una sindrome coronarica acuta (92). Numerosi altri studi hanno valutato il rapporto tra “resistenza” all’ASA ed eventi ischemici  in soggetti coronaropatici , con ictus ischemico e con arteriopatia periferica (21, 31, 33, 58). La risposta piastrinica all’ASA , valutata con diversi metodi, è apparsa ampiamente variabile (dal 4% fino al 60%); i metodi caratterizzati da minor variabilità, e quindi più attendibili, sono quelli che misurano specificamente l’attività di COX-1 (cioè l’aggregazione indotta da acido arachidonico e la concentrazione plasmatica di TXB2); maggiore variabilità e quindi minore  affidabilità  hanno i metodi che prevedono l’impiego di agonisti attivi su altre vie di attivazione piastrinica quali ADP, collageno, adrenalina. Nella maggior parte dei casi, comunque,  come già ricordato le segnalazioni di elevata resistenza all’ASA sono in gran parte da attribuire a inosservanza del trattamento (59, 88). Secondo alcune osservazioni l’efficacia di ASA sarebbe inoltre minore nelle donne, soprattutto in età postmenopausale, ma questo dato è controverso (14, 32, 98). Un fattore di variabilità potrebbe forse essere rappresentato da un polimorfismo del gene di COX-1 tale da rendere l’enzima meno sensibile alle basse dosi di ASA o da una produzione di TXA2 parzialmente indipendente da COX-1 (20,21).

Resistenza propriamente detta ad ASA è un fenomeno osservabile in laboratorio, consistente nell’incapacità del farmaco di inibire l’aggregazione in risposta ad uno o più induttori. In soggetti trattati con 80 mg/die di ASA, si definisce resistenza il permanere di aggregazione da acido arachidonico (0,5-1,0 mg/mL) ≥ 20%. Il valore clinico dell’inibizione valutata con altri induttori è considerato meno attendibile in quanto molto più variabile (24, 36, 37). Varie metanalisi relative a diversi metodi di laboratorio hanno però dimostrato che valutazione laboratoristica dell’efficacia antiaggregante dell’aspirina ha un modesto significato prognostico (19, 25, 35, 82).

Tra le cause di variabile risposta all’aspirina vanno ricordate anche le interazioni farmacologiche, in particolare con altri FANS e con inibitori della pompa protonica. A differenza di ASA, la maggior parte degli altri FANS inibiscono la sintesi di TXA2 in modo competitivo reversibile: finché queste molecole sono presenti nel canale di COX-1 l’accesso di ASA al residuo serina è impedito e con esso il suo effetto antiaggregante (52).

Con questo meccanismo alcuni FANS possono ostacolare l’azione antitrombotica di ASA: ciò vale per Ibuprofen ma non per Diclofenac (26, 75). Considerata l’ampia diffusione dell’uso di Ibuprofen anche in autoprescrizione, è piuttosto elevata la probabilità di interazioni che possono aver luogo quando l’ASA viene ingerito mentre è presente in circolo Ibuprofen , la cui emivita plasmatica di eliminazione  è di circa 4 ore. Nel Physician’s Health Study è risultato che la somministrazione di FANS per più di 60 giorni all’anno è correlata con un maggior rischio di infarto del miocardio (48).

Nell’intento di prevenire le lesioni gastriche indotte dal trattamento a lungo termine con ASA, soprattutto se associato a Clopidogrel, le attuali linee-guida (4) suggeriscono la concomitante somministrazione   di inibitori della pompa protonica.  Assumono interesse, quindi, le osservazioni compiute nell’animale e nell’uomo da cui risulta che questi farmaci riducono l’effetto antiaggregante dell’aspirina. Anche se non confermate da un’altra ricerca (43, 50), queste osservazioni fanno ritenere che l’innalzamento del pH gastrico possa far diminuire la biodisponibilità dell’aspirina. ed è stato dimostrato in modelli animali che questi farmaci riducono l’effetto antipiastrinico di ASA (28, 51). Vi sono però recenti osservazioni condotte nell’uomo e relative al trattamento con ASA in forma farmaceutica gastroprotetta da un rivestimento in metacrilato, che attualmente è  quella di gran lunga più diffusa, da cui risulta che l’effetto antiaggregante viene invece potenziato dagli inibitori della pompa protonica. Questo fenomeno sarebbe da attribuire alla precoce dissoluzione del metacrilato indotta dall’aumentato pH con liberazione intragastrica e maggiore biodisponibilità di ASA (46).

La variabilità della risposta alle tienopiridine è stata studiata soprattutto per Clopidogrel, la cui efficacia può essere condizionata sia da variabilità individuale della sensibilità piastrinica ad ADP, sia da alterazioni dei sistemi di trasporto del farmaco, sia da anomalie dei processi di biotrasformazione su base genetica o conseguenti ad interazioni farmacologiche.

Il grado di inibizione piastrinica indotto da Ticlopidina e Clopidogrel è simile per i due farmaci ma presenta una elevata variabilità interindividuale avente distribuzione normale (gaussiana) ed una ancor più elevata variabilità in rapporto ai metodi aggregometrici utilizzati (42, 87); è stato anche rilevato che i pazienti non sensibili a Ticlopidina lo sono invece  a Clopidogrel, e viceversa (12).  La risposta al trattamento con le tienopiridine, come con ASA, è tuttavia di difficile valutazione per le differenze spesso profonde esistenti fra i rilievi forniti dai diversi metodi (53). Tali metodi, inoltre, appaiono poco predittivi, come è stato dimostrato nello studio prospettivo osservazionale POPULAR, in cui sei metodi di laboratorio eseguiti in 1.069 pazienti trattati con Clopidogrel per impianto di stent coronarico hanno mostrato bassa sensibilità (55-63%) e bassa specificità (59-64%) relativamente alla comparsa a un anno non solo di eventi cardiovascolari ma anche di incidenti emorragici (9).

L’esistenza di  variabilità individuale della risposta piastrinica a Clopidogrel è stata dimostrata in uno studio che ha confermato come l’aggregazione indotta da 20 mmol di ADP è differente da un soggetto all’altro ed è correlata con l’effetto di clopidogrel (59).

Come accennato, la variabilità di risposta a Clopidogrel può dipendere anche dall’efficienza del sistema di trasporto cellulare costituito dalla Glicoproteina P (GpP). E’ questa una pompa di efflusso inizialmente identificata in cellule tumorali che resistevano ai citostatici in quanto capaci di espellere questi farmaci dal proprio citoplasma. GpP è espressa sul versante luminale degli enterociti, sul versante canalicolare degli epatociti, sul versante luminale delle cellule tubulari renali e nei capillari della barriera cerebrovascolare. L’efficienza di GpP presenta variazioni su base genetica ed è inibita da numerosi farmaci (Amiodarone, Carvedilolo, Chinidina , Claritromicina, Ciclosporina, Eritromicina,  Itraconazolo, Ketoconazolo , Ritonavir,Tamossifene, Verapamil ), mentre è potenziata da Fenotiazine e Rifampicina.

E’ stato dimostrato che l’assorbimento di Clopidogrel aumenta per effetto di mediatori che inibiscono la funzione di GpP e che l’assorbimento stesso è condizionato da  alterazioni del gene MDR1 che codifica per questa glicoproteina (89).

Altro fattore di variabilità su base genetica, di più complessa interpretazione, è  quello rappresentato  da polimorfismi del recettore P2Y12 (61) e degli enzimi CYP coinvolti nella biotrasformazione di clopidogrel . Poiché l’azione antipiastrinica di questo farmaco è svolta da un metabolita, i polimorfismi degli enzimi coinvolti nella biotrasformazione del profarmaco (CYP2C19, CYP1A2, CYP3A4/5 eCYP2B6)  influenzano l’effetto in vitro, l’efficacia clinica e il rischio di sanguinamento. Ciò è stato dimostrato dallo studio EXCELSIOR: nei pazienti sottoposti a impianto di stent coronarico che presentavano difetto funzionale di CYP2C19 per polimorfismo è stata rilevata, dopo 600 mg di Clopidogrel, aggregazione piastrinica più elevata che ai soggetti omozigoti (23 rispetto a 11%), e incidenza tre volte maggiore di morte e infarto del miocardio a un anno (91). Rilievi analoghi sono stati ottenuti in altri studi (57, 78, 80).   

Grande interesse è stato di recente sollevato dalla  possibilità che l’interazione con gli inibitori di pompa protonica (IPP) riduca l’efficacia di Clopidogrel . E’ questo un aspetto particolarmente rilevante, dato che le attuali linee guida indicano l’uso di questi farmaci nei pazienti, soprattutto anziani, trattati con antiaggreganti. Gli IPP, infatti, sono non solo substrati ma anche inibitori di CYP2C19, cioè dell’enzima del sistema P450 più importante per la biotrasformazione di Clopidogrel nel metabolita attivo. La reale possibilità di questa interazione ha trovato conferma  in uno studio randomizzato  contro placebo nel quale tra i pazienti trattati anche con Omeprazolo la percentuale di non responder era 60,9% contro 26,7% dei controlli (3). Secondo alcune ricerche questa interazione non rappresenterebbe un effetto di classe in quanto è condivisa da Rabeprazolo ma non da Esomeprazolo, Lansoprazolo  e Pantoprazolo (90; 88). Tale ipotesi non è stata però confermata da uno studio clinico condotto su 16.700 soggetti trattati con Clopidogrel dopo angioplastica coronarica, nei quali tutti i PPI risultarono significativamente correlati con un maggior rischio di successivi eventi cardiovascolari maggiori rispetto ai pazienti che non avevano fatto uso di questi farmaci (83).

Gli effetti dell’associazione Clopidogrel-IPP sull’incidenza di eventi cardiovascolari sono stati valutati in molti altri studi, con risultati disomogenei: nessuna influenza secondo il registro FAST-MI francese (80), maggiore rischio di infarto miocardico in un gruppo di pazienti ultra65enni (69), maggiore rischio di reinfarto in altri due studi (40, 44). In coronaropatici sottoposti a impianto di stent e trattati con ASA e Cliopidogrel l’associazione di Omeprazolo ha ridotto significativamente l’effetto inibente dell’antiaggregante sul recettore piastrinico P2Y12 (61% contro 27% nei controlli) (27). Nello studio PRINCIPLE-TIMI l’aggregazione piastrinica indotta da ADP in 99 soggetti trattati con Clopidogrel risultò nettamente più elevata in quelli che ricevevano anche un IPP: 50% vs 18% a 24 ore e 50% vs 8% a 15 giorni (63). Altri studi hanno confermato questo rilievo, dimostrando inoltre che Pantopraziolo ed Esomeprazolo, che inibiscono meno intensamente CYP2C19, non alterano in misura significativa l’efficacia di Clopidogrel (17, 60, 79). Un recentissimo studio è stato condotto su 3.761 soggetti coronaropatici in trattamento con ASA (75-325 mg in forma gastroresistente) e con  Clopidogrel (75 mg)  ovvero con ASA e con una associazione a dose fissa Clopidogrel 75 mg e Omeprazolo 20 mg). Lo studio ha dimostrato una significativa riduzione del rischio di eventi digestivi  nei soggetti trattati anche con Omeprazolo , senza differenze nel rischio di eventi cardiovascolari (5). Questo studio presenta però il limite di un periodo di osservazione limitato, che potrebbe aver impedito il rilievo di eventi cardiovascolari meno precoci, e soprattutto il fatto che nell’associazione fissa con Clopidogrel Omeprazolo  era presente in forma a cessione ritardata e quindi tale da poterne alterare la cinetica.

L’efficacia di Prasugrel può essere compromessa dal concomitante trattamento con i farmaci e le sostanze forti inibitori di CYP3A4 quali gli inibitori delle proteasi (Ritonavir, Indinavir, Nelfinavir), gli antibiotici macrolidi (Eritromicina, Claritromicina, Telitromicina), gli antimicotici azolici (Fluconazolo, Ketoconazolo, Itraconazolo), l’antiemetico Aprepitant, il calcio-antagonista Verapamil e il succo di pompelmo .

Appare chiara, da quanto sopra, la necessità di studi prospettivi condotti con tutti gli IPP su ampie popolazioni ; allo stato attuale delle conoscenze si può suggerire, ove occorra una protezione gastrica, l’uso degli IPP che non sembrano causa di interazioni  come Esomeprazolo o Pantoprazolo.

Il sospetto di interazione con alcune statine (Atorvastatina, Lovastatina e Simvastatina) che costituiscono substrato di uno degli enzimi P450 (CYP3A4) che concorrono alla formazione del metabolita attivo di Clopidogrel ha indotto a svolgere una ricerca sull’argomento. Lo studio CHARISMA, condotto su oltre 15.000 soggetti coronaropatici in prevenzione primaria o secondaria con Clopidogrel non ha mostrato alcuna conseguenza clinicamente rilevante nei pazienti in cui Clopidogrel era associato con una delle statine sopra menzionate (74).

 

Correzione dell’insufficiente risposta agli antipiastrinici

Sulla base dei già ricordati rilievi sulla frequente  inosservanza del trattamento con questi farmaci, lo stretto controllo sulla regolare assunzione è il primo provvedimento da prendere in caso di insufficiente risposta. Il passo successivo riguarda  le modalità di somministrazione (dosi e terapie concomitanti). Questi aspetti sono stati oggetto di ricerche rivolte ai farmaci attualmente più spesso utilizzati nei soggetti a rischio, vale a dire ASA e Clopidogrel

ASA

I più importanti fattori da considerare sono l‘ interazione con Ibuprofene e, limitatamente alle forme farmaceutiche non gastroprotette, l’interferenza con gli antiacidi  gastrici. Nei casi in cui i pazienti non diano sufficienti garanzie di astensione dai queste interferenze, alcuni ricercatori hanno proposto l’aumento delle dosi di ASA. Questo accorgimento, apparentemente ovvio, sembra in realtà essere inutile se non dannoso: studi in vitro hanno dimostrato infatti che la dose di ASA necessaria per determinare una sufficiente inibizione di COX-1 è nettamente inferiore a quelle (75-100 mg) abitualmente prescritte nella pratica clinica (66, 67), mentre dosi superiori ad esse (300-325 mg) non sono correlate con riduzione del rischio mentre comportano una maggiore frequenza di incidenti emorragici (18, 39). Inoltre si deve considerare la possibilità che alti dosaggi del farmaco (oltre i 500 mg) inibiscano la sintesi di Prostaciclina (PGI2), prodotta dall’enzima COX-2 e dotata di potente effetto antiaggregante.

Clopidogrel

Secondo le attuali linee-guida la massima efficacia si ottiene con una dose di carico (300 o 600 mg) seguita da 75 mg/die (16, 41, 77). In una casistica di pazienti con sindrome coronarica acuta dosi di carico di 600 mg e dosi quotidiane di 150 mg) riducono il rischio di trombosi dello stent ma non modificano quello di morte cardiovascolare, infarto miocardico o ictus a 30 giorni (18). In un gruppo di soggetti diabetici coronaropatici con insufficiente risposta al farmaco è stato rilevato che l’aumento da 75 a 150 mg della dose giornaliera rende ottimale l’inibizione piastrinica solo nel 40% dei casi (1). Il problema dei vantaggi e degli inconvenienti dell’aumento delle dosi di Clopidogrel in caso di inadeguata risposta è oggetto di studi tuttora in corso (71). Vari studi dimostrano che l’aumento della dose  di carico (fino a 1.200 mg) e/o di mantenimento (150 mg) determina riduzione della “resistenza” nei test aggregometrici e miglioramento dell’esito clinico (29, 34, 68).

Molti  casi di insufficiente efficacia antipiastrinica con fallimento terapeutico che si osservano anche con la somministrazione di Clopidogrel in dosi elevate di carico e di mantenimento sono messi in relazione a difettosa attività dell’enzima CYP2C19 da cui dipende la formazione del metabolita attivo del farmaco. L’identificazione dei pazienti portatori di difetti del gene che codifica per questo enzima, oggi attuabile con costi moderati, può permettere di migliorare l’inibizione piastrinica mediante aumento delle dosi di Clopidogrel o, meglio, mediante l’impiego di Prasugrel, più costoso ma più efficace e soprattutto non oggetto di interazione con gli inibitori di pompa protonica che tanto spesso sono necessari nei soggetti a più alto rischio vascolare perciò in trattamento antiaggregante ad alte dosi e/o duplice. Secondo recenti vedute la tipizzazione genica preventiva in questi pazienti è vantaggiosa anche sul piano farmacoeconomico: nei soggetti senza deficit funzionale di CYP2C19 Clopidogrel –da solo o in associazione con ASA – resta il farmaco di scelta in termini di rapporto rischio/beneficio e costo/beneficio, mentre nei portatori della mutazione genica questo rapporto è più vantaggioso per Prasugrel (93).

 

Riassunto.

Una quota non trascurabile di soggetti trattati con antiaggreganti piastrinici vanno incontro ad eventi cardiovascolari in corso di trattamento.  Questo fenomeno. spesso impropriamente definito ”resistenza”, può dipendere da numerose cause. Le più frequenti sono l’inosservanza e il sottodosaggio; in altri casi può essere determinante una particolare iperattività piastrinica. Per ciascun farmaco, inoltre, possono essere in causa condizioni genetiche, per alcune delle quali è oggi possibile il riconoscimento,  e  varie interazioni farmacologiche.

 

Summary

Variability in responsiveness to antiplatelet therapy.

A remarkable  percentage of cardiovascular events is observed in patients undergoing treatment with antiplatelet drugs. This variability in individual responsiveness, frequently and incorrectly defined “resistance”, may be dependent on many causes: chiefly poor compliance and suboptimal dosing, but also platelet hyperactivity, genetic alterations and a number of pharmaceutical interactions.

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